L'annuncio dell'aumento dei costi della bolletta
si traduce in una nuova offensiva pro-gas e contro le rinnovabili da
parte del più importante giornale italiano, spesso inspiegabilmente
scettico sulle rinnovabili.
Le
rinnovabili non c'entrano niente con gli aumenti. Anzi, è lo stesso
governo che riconosce che il costo per incentivi in bolletta - come
previsto - si sta riducendo e nel 2018 sarà di 12 miliardi. In Germania
se ne pagano oltre 20. Preciso peraltro che il decreto che regola gli
incentivi per le rinnovabili fotovoltaiche è scaduto il 31 dicembre
2016. Siamo quindi in ritardo di un anno e le imprese del settore vivono
nell'incertezza del futuro: l'Italia è sempre meno un paese per
rinnovabili, nel 2016 ha ridotto e le emissioni sono ripartite.
Invece
uno dei motivi veri dell'aumento in bolletta, che Tabarelli dimentica, è
lo "sconto" alle industrie energivore che verrà pagato dagli altri
consumatori, comprese le famiglie.
In pratica, le imprese energivore
pagano di meno per quello che consumano e inquinano e il costo va in
bolletta.
Uno sconto accettato dall'Unione europea dopo lunghe
trattative e giustificato dal fatto che i grandi consumatori in Italia
pagano di più della media europea. Vero.
Peccato però che nel concedere
lo sconto il Governo non abbia imposto a quelle aziende energivore alcun
impegno per diventare più efficienti; nessuna prospettiva di
miglioramento da questo punto di vista; altra dimostrazione che,
esattamente come succede con i concessionari per le scelte in materia di
trasporti e le priorità infrastrutturali, in Italia le scelte vere
sull'energia le fanno le imprese energivore e l'Eni.
Per
il gas sta aumentando il costo dei titoli di efficienza energetica
(certificati bianchi) che si pagano in bolletta: è vero. Ma il motivo è
che il Gse, con l'apparente motivo di risparmiare, sta mettendo sempre
più ostacoli al conseguimento degli stessi da parte delle aziende che
fanno efficienza e così sul mercato ci sono sempre meno certificati e
per la legge della domanda/offerta il loro valore che era sempre stato
sui 100 euro ora è balzato a 350. Quindi è sempre colpa delle scelte
politiche: che sono particolarmente miopi perché invece di rafforzare il
nostro sistema manifatturiero che è più efficiente di altri e
valorizzare produzioni che rendono meno "energivori" edilizia e
trasporti, si continua a pensare che per risparmiare si può tagliare su
tutto anche su strumenti indispensabili per favorire la
de-carbonizzazione della nostra economia e si considera che investire
milioni in nuove infrastrutture di gas, che è e rimane un combustibile
fossile, sia compatibile con gli impegni presi a Parigi: impegni che non
sono un'amichevole raccomandazione, ma l'ultima chance di ridurre
l'impatto che già si rivela devastante di un clima sregolato.
La
discussione intorno al ruolo del gas ha preso in Italia e in Europa una
svolta interessante. A suon di soldi spesi in eventi, pubblicazioni e
lobbies (100 milioni di euro nel 2016 secondo Corporate Europe
Observatory) a Roma e Bruxelles sta passando l'idea che il gas è
un'alternativa sostenibile e che la "transizione" verso un "lontano"
mondo a rinnovabili impone ora investimenti pubblici e privati milionari
in infrastrutture; anche se è l'ultima cartuccia di un mondo, quello
fossile, che sa di avere gli anni se non i minuti contati, dare retta a
questi argomenti può costarci molto caro: si verificherebbe un "lock-in
effect", cioè saremmo inchiodati per anni ad una tecnologia o una fonte
di energia dalla quale sarebbe troppo costoso liberarsi; che ci piaccia o
no, puntare sul gas entra in diretta competizione con gli investimenti
ingenti che sarebbero necessari per rendere efficienti il nostro
patrimonio edilizio e i trasporti e per fare ricerca sulle tecnologie di
stoccaggio delle rinnovabili che renderebbero progressivamente
superflue la maggior parte delle centrali oggi esistenti, a partire da
quelle più obsolete.
Ci
sarebbe ancora moltissimo da dire su questo argomento, anche
considerando il fatto che in Europa in queste settimane si stanno
discutendo delle nuove normative in materia di efficienza energetica,
rinnovabili, Energy Union e l'Italia sta giocando un ruolo modesto se
non di retroguardia. Ecco, questo sarebbe un bel tema da campagna
elettorale!
Senza
inutili semplificazioni o atteggiamenti ideologici, la discussione su
come rispondere ai colpi del clima e al tipo di industria, di
organizzazione del lavoro, di città e di mobilità che questo richiederà
sarebbe una bella partita sulla quale confrontare numeri alla mano chi
sta con l'innovazione, l'efficienza, le rinnovabili e chi invece
preferisce i fossili e sta con la testa pervicacemente voltata
all'indietro.
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