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Nel marzo 2002, a pochi mesi dagli attentati dell’11 settembre 2001 che
colpirono le città di New York e Washington, la professoressa Gema
Martín Muñoz, tra i maggiori esperti al mondo di cultura araba e
islamica, pubblicò un articolo su El Pais intitolato Multiculturalismo e islamofobia.
Nel testo analizzava il radicale cambio di atteggiamento del mondo
occidentale dopo l’attacco alle Torri gemelle: prima, scriveva la
professoressa Muñoz, il dibattito socio-politico era incentrato sui
benefici di una società multiculturale. Dopo l’11 settembre, invece, la
maggior parte dei media,
dei politici e dell’opinione pubblica si dichiaravano contro
l’integrazione, vista come una grave minaccia per la sopravvivenza dei
valori occidentali. All’indomani di quei tragici eventi tutto il mondo
iniziò a chiedersi se una società multiculturale fosse un bene o se,
piuttosto, averla incoraggiata negli anni precedenti avesse permesso a
una nuova generazione di terroristi di agire indisturbati.
Il dibattito fu molto sentito anche in
Italia e le due posizioni vennero rappresentate da due illustri
giornalisti: Oriana Fallaci e Tiziano Terzani.
I due scrittori si scontrarono a causa delle diverse interpretazioni da
dare a quell’episodio, momento a partire dal quale si sono
intensificate la diffidenza verso gli stranieri e, nel peggiore dei
casi, la xenofobia con cui la società occidentale, epicentro di continui
cambiamenti geopolitici, fa i conti ancora oggi. Tiziano Terzani fu il
primo a esprimersi, inviando una lettera all’allora direttore del Corriere della sera Ferruccio
de Bortoli con l’intento di analizzare l’accaduto ragionando sulle
motivazioni dei terroristi, sul ruolo dell’Islam nel movimento di
anti-globalizzazione e lanciando un appello ai lettori: per quanto
possibile, data l’eccezionalità del momento, non dovevano farsi
trascinare nel baratro dalle emozioni più irrazionali, ma accogliere
l’idea che la risposta alla brutalità degli attentatori fosse la non
violenza. Il 16 settembre 2001 la lettera venne pubblicata con queste
parole di apertura: “Il mondo non è più quello che conoscevamo, le
nostre vite sono definitivamente cambiate. Forse questa è l’occasione
per pensare diversamente da come abbiamo fatto finora, l’occasione per
reinventarci il futuro”.
Oriana Fallaci, decise di rispondere a Terzani e si espose con una
lettera – poi diventata anche un libro – pubblicata sempre sul Corriere della sera il 29 settembre 2001 intitolata La rabbia e l’orgoglio.
A quell’epoca Fallaci viveva gran parte dell’anno proprio a New York e
non parlava pubblicamente da quasi dieci anni “per non mischiarsi alle
cicale”. La lettera inizia indicando i due motivi che la spinsero a
esprimersi dopo tanto tempo: la rabbia per quanto successo e l’odio
contro quelli che lei definì “cicale di lusso, politici o cosiddetti
politici, intellettuali o cosiddetti intellettuali, nonché altri
individui che non meritano la qualifica di cittadini” rei, a suo dire,
di aver tradito gli Stati Uniti e i loro valori gioendo, per giunta,
della tragedia che li aveva colpiti. La scrittrice toscana compose una
lunga lettera rivolgendosi a un “tu” non meglio identificato – Terzani
non viene mai nominato – che interpella chiunque la legga e che le
permette di utilizzare il ritmo tipico di un discorso tenuto a braccio:
sembra di sentirla parlare con la sua voce roca mentre descrive il
nemico di questa nuova guerra con l’affanno dovuto all’incontenibile
rabbia. Con quella lettera Fallaci mostra un particolare disprezzo per
tutte le ragioni esposte da Terzani e si scaglia praticamente contro
tutti: comunisti ed ex comunisti, contro il Vaticano, contro l’Italia
descritta come un Paese provinciale abitato da piccoli uomini ben
rappresentati dai loro politici che “gelosi, biliosi, vanitosi, piccini,
non pensano che ai propri interessi personali. Alla propria
carrieruccia, alla propria gloriuccia, alla propria popolarità di
periferia”.
La giornalista non ha parole di stima neanche per i giovani italiani
che, a suo dire, non sono scolarizzati e non conoscono neanche Benito
Mussolini. Fallaci nella sua lettera attacca anche i neofascisti e
l’utilizzo improprio delle bandiere tricolore: “C’è una bella differenza
tra un Paese nel quale la bandiera della Patria viene sventolata dai
teppisti negli stadi e basta, e un Paese nel quale viene sventolata dal
popolo intero”.
La scrittrice fiorentina condanna soprattutto il mondo arabo e
islamico, senza riconoscergli la minima dignità culturale: “Perché
vogliamo farlo questo discorso su ciò che tu chiami
Contrasto-fra-le-Due-Culture? Bè, se vuoi proprio saperlo, a me dà
fastidio perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano
come se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale
misura”. Avviandosi alla conclusione non risparmia nemmeno gli
immigrati: “Da noi ci sono venuti di propria iniziativa, coi maledetti
gommoni e in barba ai finanzieri che cercavano di rimandarli indietro.
Più che d’una emigrazione s’è trattato dunque d’una invasione condotta
all’insegna della clandestinità. Una clandestinità che disturba perché
non è mite e dolorosa. È arrogante e protetta dal cinismo dei politici
che chiudono un occhio e magari tutti e due”. La scrittrice utilizza
espressioni e concetti che ritornano nei dibattiti attuali. “La nostra
identità culturale non può sopportare un’ondata migratoria composta da
persone che in un modo o nell’altro vogliono cambiare il nostro sistema
di vita”, scrive Fallaci, con parole che legittimano, ancora oggi le
posizioni di alcuni nostri esponenti politici.
Le reazioni all’invettiva della Fallaci furono numerose e molti
estimatori della giornalista furono scossi dalla violenza delle sue
parole. Tra i lettori delusi ci furono Dacia Maraini, Umberto Eco e più di tutti proprio Tiziano Terzani. Nel libro intitolato Lettere contro la guerra che racchiude tutte le missive, comprese quelle rivolte alla collega Oriana, edito nell’anno successivo agli attentati, Terzani
racconta che la risposta della Fallaci gli procurò “una gran
tristezza”, perché capì che “il punto centrale della risposta della
Oriana era non solo di negare le ragioni del nemico, ma di negargli la
sua umanità, il che è il segreto della disumanità di tutte le guerre”.
Nella lettera successiva, intitolata Il sultano e San Francesco,
Terzani rispose a Fallaci ricordandole gli obblighi che la professione
di giornalista comporta: “È un momento di enorme responsabilità perché
certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a
risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio
che dorme in ognuno di noi […] E tu, Oriana, mettendoti al primo posto
di questa crociata contro tutti quelli che non sono come te o che ti
sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza?”.
Il dibattito tra i due giornalisti infiammò l’opinione pubblica
dell’epoca: stupì soprattutto che due importanti intellettuali dalla
vita personale e professionale molto simile – entrambi fiorentini,
antifascisti, giornalisti e reporter di guerra, testimoni dei conflitti
più importanti del Novecento – potessero avere idee tanto contrastanti
su quel momento storico.
L’11 settembre 2001 ha sconvolto le certezze di tutti e il peso
storico di quell’evento è così importante che a distanza di quasi
vent’anni il mondo occidentale non è ancora riuscito a metabolizzarlo.
La maggior parte dei governi dei Paesi occidentali, che nel frattempo
stanno affrontando sfide sempre più difficili come la gestione dei flussi migratori dall’Africa e dal Sud America,
non riconoscono nell’integrazione e nel multiculturalismo una
soluzione, ma proprio come all’indomani degli attentati alle Torri
gemelle, intercettano a fini elettorali le paure più irrazionali dei
loro elettori, fomentando una retorica basata sull’esclusione e la
diffidenza verso il diverso.
Anche l’Italia è sempre più divisa tra chi respinge con ferocia ogni
possibilità di integrazione – come il ministro degli Interni Matteo
Salvini che parla,
citando peraltro Oriana Fallaci, di “islamizzazione incontrollata” per
motivare le sue politiche anti-immigrati – e chi crede che solo una
corretta integrazione possa garantire un futuro di ordine e pace.
Emblematica di questa frattura è stata la visita
del 13 maggio all’Università La Sapienza di Roma di Mimmo Lucano. Il
sindaco sospeso di Riace, invitato a tenere una conferenza sul tema
dell’integrazione basata sull’esperienza del suo operato nel comune calabrese,
è stato osteggiato da gruppi di estrema destra che avevano deciso di
impedire il suo intervento. Circostanza che, nonostante i tafferugli,
non si è verificata.
Oggi il dibattito tra Terzani e Fallaci offre una grande lezione per
leggere il presente. A chi si sentisse ancora suggestionato dalle parole
della Fallaci, basta ricordare che la politica occidentale a guida
statunitense, all’indomani dell’11 settembre, fu di aggressione: il
governo degli Stati Uniti diede in pasto all’opinione pubblica un
nemico, lo identificò, ne costruì un’immagine ancora peggiore – come è
ben documentato nel film Vice
di Adam McKay – e così legittimò l’invasione dell’Afghanistan e poi
dell’Iraq, creando una situazione di instabilità che fu poi terreno
fertile per la nascita dello Stato islamico, creato proprio per combattere l’occupazione statunitense in Iraq. Come scrisse Chalmers Johnson, accademico dell’Università di Berkeley, nel numero di The Nation
del 15 ottobre 2001: “Gli assassini suicidi dell’11 settembre non hanno
attaccato l’America: hanno attaccato la politica estera americana”.
Non evolveremo come società fino a quando non capiremo che le
politiche che non tengono conto degli esseri umani, delle esigenze delle
altre culture e che non le rispettano sono la causa principale dei
disastri che ormai da quasi vent’anni siamo abituati a vivere sulla
nostra pelle. Bisogna sempre diffidare di chi fornisce spiegazioni
semplici e sintetiche a problemi complessi: come rispose Terzani a
Fallaci nella sua lettera:
“Niente nella storia umana è semplice da spiegare e fra un fatto e un
altro c’è raramente una correlazione diretta e precisa. Ogni evento,
anche della nostra vita, è il risultato di migliaia di cause che
producono, insieme a quell’evento, altre migliaia di effetti”.
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giovedì 23 maggio 2019
Come Oriana Fallaci e Tiziano Terzani litigarono sul concetto di integrazione
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