giovedì 28 dicembre 2017

No, il Reddito di base non è paragonabile ai forestali o ai baby-pensionati

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L’articolo seguente non è un comunicato ufficiale del Partito Pirata, ma un libero contributo di uno o più Pirati. Pertanto il suo contenuto non è attribuibile al Partito Pirata né è necessariamente condiviso da esso.
Lo scorso 28 ottobre il filosofo ed economista Philippe Van Parijs è intervenuto a Bologna per l’annuale lettura del Mulino, con una Lectio Magistralis sul Reddito di base incondizionato (a cui è dedicato anche il suo ultimo libro).
Il resto del mondo del giornalismo italico, nel frattempo, ha scoperto una nuova strategia per demonizzare il Basic Income: paragonarlo ad alcuni obbrobri assistenzial-demagogici partoriti nella Prima Repubblica dai governi democristiani.
Gli antecedenti del reddito di base sono stati identificati ora con le baby pensioni (Elisa Serafini, ora con i leggendari forestali di Sicilia (Marcotti su Infosannio e Cancellato su Linkiesta).
Vale dunque la pena spendere qualche parola per chiarire perché questi paragoni siano infondati e fuorvianti.
In primo luogo, il Reddito di Base è -come dice il nome stesso- una cifra sufficiente a coprire la soglia di povertà del beneficiario (il già citato Van Parijis ha calcolato che per l’Italia si aggirerebbe tra i 270 e i 500€ mensili a persona). Chi lo percepisce difficilmente si accontenterà di campare solo con questo reddito (ammesso che sia possibile farlo); cercherà più probabilmente un impiego, e in questo contesto anche un part-time potrebbe risultare sufficiente a vivere in tranquillità.

Lo stipendio da forestale o le baby-pensioni, al contrario, sono redditi completi, in grado di permettere al ricevente di campare di rendita per il resto dei suoi giorni, e senza che lo Stato pretenda alcunché in cambio.
Le maggiori differenze, ad ogni modo, riguardano l’arbitrarietà e la tendenza alla discriminazione di questi fenomeni.
La strada che portava a diventare baby-pensionati o pseudo-forestali era (ed è tuttora) lastricata di clientelismo, corruzione e familismo amorale; il leggendario “posto fisso nel pubblico”, ben retribuito e tutelato dal punto di vista previdenziale, ha rappresentato per decenni l’unica prospettiva per potersi costruire un futuro, soprattutto al confronto con l’iniziativa imprenditoriale privata, funestata apparati burocratici parassitari, corporativismi e pizzi da pagare al malavitoso di zona.
E che ha permesso a generazioni di Cetto La Qualunque di garantirsi elezioni e ri-elezioni, grazie al collaudatissimo baratto tra voti e assunzioni nel pubblico.
Il fatto che oggi ci siano generazioni che arrivano a fine mese solo grazie alla leggendaria paghetta di mamma e papà o alla pensione del nonno, altro non è che una conseguenza fisiologica di questa situazione. Il nostro sistema di protezione sociale è stato giustamente definito dalla redazione di Linkiesta commentando il Global Gender Gap Report di quest’anno)
costruito attorno alla figura del “capofamiglia” maschio, adulto, meno istruito, soggetto sociale attorno alle cui paure e al cui bisogno di protezione lo Stato italiano, i partiti, i sindacati tutti continuano a costruire le loro proposte politiche
Le generazioni che più hanno avuto nei decenni passati stanno adesso mantenendo quelle a cui oggi non si può dar più nulla, perché i non-rimedi fino a poco fa usati (svalutare continuamente la moneta e fare debito all’infinito) non si possono più usare.
Se nella Prima Repubblica si fosse istituito un vero Reddito di Base, al posto di questa selettiva e clientelare distribuzione di privilegi (ci sono ancora circa mezzo milione di baby-pensionati. Oltre 12 milioni di persone ricevono ancora l’assegno previdenziale calcolato sulla base del vecchio sistema retributivo, e la spesa a carico della fiscalità generale per coprire queste somme non versate ammonta a quasi 20 miliardi di euro), forse oggi l’Italia sarebbe un Paese con una ricchezza distribuita un po’meglio.

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