giovedì 23 maggio 2019

Come Oriana Fallaci e Tiziano Terzani litigarono sul concetto di integrazione

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Nel marzo 2002, a pochi mesi dagli attentati dell’11 settembre 2001 che colpirono le città di New York e Washington, la professoressa Gema Martín Muñoz, tra i maggiori esperti al mondo di cultura araba e islamica, pubblicò un articolo su El Pais intitolato Multiculturalismo e islamofobia. Nel testo analizzava il radicale cambio di atteggiamento del mondo occidentale dopo l’attacco alle Torri gemelle: prima, scriveva la professoressa Muñoz, il dibattito socio-politico era incentrato sui benefici di una società multiculturale. Dopo l’11 settembre, invece, la maggior parte dei media, dei politici e dell’opinione pubblica si dichiaravano contro l’integrazione, vista come una grave minaccia per la sopravvivenza dei valori occidentali. All’indomani di quei tragici eventi tutto il mondo iniziò a chiedersi se una società multiculturale fosse un bene o se, piuttosto, averla incoraggiata negli anni precedenti avesse permesso a una nuova generazione di terroristi di agire indisturbati.

Il dibattito fu molto sentito anche in Italia e le due posizioni vennero rappresentate da due illustri giornalisti: Oriana Fallaci e Tiziano Terzani. I due scrittori si scontrarono a causa delle diverse interpretazioni da dare a quell’episodio, momento a partire dal quale si sono intensificate la diffidenza verso gli stranieri e, nel peggiore dei casi, la xenofobia con cui la società occidentale, epicentro di continui cambiamenti geopolitici, fa i conti ancora oggi. Tiziano Terzani fu il primo a esprimersi, inviando una lettera all’allora direttore del Corriere della sera Ferruccio de Bortoli con l’intento di analizzare l’accaduto ragionando sulle motivazioni dei terroristi, sul ruolo dell’Islam nel movimento di anti-globalizzazione e lanciando un appello ai lettori: per quanto possibile, data l’eccezionalità del momento, non dovevano farsi trascinare nel baratro dalle emozioni più irrazionali, ma accogliere l’idea che la risposta alla brutalità degli attentatori fosse la non violenza. Il 16 settembre 2001 la lettera venne pubblicata con queste parole di apertura: “Il mondo non è più quello che conoscevamo, le nostre vite sono definitivamente cambiate. Forse questa è l’occasione per pensare diversamente da come abbiamo fatto finora, l’occasione per reinventarci il futuro”.

Tiziano Terzani
Oriana Fallaci, decise di rispondere a Terzani e si espose con una lettera – poi diventata anche un libro – pubblicata sempre sul Corriere della sera il 29 settembre 2001 intitolata La rabbia e l’orgoglio. A quell’epoca Fallaci viveva gran parte dell’anno proprio a New York e non parlava pubblicamente da quasi dieci anni “per non mischiarsi alle cicale”. La lettera inizia indicando i due motivi che la spinsero a esprimersi dopo tanto tempo: la rabbia per quanto successo e l’odio contro quelli che lei definì “cicale di lusso, politici o cosiddetti politici, intellettuali o cosiddetti intellettuali, nonché altri individui che non meritano la qualifica di cittadini” rei, a suo dire, di aver tradito gli Stati Uniti e i loro valori gioendo, per giunta, della tragedia che li aveva colpiti. La scrittrice toscana compose una lunga lettera rivolgendosi a un “tu” non meglio identificato – Terzani non viene mai nominato – che interpella chiunque la legga e che le permette di utilizzare il ritmo tipico di un discorso tenuto a braccio: sembra di sentirla parlare con la sua voce roca mentre descrive il nemico di questa nuova guerra con l’affanno dovuto all’incontenibile rabbia. Con quella lettera Fallaci mostra un particolare disprezzo per tutte le ragioni esposte da Terzani e si scaglia praticamente contro tutti: comunisti ed ex comunisti, contro il Vaticano, contro l’Italia descritta come un Paese provinciale abitato da piccoli uomini ben rappresentati dai loro politici che “gelosi, biliosi, vanitosi, piccini, non pensano che ai propri interessi personali. Alla propria carrieruccia, alla propria gloriuccia, alla propria popolarità di periferia”.

Oriana Fallaci
La giornalista non ha parole di stima neanche per i giovani italiani che, a suo dire, non sono scolarizzati e non conoscono neanche Benito Mussolini. Fallaci nella sua lettera attacca anche i neofascisti e l’utilizzo improprio delle bandiere tricolore: “C’è una bella differenza tra un Paese nel quale la bandiera della Patria viene sventolata dai teppisti negli stadi e basta, e un Paese nel quale viene sventolata dal popolo intero”.
La scrittrice fiorentina condanna soprattutto il mondo arabo e islamico, senza riconoscergli la minima dignità culturale: “Perché vogliamo farlo questo discorso su ciò che tu chiami Contrasto-fra-le-Due-Culture? Bè, se vuoi proprio saperlo, a me dà fastidio perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura”. Avviandosi alla conclusione non risparmia nemmeno gli immigrati: “Da noi ci sono venuti di propria iniziativa, coi maledetti gommoni e in barba ai finanzieri che cercavano di rimandarli indietro. Più che d’una emigrazione s’è trattato dunque d’una invasione condotta all’insegna della clandestinità. Una clandestinità che disturba perché non è mite e dolorosa. È arrogante e protetta dal cinismo dei politici che chiudono un occhio e magari tutti e due”. La scrittrice utilizza espressioni e concetti che ritornano nei dibattiti attuali. “La nostra identità culturale non può sopportare un’ondata migratoria composta da persone che in un modo o nell’altro vogliono cambiare il nostro sistema di vita”, scrive Fallaci, con parole che legittimano, ancora oggi le posizioni di alcuni nostri esponenti politici.

Le reazioni all’invettiva della Fallaci furono numerose e molti estimatori della giornalista furono scossi dalla violenza delle sue parole. Tra i lettori delusi ci furono Dacia Maraini, Umberto Eco e più di tutti proprio Tiziano Terzani. Nel libro intitolato Lettere contro la guerra che racchiude tutte le missive, comprese quelle rivolte alla collega Oriana, edito nell’anno successivo agli attentati, Terzani racconta che la risposta della Fallaci gli procurò “una gran tristezza”, perché capì che “il punto centrale della risposta della Oriana era non solo di negare le ragioni del nemico, ma di negargli la sua umanità, il che è il segreto della disumanità di tutte le guerre”.
Nella lettera successiva, intitolata Il sultano e San Francesco, Terzani rispose a Fallaci ricordandole gli obblighi che la professione di giornalista comporta: “È un momento di enorme responsabilità perché certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi […] E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza?”.

Il dibattito tra i due giornalisti infiammò l’opinione pubblica dell’epoca: stupì soprattutto che due importanti intellettuali dalla vita personale e professionale molto simile – entrambi fiorentini, antifascisti, giornalisti e reporter di guerra, testimoni dei conflitti più importanti del Novecento – potessero avere idee tanto contrastanti su quel momento storico.
L’11 settembre 2001 ha sconvolto le certezze di tutti e il peso storico di quell’evento è così importante che a distanza di quasi vent’anni il mondo occidentale non è ancora riuscito a metabolizzarlo. La maggior parte dei governi dei Paesi occidentali, che nel frattempo stanno affrontando sfide sempre più difficili come la gestione dei flussi migratori dall’Africa e dal Sud America, non riconoscono nell’integrazione e nel multiculturalismo una soluzione, ma proprio come all’indomani degli attentati alle Torri gemelle, intercettano a fini elettorali le paure più irrazionali dei loro elettori, fomentando una retorica basata sull’esclusione e la diffidenza verso il diverso.

Oriana Fallaci a una conferenza stampa a New York, 1975
Anche l’Italia è sempre più divisa tra chi respinge con ferocia ogni possibilità di integrazione – come il ministro degli Interni Matteo Salvini che parla, citando peraltro Oriana Fallaci, di “islamizzazione incontrollata” per motivare le sue politiche anti-immigrati – e chi crede che solo una corretta integrazione possa garantire un futuro di ordine e pace. Emblematica di questa frattura è stata la visita del 13 maggio all’Università La Sapienza di Roma di Mimmo Lucano. Il sindaco sospeso di Riace, invitato a tenere una conferenza sul tema dell’integrazione basata sull’esperienza del suo operato nel comune calabrese, è stato osteggiato da gruppi di estrema destra che avevano deciso di impedire il suo intervento. Circostanza che, nonostante i tafferugli, non si è verificata.
Oggi il dibattito tra Terzani e Fallaci offre una grande lezione per leggere il presente. A chi si sentisse ancora suggestionato dalle parole della Fallaci, basta ricordare che la politica occidentale a guida statunitense, all’indomani dell’11 settembre, fu di aggressione: il governo degli Stati Uniti diede in pasto all’opinione pubblica un nemico, lo identificò, ne costruì un’immagine ancora peggiore – come è ben documentato nel film Vice di Adam McKay – e così legittimò l’invasione dell’Afghanistan e poi dell’Iraq, creando una situazione di instabilità che fu poi terreno fertile per la nascita dello Stato islamico, creato proprio per combattere l’occupazione statunitense in Iraq. Come scrisse Chalmers Johnson, accademico dell’Università di Berkeley, nel numero di The Nation del 15 ottobre 2001: “Gli assassini suicidi dell’11 settembre non hanno attaccato l’America: hanno attaccato la politica estera americana”.

Non evolveremo come società fino a quando non capiremo che le politiche che non tengono conto degli esseri umani, delle esigenze delle altre culture e che non le rispettano sono la causa principale dei disastri che ormai da quasi vent’anni siamo abituati a vivere sulla nostra pelle. Bisogna sempre diffidare di chi fornisce spiegazioni semplici e sintetiche a problemi complessi: come rispose Terzani a Fallaci nella sua lettera: “Niente nella storia umana è semplice da spiegare e fra un fatto e un altro c’è raramente una correlazione diretta e precisa. Ogni evento, anche della nostra vita, è il risultato di migliaia di cause che producono, insieme a quell’evento, altre migliaia di effetti”.
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