Il
“margine di flessibilità” che l’Unione Europea ha concesso in vista
delle elezioni – meglio non esagerare con l’austerità prima, altrimenti
crescerebbero i “sentimenti populisti” – è stato sfruttato
completamente, ma era comunque così limitato che, agli effetti pratici,
non se ne vedrà traccia.
L’intento
del governo è stato spudoratamente quello di presentare delle mini
“misure” che potessero essere vendute in tv o sui giornali come
“concessioni” alle sofferenze di fette amplissime della popolazione. Ma
con risorse così ristrette si tratta di cipria sparsa sulle piaghe. Un
esempio si era già avuto con il contratto delle funzioni centrali del
pubblico impiego, imposto dall’Aran e accettato senza fiatare da
CgilCislUil (solo Usb si è opposta e non firmato): dopo quasi 10 anni di
mandato rinnovo contrattuale sono stati “elargiti” tra i 60 e i 100
euro lordi (35-60 netti), che non coprono neanche l’inflazione degli
ultimi due anni.
Nella
legge di stabilità il trucco è ancora più evidente. I fondi a
disposizione sono praticamente simbolici. Quasi tutte le risorse della
manovra, oltre 15 miliardi su circa 20, sono state destinate a bloccare
l’aumento dell’Iva, che altrimenti sarebbe scattato il primo gennaio.
Per tutti gli altri interventi sono rimasti poco più di 5 miliardi, ma
ben poco finirà in qualche tasca che ne ha bisogno.
Per
accontentare i centristi cattolici resta il cosiddetto “bonus bebè”, ma
pesantemente amputato (da tre anni a uno soltanto e comunque soltanto
per il 2018); 80 euro al mese se il reddito Isee è al di sotto dei 25
mila euro l’anno, il doppio se l’Isee scende sotto i 7 mila euro l’anno.
Fatevi due conti tra pannolini e asilo nido e dite voi se con queste
cifre una coppia si sente “incentivata” a fare figli…
Idem
per le detrazioni fiscali ai genitori: il limite massimo di reddito
incassato dai figli per essere considerati fiscalmente a carico sale dai
2.840 euro lordi l’anno di adesso fino a 4 mila euro, sempre lordi
l’anno. Ovviamente se sono minori di 24 anni. In pratica non cambia
quasi nulla (se avete un figlio che campa di “lavoretti” temporanei
potrete detrarlo dalle tasse come a carico se quel che guadagna è al di
sotto dei 3.000 euro netti l’anno, ossia 250 al mese).
Non
parliamo poi del “reddito di inclusione”, autentica polvere negli occhi
spacciata per “contrasto della povertà”. In teoria dovrebbe partire dal
primo gennaio. E’ una presa in giro già dalle cifre (per una famiglia
di quattro persone, può arrivare fino a 461 euro al mese), ma per
ottenerlo bisogna avere un Isee al di sotto dei 6 mila euro l’anno. E
almeno un minore in casa. Già così si capisce che ben pochi potranno
ottenerlo. Per esempio non potranno chiederlo quanti abbiano finito –
nel 2017 o nella seconda metà del 2016 – gli assegni di mobilità o di
disoccupazione (perché il loro Isee 2015 sarà inevitabilmente superiore,
anche ora non hanno alcun reddito. In pratica riuscirà ad avere
quella “cifra favolosa” soltanto chi sarà riuscito a non morire dopo due
anni senza alcun reddito.
Addirittura
oltraggiosa la misura che viene definita “sistema degli incentivi ad
assumere da parte delle imprese”. Da gennaio, infatti, l’azienda
assumerà un under 35 con un contratto “a tutele crescenti” avrà per tre
anni uno sconto del 50% sui contributi (fino a un massimo di 3 mila
euro). Per chi assume disoccupati da almeno sei mesi e nelle regioni del
Sud, lo sconto raddoppia. Sembrerebbe a prima vista un buona cosa, ma
bisogna sapere che i contributi previdenziali sono a tutti gli effetti
“salario differito”. In pratica, i contributi sono una parte del salario
accantonato per quando il lavoratore andrà in pensione. Dunque “fare
uno sconto” su questi contributi significa automaticamente abbassare il
salario contrattuale e diminuire in proporzione l’assegno pensionistico
che questi giovani lavoratori riceveranno quando – nella vecchiezza
decrepita – smetteranno di dover lavorare. Insomma, una sòla inqualificabile.
Peggio ancora per i cosiddetti caregivers
(e quando si parla inglese la fregatura è sicura), ovvero coloro che si
occupano di un parente anziano o invalido. Per loro vengono stanziati
“addirittura” 60 milioni di euro per i prossimi tre anni; 20 l’anno per
una popolazione di 60 in cui la quota degli anziani e inabili, per il
momento, cresce. Ma neanche questi spiccioli sono veri, perché manca
ogni criterio di attribuzione, perso nei meandri di decreti smarriti nei
cassetti del Senato.
Idem per i “lavori usuranti” che dovrebbero godere della cosiddetta Ape social. Le
categorie esentate dall’aumento dell’età pensionabile a 67 anni (nel
2019) passano da 11 a 15. Uno “sconto” ridicolo (cinque mesi), per un
numero di categorie molto inferiore a quelle interessate. Tanto ridicolo
che nemmeno la Cgil, stavolta, è riuscita ad approvarlo (Cisl e Uil,
naturalmente, sì).
Ma
la vera truffa è un’altra. Per tutte queste misure andranno scritti dei
decreti attuativi, per ora inesistenti. Con l’approvazione della legge
di stabilità si chiude di fatto la legislatura e si sciolgono le Camere
(è questione di pochi giorni, ormai). Dunque spetterà al prossimo
governo provvedere alla bisogna, sempre che se ne ricordi.
In
ogni caso su tutta la manovra pesa la mannaia della Commissione
Europea, che ha già annunciato per maggio una vera e propria messa in
stato d’accusa per lo Stato italiano, con richiesta ultimativa di una
“manovra correttiva” molto pesante. Dunque tutto questo pulviscolo è
destinato ad essere annullato o vanificato da una serie di tagli molto
più drastico; per cui quei pochi “fortunati percettori” di una queste
cosette si vedrà depauperato sotto mille altre voci (sanità, assegni
pensionistici, istruzione, talle indirette sui consumi, come l’aumento
dell’Iva).
Senza
dimenticare, infine, che uno degli ultimi atti del governo Gentiloni è
stato l’accettazione della “proposta Juncker”: rendere il Fiscal Compact
una “legge europea” (fin qui era stato soltanto un “trattato
intergovernativo”, dunque sottoposto ogni anno a contrattazione
politica). Dal 2018, insomma, spariscono anche i “margini di
flessibilità”.
Che altro dire, se non che è ora che il potere torni al popolo?
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