mercoledì 27 dicembre 2017

Ma guarda un po'? Ma non vi viene il dubbio che sia il momento di cambiare radicalmente..Le pensioni dei manager le pagano operai e precari: come stanno davvero le casse dell'Inps. .

La situazione della previdenza italiana non è drammatica come la dipingono alcuni, almeno per il momento. Ma ci sono categorie che vivono sulle spalle di altre. Vi raccontiamo quali sono e quanto finiscono per costare ai giovani.

L'Espresso Gloria Riva

Le pensioni dei manager le pagano operai e precari: come stanno davvero le casse dell'Inps Dopo anni di conti sul filo, nel 2017 il patrimonio dell'Inps è sceso sotto zero, a meno 7,9 miliardi. I soldi sono finiti e così, nella legge finanziaria, spunta il maquillage per riportare i conti in territorio positivo e poter continuare a garantire grasse pensioni a chi, durante la carriera, ha versato pochissimo e compromesso sempre più il futuro delle giovani generazioni.

Il sistema delle pensioni è in equilibrio o no? Da un lato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, assicura che «il sistema previdenziale italiano è sostenibile nel lungo periodo ed è in equilibrio».
Dall'altro c'è la Commissione Europea che presenta un rapporto sulla sostenibilità dell'Inps da far tremare le vene e i polsi. I risultati del dossier di Bruxelles sono terrificanti: dice che l'Italia è il paese messo peggio (insieme all'Austria) e che ogni anno la spesa per le pensioni pubbliche supera i contributi versati di ben 88 miliardi di euro. Se fosse vero, l'Italia sarebbe in default già da un pezzo. Fortunatamente si tratta solo di un colossale equivoco, che lo scorso 26 novembre il Corriere della Sera prende per vero: il giornale lancia l'allarme pensioni, praticamente intonando il de profundis per l'Inps e per l'Italia intera. L'Espresso, che si è andato a leggere i bilanci dell'Inps, vi racconta qual è effettivamente lo stato di salute della previdenza italiana.


Partiamo rassicurando pensionati e futuri pensionati: non è vero che ogni anno la spesa delle pensioni supera quella dei contributi versati per 88 miliardi di euro. Quelli, in realtà, sono i soldi che ogni anno lo Stato trasferisce all'Inps per l'assistenza agli italiani in difficoltà, fra cui l'indennità di accompagnamento, la quattordicesima ai poveri, il contributo ai giovani e tutta una serie di aiuti che lo Stato, attraverso provvedimenti legislativi, decide di assegnare a favore delle categorie più svantaggiate.

Nel 2016, ad esempio, lo Stato ha trasferito oltre 104 miliardi di euro per coprire quelle spese, di cui 86 utilizzati per l'assistenza e la restante parte (circa 17 miliardi) per l'accompagnamento agli anziani. L'Inps, in questa partita, fa solo da intermediario tra Stato e cittadino, accollandosi compiti che non hanno molto a che vedere con il proprio core business, cioè il pagamento delle pensioni agli anziani, la riscossione dei contributi dei lavoratori e la gestione al meglio di quei quattrini.

Dunque, la situazione delle pensioni italiane non è così drammatica come viene dipinta dalla Commissione Europea, ma qualche problema c'è davvero. Ad esempio, nel 2017 il patrimonio dell'Inps chiuderà in passivo di 7,9 miliardi di euro e toccherà allo Stato dare una mano.



Tutto deriva dalla pessima annata 2016, quando i lavoratori hanno versato nelle casse dell'Inps circa 314 miliardi, mentre i pensionati hanno incassato poco più di 320 miliardi: all'appello mancano 6,2 miliardi. Per pagare tutte le pensioni l'Inps ha dato fondo alle riserve, cioè al proprio patrimonio che, in base alle previsioni, dovrebbe attestarsi a meno 7,9 miliardi di euro nel 2017.

Ad affossare il sistema sono quattro categorie che, per via di pregressi privilegi concessi soprattutto dal vecchio sistema di conteggio retributivo della pensione (che si basava su una stima calcolata in base agli ultimi anni di lavoro e non teneva conto dei contributi versati), ingollano più soldi di quanti ne abbiano accumulati negli anni.

Ad esempio, i manager dell'ex cassa Inpdai, confluita nell'Inps nel 2003 perché aveva accumulato un buco da 600 milioni, incassano pensioni fino al 40 per cento superiori rispetto ai contributi versati. I dirigenti non sono gli unici a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Oltre a loro, ci sono altre tre categorie: gli artigiani, i coltivatori, i dipendenti degli enti locali (comuni, province e regioni) si stanno mangiando - e si continueranno a mangiare - sia i risparmi di operai, precari, nonché i quattrini di riserva, che dovrebbero servire per coprire la cassa integrazione – utile in caso di crisi aziendale -, la malattia e la maternità dei dipendenti dell'industria. «Più che uno squilibrio generazionale, c'è un'ingiustizia fra categorie», spiega Gian Paolo Patta, membro del Civ, il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell'Inps che ogni anno verifica la sostenibilità dell'Ente.


Se l'operaio paga la pensione del boss
La gestione principale dell'Inps si chiama Fpld, Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti, e nel 2016 ha chiuso con un leggero avanzo (690 milioni) grazie ai quattrini che gli operai riescono ad accantonare sia per la pensione (oltre 9,2 miliardi), sia per la Gestione Prestazioni Temporanee che sono i risparmi per la cassa integrazione e le indennità di maternità e malattia, che equivalgono a 3,4 miliardi. Peccato che quei soldi siano stati tutti spesi per la pensione degli ex fondi (trasporti, elettrici, telefonici) e per l'ex fondo Inpdai, quello dei manager e dei dirigenti d'azienda, che nel 2016 segna una voragine di 4,3 miliardi. Proprio i manager negli anni hanno accumulato un debito di 38 miliardi che crescerà sempre di più: «Diventeranno 138 miliardi nel 2035», dice Patta, leggendo un documento prodotto dall'Inps a proposito delle previsioni patrimoniali delle varie casse gestite dall'Inps.

Ma il record assoluto di disavanzo lo produrranno gli artigiani. Nel 2016 chiudono con un rosso di 5,2 miliardi, che si aggiungono ai 61,3 miliardi accumulati negli anni «e che nel 2035 diventeranno ben 220 miliardi di passivo», spiega Patta. Altre gestioni amministrative in affanno sono quelle dei commercianti, dei coltivatori diretti e dei dipendenti pubblici.

Chi tiene in piedi la baracca dell'Inps? Oltre alle tute blu, in soccorso all'ente corrono i parasubordinati, cioè i precari, i meno tutelati di tutti, che nel 2016 hanno creato un tesoretto da 6,7 miliardi, che nel 2025 diventerà di 190 miliardi. Un bel gruzzoletto che i collaboratori possono ammirare solo con un potente binocolo perché, stando alla nuova legge pensionistica (la controversa Legge Fornero), andranno in pensione superati i settantanni e con assegni piuttosto modesti, soprattutto per chi, nei primi anni di carriera, avrà versato contributi a singhiozzo per colpa di un arido mercato del lavoro. Sacrifici che vengono chiesti alle nuove generazioni proprio per coprire gli squilibri prodotti in passato e nel presente.


Fra le casse più compromesse c'è quella dei lavoratori degli enti locali, che nel 2016 registra un risultato negativo di 7,1 miliardi e un buco patrimoniale di 12,9 miliardi che, nel 2025 diventeranno oltre 157 miliardi. «Sull'attività di comuni, province e regioni non c'è alcuna attività ispettiva e l'Inps non ha mai dato ascolto alla nostra richiesta di verificare se, effettivamente, le amministrazioni locali versano i contributi ai dipendenti», spiega Patta.

Dunque, complessivamente il sistema, che si sostiene grazie agli accumuli di operai, parasubordinati e degli accantonamenti speciali, come quello per la cassa integrazione e per la malattia, produce ogni anno dei debiti che vengono coperti con delle anticipazioni dallo Stato. Nel 2016, ad esempio, le casse pubbliche hanno girato all'Inps 3,9 miliardi.


«In circa settant'anni di attività lo Stato ha versato all'Inps circa 100 miliardi di anticipazioni, che con la Finanziaria 2018 verranno cancellati», racconta Patta, aggiungendo che, in questo modo, il governo Gentiloni intende riportare in segno positivo il bilancio dell'Inps e ridurre il debito pubblico, rimediando a un pasticcio nella stesura del bilancio dello Stato. Infatti da un lato la Tesoreria segnava quei cento miliardi anticipati all'Inps tra le spese definitive. Dall'altro lato l'Inps continuava a indicare quel prestito fra i debiti.

«Dal momento che il bilancio dell'Inps fa parte di quello dello Stato, il debito pubblico risultava più alto di 100 miliardi». Il governo Gentiloni, con una norma inserita nella Finanziaria 2018 (quella in fase di approvazione in questi giorni), ha cancellato 88,8 miliardi di debito nei confronti dell'Inps. La mossa consentirà anche di alleggerire i conti in rosso che ogni anno l'Italia presenta a Bruxelles. E dal 2019, grazie alla cancellazione dei debiti, il patrimonio dell'Inps tornerà in territorio positivo. Magie di Stato.

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