Ma
ormai è un'abitudine. A Roma si decide, si dispone. Poi nel paese ci si
adegua. Dopo il quinquennio terribile (2011-2015) costato 9 miliardi di
tagli ai bilanci dei Comuni italiani, molti hanno intonato il peana
della fine delle sofferenze, della rinnovata autonomia con risorse
liberate per investimenti, soprattutto e per la fine della forsennata
caccia alla spesa corrente da tagliare. Invece non è così. Si dirà:
magli effetti del nuovo contratto del pubblico impiego colpisce tutti i
comparti della Pa! Vero. Peccato che non tutta la Pa abbia contribuito
allo stesso modo in questi anni di tagli alla spesa. Peccato che ancora
le Amministrazioni centrali non possano vantare saldi di bilancio
positivi nel 2016. Gli enti locali sì. I Comuni soprattutto sono stati
virtuosi. Anche e soprattutto tagliando negli anni scorsi proprio sulla
spesa per il personale.
Il
blocco del turn over, anche questo imposto a livello centrale, senza
alcuna attenzione alle diversità territoriali e alle esigenze di un
personale rinnovato e nuovamente formato per attrezzarsi alle nuove
regole del bilancio armonizzato, così come ai formalismi del nuovo
Codice degli appalti. Il personale così penalizzato, in termini di
quantità e qualità delle risorse utilizzabili, non ha sempre potuto
governare gare e bandi per investire le nuove risorse disponibili. Non
si riesce a spendere, proprio perché è sempre più raro il personale
capace di farlo con competenza ed efficacia.
Dopo
i sacrifici per turn over bloccato e del depauperamento delle risorse
umane e delle professionalità negli uffici delle Pa del territorio, ecco
una nuova crescita della spesa "obbligata" dal nuovo contratto, che
finirà per far ridurre altre voci della spesa corrente: più soldi in
busta paga ai dipendenti pubblici, ancora meno servizi per i cittadini,
in una tristissima "guerra tra poveri", frutto di un'incapacità di
programmazione e di organizzazione da parte del Governo centrale.
L'incoerenza
dimostrata dal rinnovo del contratto del pubblico impiego, che il
Governo non ha minimamente calcolato negli effetti da gestire sui Comuni
e gli altri enti territoriali, è l'ennesima prova di una progressiva
disarticolazione delle linee di collaborazione istituzionale nel nostro
paese. Lo stesso approccio che ha visto abolire le Province, salvo poi
farle rivivere senza competenze; lo stesso approccio che ha visto far
ricadere sulle Regioni le incombenze amministrative delle Province,
stravolgendo il mandato istituzionale delle Regioni: legislazione, non
amministrazione. A loro volta le Regioni – in questo caso la mia
Regione, le Marche, si è distinta per un'insensibilità particolare per i
Comuni – hanno scaricato nuovi oneri amministrativi sui Comuni (come le
funzioni di genio civile), ingolfando una macchina amministrativa
locale già oberata e depauperata di risorse umane e finanziarie.
È
la legge del cerino; il programma dello scaricabarile che praticano
ignobilmente le nostre Istituzioni centrali e regionali. Ogni tanto,
almeno in punta di diritto, questo approccio dittatoriale viene
sanzionato. Anche la recente sentenza 247/2017
della Corte Costituzionale ha sancito l'illegittimità dello Stato
nell'appropriarsi dei risparmi generati dalle Amministrazioni locali. I
tagli alla spesa pubblica dei Comuni sono stati "incamerati" dalla
contabilità nazionale, come saldo di bilancio dello Stato. Secondo la
Consulta lo Stato non è legittimato ad acquisire i benefici della
spending review generata dalle Pa locali. Non ci si può far belli dei
sacrifici altrui: la regola vale per tutti. Secondo la Corte
costituzionale, vale anche per lo Stato italiano. Vedremo con quanta
solerzia questo sacrosanto principio diventerà prassi. Legittimo avere
qualche dubbio. Per esperienza.
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