Molti dei guai che affliggono la popolazione italiana e di quasi tutti i paesi del Vecchio Continente derivano dalla linea “ordoliberista” assunta dall’Unione Europea davanti alla crisi. Ve lo diciamo spesso, quindi ne sarete o convinti o stufi. Però c’è anche una quota di follia che emana direttamente dalla miserabile imprenditoria nostrana – capace di far profitti solo impossessandosi di patrimonio pubblico svenduto a saldo (es: Telecom, Alitalia, ecc) o in concessione (Autostrade, per capirci). Per riuscirci, questa imprenditoria deve disporre di una “classe politica” di infimo ordine, pronta a eseguire direttive in cambio di mazzette (aver eliminato il finanziamento pubblico dei partiti è stato un assist alla peggiore corruzione, che prima era fortissima, ma ora è dilagante).
E l’ha trovata. O meglio, l’ha selezionata nel corso dell’ultimo quarto di secolo, tra maggioritario e “nominati”, fino ad avere uno squadrone di attori di quart’ordine, pronti a recitare qualsiasi parte in qualsiasi “partito”, cambiandolo anche spesso senza perdersi una battuta.
Un ceto politico di questa statura – un foglio di carta velina ha uno spessore maggiore – non può per definizione avere alcuna visione del futuro, dei problemi del paese, dei bisogni veri della popolazione. Lo si vede chiaramente in questa campagna elettorale, dove si parla solo di immigrati da rispedire a casa (in un paese in calo demografico costante e accelerato!), di rimborsi mancati e paccottiglia varia.
Naturalmente tutti – tutti, anche e soprattutto i Cinque Stelle – promettono liberalizzazioni, privatizzazioni, spazio ai privati e alle aziende, riduzione delle spese sociali (sanità, welfare, istruzione, ecc) ma non di quelle militari. Dove tutti vanno giù duri sono i trasporti pubblici, da privatizzare il prima possibile, per dare spazio al “privato che lo sa fare meglio” (anzi: così bene da non averci mai neanche provato).
Il caso dell’Atac di Roma – giunta grillina – è quasi emblematico, ma non è l’unico
Ma questa privatizzazione, almeno, ce l’ha ordinata l’Unione Europea?
Sì e no. Ovviamente la Ue benedice di default ogni riduzione di spesa pubblica, ma lascia un certo margine – assai piccolo – per scegliere cosa tagliare e cosa promuovere.
La notizia che arriva oggi dalla Germania, infatti, mostra che persino dentro la gabbia Ue si può fare qualcosa di diverso. Se sei la Germania, però, con parecchi anni di surplus commerciale alle spalle (il contrario del deficit, insomma). Gli altri si arrangino, se ci riescono…
Cosa stanno meditando i terribili tedeschi? Si sono posti il problema di come ridurre le emissioni di anidride carbonica e schifezze varie derivanti dalla circolazione di mezzi privati. Un classico problema “di sistema”, in un territorio determinato e con limiti di tolleranza già fissati per legge e secondo le “direttive europee”. Sia la Germania che l’Italia, del resto, stanno viaggiando verso una condanna comunitaria per sforamento costante dei parametri di polveri sottili nell’aria in quasi tutte le grandi città, con relativa sanzione economica salata.
In Italia questo problema viene affrontato dai singoli comuni vietando il traffico e facendo la danza della pioggia. E basta. Come se la gente potesse andare al lavoro – è in qualunque altro posto – a piedi o in bici (sperando che non piova, però).
In Germania, invece, stanno lavorando a una soluzione vera, non solo di comunicazione. E quale ipotesi ha prevalso? La più banale, diciamolo subito, ossia quella dal forte sapore comunista: mezzi pubblici gratuiti per tutti. Ohibò…
Lo schema è prettamente centralista: lo Stato prende in mano la situazione e finanzierà i comuni per aiutarli a ridurre o annullare il prezzo del biglietto, in base al più razionale dei calcoli: se aumenti il numero di mezzi pubblici circolanti e azzeri il prezzo per gli utenti nessuno o quasi userà più la macchina o un motociclo per gli spostamenti quotidiani di routine. In fondo, il buco da coprire nei bilanci comunali sarebbe nell’ordine dei 13 miliardi l’anno (in Italia, con una popolazione minore, sarebbe ovviamente molto meno, corruzione permettendo…).
Risultato prevedibilissimo: meno emissioni inquinanti uguale meno malattie (di ogni tipo, a cominciare da quelle respiratorie e neoplastiche, con una stima di 400.000 morti l’anno), uguale minor spesa sanitaria, oltre che risparmio in sanzioni europee. Anche a livello sistemico, un eventuale leggero aumento del carico fiscale sarebbe ampiamente compensato – nei bilanci familiari – da uno straordinario risparmio rispetto all’uso dell’auto privata (carburante, usura del mezzo, incidenti, multe, stress, ecc).
Siccome sono tedeschi ordoliberisti, e non comunisti, questa soluzione sarà intanto testata in via sperimentale in almeno cinque grandi città, entro l’anno: Essen, Bonn, Mannheim, Herrenberg e Reutlingen.
L’ipotesi è seria, perché non prevede affatto una contemporanea “liberalizzazione” dei trasporti pubblici privati. Anche il car sharing e i taxi, oltre alle auto a noleggio, saranno sottoposti a più rigide prescrizioni, disincentivandone di fatto l’utilizzo.
Qualcuno sospetta che questa sia la conclusione obbligata del lungo percorso iniziato con lo scandalo del dieselgate, in cui si scoprì che tutte le maggiori aziende automobilistiche tedesche truccavano i test sulle emissioni inquinanti. Il passo successivo sarà l’incentivazione delle auto elettriche, ma agli esperti non sfugge che quest’ultima è una soluzione solo apparente. Le auto elettriche infatti, non emettono gas inquinanti lì dove vengono usate. Ma da qualche parte deve essere prodotta l’energia elettrica necessaria a rifornirle. E di certo ben poca di quell’energia arriverà da fonti pulite o rinnovabili (idroelettrico, eolico, solare, ecc), mentre il grosso verrà fornito da centrali nucleari, a gas o addirittura a carbone.
Sono liberisti, mica comunisti, dicevamo. Dunque agiscono per permettere un altro business, non per eliminarlo. Ma anche in questo, sono meno servi etrasporto pubblico, germania,gratuito,emissioniesperimento,stato,comuni,spesa,sanzioni,unione europea peracottari che dalle nostre parti…
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