Negli Stati Uniti, partendo da diversi studi sulle proprietà antiossidanti e neuroprotettive del cannabidiolo, Catherine Jacobson, neuroscienziata e madre di un bambino con una grave forma di epilessia farmacoresistente, ha iniziato a produrre autonomamente (e illegalmente, dal momento che non aveva l’approvazione della Food and drug administration) un estratto contenente alte concentrazioni di Cbd e basse di Thc. Il miglioramento delle condizioni del figlio ha dato vita a un movimento di genitori di bambini affetti da epilessia. Tra questi c’era anche Sam Vogelstein, un ragazzino di 11 anni che era arrivato ad avere oltre 100 crisi epilettiche al giorno. La sua storia, raccontata su Wired dal padre, il giornalista e scrittore Fred Vogelstein, ha portato nel 2018 all’approvazione da parte della Food and drug administration statunitense dell’estratto di Cbd come trattamento di due forme gravi di epilessia, la sindrome di Lennox-Gastaut e la sindrome di Dravet. Il medicinale, chiamato Epidiolex, contiene solo Cbd naturale estratto direttamente dalla pianta di cannabis. I dati più recenti sull’efficacia del farmaco mostrano che, su 137 bambini che lo hanno assunto per 12 giorni, in quasi il 50% dei casi si è registrata una riduzione delle crisi, addirittura scomparse nel 9% dei casi. 
In Europa molte nazioni, come i Paesi Bassi, la Repubblica Ceca e la Germania hanno preso in considerazione l’utilizzo medico della cannabis e dei cannabinoidi. In Italia, invece, la normativa sulla cannabis terapeutica è ancora molto rigida. Dal 2006 in Italia i medici possono prescrivere prodotti a base di derivati della cannabis confezionati direttamente in farmacia, partendo da infiorescenze essiccate e macinate, a condizione che la pianta sia coltivata su autorizzazione di un organismo nazionale apposito. Dal 2014 le infiorescenze per le preparazioni galeniche sono prodotte dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze. Secondo un decreto ministeriale del 2015 la cannabis in Italia può essere impiegata nella terapia del dolore cronico e di quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale; contro nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per l’Hiv; come stimolante dell’appetito in caso di anoressia o di perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da Aids; per la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette. La prescrizione è però prevista solo nel caso in cui le terapie convenzionali o standard si dimostrano inefficaci.

In realtà l’accesso a queste preparazioni è molto difficile. Prima di tutto, dal momento che non si tratta di farmaci approvati dall’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) non sempre è facile trovare medici disposti a firmare ricette che prevedono preparazioni a base di cannabis. Anche la burocrazia contribuisce a complicare l’iter per ottenerle: per l’approvazione di un piano terapeutico da parte della Asl, che permetterebbe di recuperare le spese, i tempi lunghi non garantiscono la sicurezza di ottenere il rifornimento necessario ogni mese. Molti scelgono di farsi carico personalmente delle spese (circa 12 euro al grammo, per terapie che in media si aggirano sui 150 grammi al mese), mentre altri si affidano all’autoproduzione, rischiando ripercussioni legali. 
L’unica via percorribile è quella di proseguire gli studi scientifici: il meccanismo d’azione dei cannabinoidi non è ancora del tutto chiaro, come non è chiaro il perché una sola famiglia di molecole possa agire su diverse malattie. Le ricerche in merito sono ancora nella fase preliminare, ma molti ricercatori sono concordi nell’affermare che il Cbd ha effetti evidenti su molte malattie. Nora D. Volkow, direttrice del National Institute on drug abuse degli Stati Uniti, ha spiegato che “Sebbene siano necessari altri studi rigorosi per valutare il potenziale clinico del Cbd, la ricerca preclinica sia su colture cellulari che su modelli animali, ha mostrato che il Cbd ha una serie di effetti che potrebbero essere utili dal punto di vista terapeutico: come anticonvulsivante, antiossidante, neuroprotettore, antinfiammatorio, analgesico, antitumorale, antipsicotico e ansiolitico”.  
Intanto anche l’Organizzazione mondiale della sanità ha rivisto dopo sessant’anni la sua posizione sulla cannabis, riconoscendo l’utilità dei cannabinoidi dal punto di vista terapeutico. Questo potrebbe essere il passaggio definitivo per vincere una volta per tutte il pregiudizio sulla pianta e aprire la strada a nuove sperimentazioni di farmaci in grado di migliorare la vita di decine di milioni di pazienti in tutto il mondo.