A partire da un gioco mentale:
“Cosa faresti con 20 miliardi da spendere per l’Italia?”
“Vi invito a fare un gioco mentale: vi vengono dati 20 miliardi di euro a testa, potete farci quello che volete. Pensate a quale può essere per voi la priorità italiana”. Sulle tracce di questa sollecitazione-sfida lanciata dall’economista di Sbilanciamoci! Angelo Marano, si è snodato giovedì 23 maggio a Roma il dibattito sul Rapporto 2019 di EuroMemorandum .
Il rapporto di questo gruppo di economisti europei progressisti è arrivato quest’anno alla 25° edizione, in un momento di grandi incertezze sulle sorti dell’Unione europea e alla vigilia delle elezioni europee del 26 maggio. Bisogna ridefinire le priorità in Europa e “il Rapporto presenta un po’ lo stato dell’Unione”, come ha ricordato all’inizio del dibattito il portavoce di Sbilanciamoci! Giulio Marcon presentando la traduzione in italiano del Rapporto ( disponibile online e contenuta anche nel libro Europa. La posta in gioco fresco di stampa per manifestolibri).
Sono tre gli scenari che potrebbero uscire dalle urne da lunedì prossimo, secondo gli economisti di EuroMemorandum: un primo modello “autoritario-nazionalista”, basato su un’alleanza fra settori orientati all’export con il sostegno di pezzi della classe operaia, uno schema in cui i forti costi sociali dati dalla depressione dei salari e dalla forte disoccupazione dovranno essere gestiti politicamente attraverso la frammentazione delle classi subalterne e dinamiche repressive; un secondo modello “liberal-cosmopolita”, di stampo sostanzialmente tecnocratico ma con una tensione maggiore alla legittimità democratica e alla redistribuzione dei redditi; un terzo modello “democratico-regionalista”, in buona sostanza “glocal”, che unisce istanze comunitarie e di base con strategie di cooperazione a livello europeo e internazionale al fine di tutelare le comunità e le persone dagli impatti negativi delle corporation e del neoliberismo attraverso politiche di inclusione sociale e di trasformazione ecologica dell’economia. Quest’ultima opzione è quella che il gruppo di EuroMemorandum ritiene di gran lunga preferibile. Ma non è solo un orizzonte utopico.
Nel Rapporto sono snocciolate infatti le proposte con cui creare l’impalcatura di questo scenario auspicabile. Si è deciso di puntare l’attenzione – ha spiegato la professoressa Marcella Corsi, che fa parte del comitato direttivo dell’EuroMemo Group – sulla necessità di uscire dalla logica del rancore e della paura utilizzati dalla retorica e dalle politiche delle forze sovraniste, e di recuperare relazioni di fiducia e reciprocità anche a livello europeo. “Per questo, dopo lungo dibattito – ha detto Corsi – abbiamo deciso di intitolare il Rapporto di quest’anno Una politica economica per le classi popolari in Europa , dove “popolare” viene dal significato associato al termine spagnolo piuttosto che a quello anglosassone, puntando quindi, al di là delle sacrosante critiche al neoliberismo e all’austerity, alla ricerca di nuovi regimi di assistenza sociale, di tutela e di cura”, volti a ridurre le divergenze classe che sono cresciute esponenzialmente in questi anni. Tra le proposte di EuroMemo ci sono ad esempio l’eliminazione del dumping fiscale nell’Unione e l’istituzione di un bilancio europeo con una dotazione finanziaria consistente, pari almento al 5% del Pil continentale.
“Per questo – ha aggiunto Corsi – come EuroMemo stiamo elaborando una proposta sul reddito di base universale che non guardi solo alla sua sostenibilità finanziaria, ma a come innestarlo in un sistema di servizi di base”, più rispondenti alle necessità attuali. Una misura che non sia necessariamente “cash” ma si leghi invece a piani di lavori socialmente utili. Perché – come ha spiegato Monica Di Sisto, portavoce della Campagna Stop Ttip Italia – “dobbiamo uscire dalla sindrome di Pompei e se abbiamo solo dieci anni per intervenire sul clima è necessario selezionare con criteri ambientali gli investimenti dell’Ue, operare sostegni al welfare ma anche tassare merci e servizi non compatibili con il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani”. E soprattutto in Italia – su questo hanno insistito Marano, Di Sisto e poi Riccardo Sanna, coordinatore dell’area politiche di sviluppo della Cgil – serve una vera politica industriale, che ora non c’è. L’idea, anche del centrosinistra, di favorire i profitti perché questi produrrebbero spontaneamente investimenti e quindi occupazione – per un’industria tutta puntata sull’export e basata sul deprezzamento del costo del lavoro (e quindi sui bassi salari) –, non funziona. E così i 20 miliardi che l’Italia ha quasi ad ogni Legge di Bilancio contrattato con l’Europa in termini di margini di flessibilità e bonus per le imprese o per altri trasferimenti a pioggia alle famiglie – come dice Marano – sono stati finora “solo soldi buttati dalla finestra”. L’Europa – argomenta Sanna – potrebbe rappresentare un enorme bacino di domanda pubblica e privata, con gli Stati come possibili datori di lavoro di ultima istanza e un aumento dei salari (e quindi dei consume), in grado persino di spostare l’asse della geopolitica mondiale.
Invece Bruxelles è paralizzata in una situazione paradossale – ha ricordato in conclusione Mario Pianta, economista di Sbilanciamoci! – nella quale i precetti “classici” dell’austerità protestante non vengono abbandonati, anche se le élite europee sanno ormai benissimo che non possono funzionare. Com’è il caso del Fiscal compact, che nel 2018 ha subito una sonora bocciatura del Parlamento europeo senza però che sia seguito a ciò un cambio di registro. “È una situazione surreale – dice Pianta – dove contraddizioni enormi non vengono affrontate e si chiude un’occhio “alla democristiana”, nell’immobilità totale, mentre gli Usa di Trump continuano a nutrire la bolla finanziaria che prima o poi esploderà, o forse saranno uno shock climatico o l’esplodere delle enormi divergenze tra centro e periferia dell’Europa a rompere questo status quo. Oppure ancora una guerra con l’Iran o con la Cina, per la rivalità geopolitica e tecnologica con gli Usa”.
Manca ancora un’alleanza sociale e un interlocutore politico a Strasburgo, ma gli economisti di EuroMemo e le organizzazioni della società civile italiana della campagna Sbilanciamoci! tentano di sgombrare il campo dalle trappole mentali, a cominciare dal facile refrain “ce lo chiede l’Europa”. L’Europa non è un alibi, esistono modalità per cambiarla, renderla più rispondente ai bisogni e alle domande dei cittadini e ai bisogni delle classi popolari. Per continuare a discutere di tutto questo, EuroMemorandum lancia l’appuntamento del venticinquesimo “Workshop on Alternative Economic Policy in Europe”, intitolato quest’anno “A Green New Deal for Europe – Opportunities and Challenges”, che si terrà il 26-28 settembre 2019 a Parigi, presso l’ Université Paris Nord.
Vedi le info e il programma del seminario
“Vi invito a fare un gioco mentale: vi vengono dati 20 miliardi di euro a testa, potete farci quello che volete. Pensate a quale può essere per voi la priorità italiana”. Sulle tracce di questa sollecitazione-sfida lanciata dall’economista di Sbilanciamoci! Angelo Marano, si è snodato giovedì 23 maggio a Roma il dibattito sul Rapporto 2019 di EuroMemorandum .
Il rapporto di questo gruppo di economisti europei progressisti è arrivato quest’anno alla 25° edizione, in un momento di grandi incertezze sulle sorti dell’Unione europea e alla vigilia delle elezioni europee del 26 maggio. Bisogna ridefinire le priorità in Europa e “il Rapporto presenta un po’ lo stato dell’Unione”, come ha ricordato all’inizio del dibattito il portavoce di Sbilanciamoci! Giulio Marcon presentando la traduzione in italiano del Rapporto ( disponibile online e contenuta anche nel libro Europa. La posta in gioco fresco di stampa per manifestolibri).
Sono tre gli scenari che potrebbero uscire dalle urne da lunedì prossimo, secondo gli economisti di EuroMemorandum: un primo modello “autoritario-nazionalista”, basato su un’alleanza fra settori orientati all’export con il sostegno di pezzi della classe operaia, uno schema in cui i forti costi sociali dati dalla depressione dei salari e dalla forte disoccupazione dovranno essere gestiti politicamente attraverso la frammentazione delle classi subalterne e dinamiche repressive; un secondo modello “liberal-cosmopolita”, di stampo sostanzialmente tecnocratico ma con una tensione maggiore alla legittimità democratica e alla redistribuzione dei redditi; un terzo modello “democratico-regionalista”, in buona sostanza “glocal”, che unisce istanze comunitarie e di base con strategie di cooperazione a livello europeo e internazionale al fine di tutelare le comunità e le persone dagli impatti negativi delle corporation e del neoliberismo attraverso politiche di inclusione sociale e di trasformazione ecologica dell’economia. Quest’ultima opzione è quella che il gruppo di EuroMemorandum ritiene di gran lunga preferibile. Ma non è solo un orizzonte utopico.
Nel Rapporto sono snocciolate infatti le proposte con cui creare l’impalcatura di questo scenario auspicabile. Si è deciso di puntare l’attenzione – ha spiegato la professoressa Marcella Corsi, che fa parte del comitato direttivo dell’EuroMemo Group – sulla necessità di uscire dalla logica del rancore e della paura utilizzati dalla retorica e dalle politiche delle forze sovraniste, e di recuperare relazioni di fiducia e reciprocità anche a livello europeo. “Per questo, dopo lungo dibattito – ha detto Corsi – abbiamo deciso di intitolare il Rapporto di quest’anno Una politica economica per le classi popolari in Europa , dove “popolare” viene dal significato associato al termine spagnolo piuttosto che a quello anglosassone, puntando quindi, al di là delle sacrosante critiche al neoliberismo e all’austerity, alla ricerca di nuovi regimi di assistenza sociale, di tutela e di cura”, volti a ridurre le divergenze classe che sono cresciute esponenzialmente in questi anni. Tra le proposte di EuroMemo ci sono ad esempio l’eliminazione del dumping fiscale nell’Unione e l’istituzione di un bilancio europeo con una dotazione finanziaria consistente, pari almento al 5% del Pil continentale.
“Per questo – ha aggiunto Corsi – come EuroMemo stiamo elaborando una proposta sul reddito di base universale che non guardi solo alla sua sostenibilità finanziaria, ma a come innestarlo in un sistema di servizi di base”, più rispondenti alle necessità attuali. Una misura che non sia necessariamente “cash” ma si leghi invece a piani di lavori socialmente utili. Perché – come ha spiegato Monica Di Sisto, portavoce della Campagna Stop Ttip Italia – “dobbiamo uscire dalla sindrome di Pompei e se abbiamo solo dieci anni per intervenire sul clima è necessario selezionare con criteri ambientali gli investimenti dell’Ue, operare sostegni al welfare ma anche tassare merci e servizi non compatibili con il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani”. E soprattutto in Italia – su questo hanno insistito Marano, Di Sisto e poi Riccardo Sanna, coordinatore dell’area politiche di sviluppo della Cgil – serve una vera politica industriale, che ora non c’è. L’idea, anche del centrosinistra, di favorire i profitti perché questi produrrebbero spontaneamente investimenti e quindi occupazione – per un’industria tutta puntata sull’export e basata sul deprezzamento del costo del lavoro (e quindi sui bassi salari) –, non funziona. E così i 20 miliardi che l’Italia ha quasi ad ogni Legge di Bilancio contrattato con l’Europa in termini di margini di flessibilità e bonus per le imprese o per altri trasferimenti a pioggia alle famiglie – come dice Marano – sono stati finora “solo soldi buttati dalla finestra”. L’Europa – argomenta Sanna – potrebbe rappresentare un enorme bacino di domanda pubblica e privata, con gli Stati come possibili datori di lavoro di ultima istanza e un aumento dei salari (e quindi dei consume), in grado persino di spostare l’asse della geopolitica mondiale.
Invece Bruxelles è paralizzata in una situazione paradossale – ha ricordato in conclusione Mario Pianta, economista di Sbilanciamoci! – nella quale i precetti “classici” dell’austerità protestante non vengono abbandonati, anche se le élite europee sanno ormai benissimo che non possono funzionare. Com’è il caso del Fiscal compact, che nel 2018 ha subito una sonora bocciatura del Parlamento europeo senza però che sia seguito a ciò un cambio di registro. “È una situazione surreale – dice Pianta – dove contraddizioni enormi non vengono affrontate e si chiude un’occhio “alla democristiana”, nell’immobilità totale, mentre gli Usa di Trump continuano a nutrire la bolla finanziaria che prima o poi esploderà, o forse saranno uno shock climatico o l’esplodere delle enormi divergenze tra centro e periferia dell’Europa a rompere questo status quo. Oppure ancora una guerra con l’Iran o con la Cina, per la rivalità geopolitica e tecnologica con gli Usa”.
Manca ancora un’alleanza sociale e un interlocutore politico a Strasburgo, ma gli economisti di EuroMemo e le organizzazioni della società civile italiana della campagna Sbilanciamoci! tentano di sgombrare il campo dalle trappole mentali, a cominciare dal facile refrain “ce lo chiede l’Europa”. L’Europa non è un alibi, esistono modalità per cambiarla, renderla più rispondente ai bisogni e alle domande dei cittadini e ai bisogni delle classi popolari. Per continuare a discutere di tutto questo, EuroMemorandum lancia l’appuntamento del venticinquesimo “Workshop on Alternative Economic Policy in Europe”, intitolato quest’anno “A Green New Deal for Europe – Opportunities and Challenges”, che si terrà il 26-28 settembre 2019 a Parigi, presso l’ Université Paris Nord.
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