Nel messaggio di Bergoglio quest'anno ce n’è per tutti.
Nel suo excursus, Bergoglio assume lo sguardo dei bambini, dal buco nero dell'Africa Centrale, che li rapisce innocenti e restituisce combattenti, al cielo incandescente della Corea, dove la scia luminosa della cometa si confonde con quella dei missili balistici.
Mentre il pianeta si contende Gerusalemme, la Chiesa di Francesco ritorna bambina e si protende a Betlemme: verso le tante, anonime Betlemme che spuntano dalla storia e sbiadiscono nella memoria, fluida, dei contemporanei, ma trovano fissa dimora e promessa fioritura nell'agenda, e sull'atlante, del Romano Pontefice. Ossia nel programma e nell'organigramma di un prossimo conclave. Rinnovando venti secoli dopo la magia e l'energia rigeneratrice del Natale cristiano.
Fuor e fior di metafora. E' questo l'epilogo geografico dell'apologo evangelico, nell'orizzonte dell'umanità globalizzata.
Come in un film di Frank Capra o in una fiaba dei fratelli Grimm, al traguardo del quinto anno pontificato, la parabola del Papa venuto dai confini del mondo racconta di sconfitte interne e riforme mancate, sicuramente, ma pure di cenerentole elette regine, immantinente, calzando la scarpetta cardinalizia e scalzando dalla vetta natalizia dell'albero gerarchico nomenclature a lungo intangibili.
Morelia e Mérida, Les Cayes e San José de David, Bamako e Ouagadougou, Bangui e Santiago de Cabo Verde, Port Louis e Port Moresby, Nuku'alofa e Tlalnepantla, Cotabato e Pakse, Dacca e Yangon: dalle sabbie del Sahel alle spiagge dei mari del Sud, dai deserti che spingono alla fuga i diseredati ai sobborghi delle metropoli che li attraggono.
Città semisconosciute o isole sperdute, in fondo alle hit della notorietà e del reddito, ricevono la chiamata degli angeli, alla stregua dei pastori, e vengono ammesse al presepe di Bergoglio, per contemplare da vicino il figlio di Dio e prepararsi un giorno all'elezione del suo Vicario.
Se la "sfinge" curiale – per rassegnata constatazione di Francesco e significativa citazione di Monsignor De Mérode - rimane impassibile e apparentemente invincibile davanti al tentativo di riformarla, o ripulirla, "con uno spazzolino da denti", è altrettanto vero che la "piramide" nel suo insieme, a livello globale, risulta spiazzata a tratti spazzata via, progressivamente, dalla più grande redistribuzione di potere geopolitico, e genealogico, nella storia bi-millenaria dell'istituzione.
Al punto da chiedersi quale sia l'obiettivo autentico del Pontefice: tra il bersaglio immobile dell'Urbe, che di anno in anno delegittima e destabilizza con ironia creola (un dentista, restando al celebre paragone del gesuita De Mérode, osserverebbe che non riuscendo a curare la carie la devitalizza e incapsula, per contenerne il danno), e lo scenario dell'Orbe, dove viceversa il movimento, e cambiamento, si mostrano continui e irreversibili.
Un filo rosso che di viaggio in viaggio, attraverso una tenace, sagace tessitura di nomine cardinalizie, ha modificato la pigmentazione purpurea del mappamondo e collocato le "chiese bambine" in vantaggio su Roma e Gerusalemme. Un "codice Bergoglio", che dallo scoglio di Lampedusa e dal groviglio del Bangladesh - Myanmar conduce dritto sulla soglia della Sistina, dove si sceglierà l'eletto al soglio, con il bagaglio di genialità e ingenuità, inesperienza e intraprendenza che l'anagrafe reca in dote. Mentre risuonano le parole del profeta: "Non sei davvero il più piccolo capoluogo ... da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo".
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