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In questi giorni, il fenomeno bitcoin è su tutte le pagine de
giornali. Il bitcoin è una moneta elettronica o criptomoneta che è
stata creata nel 2009 da un anonimo inventore, noto con lo pseudonimo
Satoshi Nakamoto. Per convenzione, il termine Bitcoin, con l’iniziale
maiuscola, si riferisce alla tecnologia e alla rete, mentre il minuscolo
bitcoin si riferisce alla valuta in sé.
Una delle caratteristiche che hanno reso celebre il bitcoin (il
poter essere potenzialmente una moneta alternativa, oltre che
complementare) sta nel fatto che essa non viene emessa da una
istituzione monetaria in condizione di monopolio di emissione, non fa
uso quindi né di un ente centrale né di meccanismi finanziari
sofisticati. Il valore è determinato dall’incrocio tra domanda e
offerta, in un contesto di cambi flessibili: esso utilizza un database
distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle transazioni,
ma sfrutta la crittografia per gestire gli aspetti funzionali, come la
generazione di nuova moneta e l’attribuzione della proprietà dei
bitcoin.
La rete Bitcoin consente il possesso e il trasferimento anonimo
delle monete; i dati necessari a utilizzare i propri bitcoin possono
essere salvati su uno o più personal computer o dispositivi elettronici
quali smartphone, sotto forma di “portafoglio” digitale, o mantenuti
presso terze parti che svolgono funzioni simili a una banca. In ogni
caso, i bitcoin possono essere trasferiti attraverso Internet verso
chiunque disponga di un “indirizzo bitcoin”. La struttura peer-to-peer
della rete Bitcoin e la mancanza di un ente centrale rende impossibile a
qualunque autorità, governativa o meno, il blocco dei trasferimenti, il
sequestro di bitcoin senza il possesso delle relative chiavi o la
svalutazione dovuta all’immissione di nuova moneta[1].
“Bitcoin non è solo “moneta digitale”. La sua nascita e crescita
sono state favorite da una rete di attività che, per alcuni aspetti,
condivideva i principi etici e di gestazione di una comunità: sto
parlando della comunità hacker.”[2] – così si esprimeva Denis Rojo, aka Jaromil, nel 2013.
Al momento (12 dicembre 2017) la criptovaluta scambia in
progresso del 10% circa in area 16.540 dollari, stando all’indice
CoinDesk. L’indice, in rialzo del 156% nell’ultimo mese, fa una media
del valore della moneta digitale sulle piattaforme di scambio Bitstamp,
Coinbase, itBit e Bitfinex. Secondo i dati di Coinmarketcap.com, il
Bitcoin vale 16.752 dollari (+19%) (11 dicembre 2017).
L’11 dicembre 2017, alla borsa di Chicago sulla piattaforma CBOE
(Chicago Board Options Exchange) hanno debuttato i primi contratti
derivati (futures) sui bitcoin con scadenza gennaio. I futures, che
hanno iniziato a scambiare a quota 15mila dollari, sono saliti fino a un
massimo, nella seduta, di 18.700 dollari.
Numerose sono stati i commenti su tale fenomeno e anche Effimera
non poteva esimersi dal farlo, visto che il tema delle criptomonete ha
spesso trovato spazio su queste pagine. Il nostro punto di partenza è
sottolineare che non basta creare una moneta nuova, complementare, con
criteri di funzionamento diversi dalle valute tradizionali, per
assurgere immediatamente al ruolo di moneta alternativa. Al momento sono
circa 5.000 le monete complementari esistenti al mondo (l’ultima, in
ordine di tempo, è il Petro, gestita dal governo Venezuelano per far
fronte alle politiche di embargo da parte degli Usa), ma si contano
sulle dita di una mano quelle che possono definirsi effettivamente
“alternative”.
Da questo punto i vista la parabola del bitcoin è un esempio
paradigmatico dei processi vincenti di sussunzione operati dal capitale.
Nell’analisi della letteratura sull’argomento, ci siamo imbattuti in un articolo pubblicato da Effimera quattro anni fa, il 17 dicembre 2013, scritto da Gianluca Giannelli e Andrea Fumagalli relativo
proprio al fenomeno bitcoin. Una volta riesumato, non abbiamo potuto
far altro che ripubblicarlo, dal momento che già quattro anni fa si era
ben coscienti della deriva che il bitcoin stava prendendo. Una deriva
che porta questa criptomoneta verso la sua fine. Il bitcoin muore, w il
bitcoin. (A.F.)
* * * * *
Arricchimento, clamore, volatilità. Queste le parole associate, di
recente, [2013, ndr.] al fenomeno “bitcoin” (BTC) e, in generale, delle
monete virtuali o criptomonete, come vengono definite.
Molti, anche in Italia, soprattutto nell’ultimo mese, ne hanno
sentito parlare. Pochi ancora sanno cosa sono. Tutti però le associano a
possibilità di ricchezza improvvisa.
Il BTC e le altre circa 40 monete nate in sua emulazione, sono
semplicemente file criptati ovvero sequenze alfanumeriche (numeri e
lettere) generate da computer – a seguito della esecuzione e risoluzione
di un determinato algoritmo – collocati all’interno di una rete “peer
to peer”. (…)
L’idea di per se non è nuova; già le istituzioni governative e
bancarie nazionali, da diverso tempo, hanno intrapreso la strada di
attribuire valore monetario a sequenze di numeri create artificialmente
sulla base delle dinamiche del debito/credito statale, aziendale e
personale. L’algoritmo è ovviamente diverso; in questo contesto la sua
funzione è assolta dalle percentuali di riserva delle banche, dai tassi
di interesse e dalla semplice decisione (il… “fiat” non “lux” ma
“currency”) di generare moneta. Il “quantitative easing” della Fed,
(Banca Centrale USA) ad esempio, genera 85 miliardi di dollari al mese.
L’Ltro della BCE, ne è un altro esempio, se pure con leggere differenze
rispetto al primo.
Oggi, dopo la fine di Bretton Woods, assistiamo alla completa
smaterializzazione della moneta. Il suo valore, convenzionalmente
fissato nel 1944 a Bretton Woods dalla parità fissa con l’oro nel
rapporto di 35 dollari US per oncia d’oro, è decaduto. Da moneta “merce”
e moneta “oro” si passa alla moneta come “puro segno” (Marx), passaggio
che, grazie al processo di finanziarizzazione, ha di fatto ridotto il
peso dei diritti di signoraggio e anche la possibilità da parte delle
Banche Centrali di controllare in toto la massa monetaria in
circolazione e il moltiplicatore creditizio e finanziario che ne
consegue.
La moneta, in questo modo, si smaterializza del tutto. Oggi la moneta
non è più una merce o un bene. Non esiste più un’unità di misura del
valore della moneta, come il metro per la lunghezza o il chilogrammo per
il peso. A prescindere dal fatto che esistono ancora i monopoli di
emissione e i diritti di signoraggio, a prescindere dalla struttura
proprietaria, in quanto non più un bene, la moneta non può neanche
essere definita bene comune. Con la fine degli accordi di Bretton Woods,
il valore della moneta non è più determinato esclusivamente da chi la
emette. La sovranità monetaria (nazionale o sovranazionale, che sia), la
cui governance è il compito della Banca Centrale, tende a perdere
sempre più significato.
Sino alla crisi del fordismo, l’istituto della Banca Centrale ha
avuto il compito di esercitare un controllo puntuale e diretto sulla
quantità di banconote e monete coniate dalla Zecca nazionale. Ma il 95%
della moneta circolante è oggi erogato da banche private nella forma di
prestiti o attività speculative; su questa quota della moneta circolante
la Banca Centrale ha solo un controllo molto indiretto tramite
l’imposizione della riserva obbligatoria sull’ammontare dei depositi.
Ciò significa che, nonostante la Banca Centrale possa unilateralmente e
autonomamente fissare i tassi d’interesse e imporre una riserva
obbligatoria alle banche, la quantità di moneta in circolazione è sempre
meno controllabile dalla stessa Banca Centrale. In un sistema
capitalistico che si basa su un’economia finanziaria di produzione, la
quantità di moneta esistente viene endogeneamente determinata dal
livello di attività economica che si registra e dall’evoluzione delle
convenzioni finanziarie che regolano il mercato internazionale della
finanza e delle valute. La Banca Centrale può solo cercare di aumentare o
di ridurre la massa monetaria circolante, ma nulla più. Tale
possibilità viene oggi ulteriormente ridotta dal nuovo ruolo che hanno
assunto i mercati finanziari, sia nel finanziare l’attività di
investimento (tramite le plusvalenze generate), sia come creatori di
titoli altamente liquidi (definita “near money”, “quasi moneta”).
Di fatto, in modo paradossale, i poteri discrezionali delle Banche
Centrali sono tanto più diminuiti quanto più esse stesse sono diventate
istituzioni politicamente indipendenti. Di conseguenza, i poteri
gestionali del settore bancario e, tramite la regolazione dei tassi
d’interesse, dell’intero sistema economico della Banca Centrale sono
sempre più ancillari alle dinamiche che si svolgono sui mercati
finanziari e quindi sempre più dipendenti dalle oligarchie che li
dominano. (…)
Nel momento stesso in cui la moneta è pura moneta segno, essa sfugge a
ogni controllo pubblico. La moneta perde lo stato di “bene di proprietà
pubblica”. Il suo valore viene determinato, di volta in volta,
dall’operare dell’attività speculativa dei mercati finanziari. Le sue
funzioni di mezzo di pagamento e unità di conto (misura del valore),
nonché di riserva di valore e di strumento di finanziamento
dell’attività di accumulazione /valorizzazione, sfuggono a qualsiasi
controllo. Nel momento in cui la sua quantità e le modalità di
circolazione vengono determinate dalle convenzioni che si determinano
sui mercati finanziari,sempre più concentrati, la moneta è ostaggio
delle aspettative che le oligarchie (o meglio, la dittatura delle
oligarchie) dei mercati finanziari di volta in volta è in grado di
esercitare. Oggi, possiamo affermare che la creazione di moneta-finanza è
esatta espressione del comunismo del capitale. Ne è riprova il fatto
che le scelte statuali di politica monetaria sono in funzioni della
dinamica finanziaria. Gli stessi tassi d’interessi non sono più
controllabili in toto dalla politica monetaria.
La moneta contemporanea è, dunque, espressione del biopotere
finanziario, in quanto il suo valore è determinato dalle convenzioni
finanziarie che la governance dell’espropriazione del comune è, di
volta in volta, a secondo delle condizioni, in grado di imporre.
Nel caso delle cripotmonete, la novità principale risiede nella
sostituzione nel soggetto decisionale: non più istituzioni deputate,
(assai poco) democraticamente, alla gestione della politica monetaria e
finanziaria, bensì la moltitudine dei singoli individui che decidono di
produrre o “estrarre” le “stringhe” con i loro computer in rete e quella
di singoli individui che decidono (fidandosi) di riconoscere valore
monetario a quelle stringhe generate.
In un’epoca macchinico-algoritmica come quella in cui viviamo, non
deve stupire che la moneta non si stampi più ma si generi e che la
fiducia non sia più riposta nell’agire umano ma nella correttezza
formale di un algoritmo eseguito da macchine e/o da decisioni di elite
tecno-finanziarie.
Proprio la sfiducia nell’agire etico e politico è alla base della
nascita delle criptomonete. Il dipendere delle monete tradizionali da
soggetti istituzionali le cui decisioni non sono più ritenute tutelanti
l’individuo e la sua libertà, ha spinto i creatori delle criptomonete e i
loro principali fautori a cercare detta tutela nella azione imparziale
delle macchine.
Per molti di essi anche il processo democratico potrebbe – anzi,
dovrebbe – essere sostituito da decisioni algoritmizzate eseguite con
imparzialità da computer.
La giustizia è imparzialità, e la politica, che non appare più in
grado di attuarla, deve essere sostituita da macchine il cui
comportamento non è condizionato da particolarismi di alcun genere. (…)
In quest’ottica, la moneta creata da algoritmi rischia di essere
concepita di fatto come neutrale al sistema di produzione e
distribuzione della ricchezza. (…)
E’ chiaro che la tecnologia – in particolare quella sviluppatasi
dagli anni ‘70 con il passaggio dall’era del transistor a quella del
chip e, di lì a poco, della rete – ha effettivamente donato il fuoco
prometeico all’individuo necessario per la sua liberazione dalle vecchie
soggettivazioni e il suo assorgere ad assoluto ontologico, connotato
dall’imperativo esistenziale della massimizzazione del piacere e del
profitto, e che trova la propria traduzione nel dispositivo ideologico
dell’individualismo proprietario.
La logica del linguaggio macchina con il suo procedere per soluzioni
di algoritmi, finisce per influenzare anche la relazione dell’individuo
con la realtà rappresentata, per l’appunto, come “problematica” e alla
quale relazionarsi, quindi, in termini di ricerca di soluzioni piuttosto
che come esperienza da vivere. (…)
Non stupisce che, dagli anni ’90, finanza e tecnologia abbiano
stretto un sodalizio nel reciproco sviluppo, al quale il diritto, in
tutte le sue articolazioni, non ha fatto altro che fornire
legittimazione alle nuove libertà dell’individuo tecnocratico votato al
profitto e, dietro il cui imperativo e dispositivo libertario, vecchie e
nuove elite di potere hanno riproposto, in chiave neoliberista,
modalità di controllo e segregazione sociale.
Non stupisce neanche come, nel caso delle criptomonete, sia proprio
la tanto agognata libertà dell’individuo a determinare l’attuale fase
della loro evoluzione in una direzione alquanto diversa, forse, da
quella inizialmente ipotizzata.
Il Bitcoin nasce come moneta – prodotta da reti “peer to peer” in
modo decentrato e anonimo – da utilizzare per la funzione principale
della moneta ovvero come mezzo di scambio. Sin dalla sua origine –
[circa 4 anni fa, nel 2009, ndr.] – tuttavia, il suo valore è stato
definito dalla rapporto di conversione con il dollaro USA, al quale si
sono poi aggiunte nel tempo altre valute quali Euro, Sterlina inglese,
Rublo russo e Yuan cinese.
Il BTC quindi rientra anch’esso nel sistema del dollar index anche se, non avendo valore legale, non è riconosciuto e attuato alcun cambio con le citate valute.
Circa la sua diffusione quale mezzo di pagamento, dalla sua nascita
un numero sempre maggiore di esercizi commerciali – in gran parte del
commercio elettronico ma non solo – lo ha accettato nelle transazioni,
sempre ancorando il prezzo dei beni e servizi al loro valore in dollari,
ancora oggi valuta internazionale di riferimento. Come noto il BTC è
anche il mezzo di pagamento più diffuso in rete per le transazioni
illegali che avvengono nel cosiddetto “deep web” ove sono considerate
valore aggiunto l’anonimato e la (apparente) irrintracciabilità degli
attori delle transazioni.
Fino a circa 3 anni fa [2010, ndr.], il valore del BTC era di 9
dollari USA, a mala pena sufficiente a coprire i costi necessari alla
sua generazione da parte di coloro che con i loro computer decidevano di
entrare nella rete “peer to peer” necessaria alla produzione o, come si
dice, “estrazione” della stringa/moneta.
I costi erano relativi all’allestimento di un computer in grado di
elevata capacità di calcolo e a quelli (non irrilevanti) della corrente
elettrica.
Due caratteristiche insite nell’algoritmo del BTC (e comune a tutte
le criptomonete) ne rendevano rischioso ulteriormente l’investimento: il
numero finito di stringhe estraibili – massimo 21 milioni per il BTC – e
l’incremento progressivo della difficoltà di estrazione delle
“stringhe”, relazionato al numero totali estratto e alla quantità e
capacità di elaborazione complessiva progressivamente espressa dalla
rete. Questo, al contempo, lasciava intendere che, all’avvicinarsi del
raggiungimento dei 21 milioni di stringhe estratte, il valore del Btc
dovesse necessariamente aumentare a condizione, ovviamente, della sua
reale ed effettiva diffusione come mezzo di pagamento. In caso
contrario, al termine, sarebbero rimaste solo… stringhe alfanumeriche.
Alcuni articoli della stampa specializzata avevano attirato
l’attenzione di un pubblico sempre maggiore determinando da un lato un
aumento di addetti all’estrazione e dall’altro un aumento degli esercizi
che lo accettavano come mezzo di pagamento. Il valore, di conseguenza,
registrava incrementi giungendo, nell’ottobre del 2013, a valere circa
200 dollari.
È nel corso del 2013, per l’appunto, che il Bitcoin esce dalla
nicchia di “nuance tecnologica di geek e nerd tecnolibertari o di coloro
che quando vedono qualcosa Apple hanno un’eccitazione superiore alla
media degli individui”, per divenire strumento di investimento
speculativo.(…)
Con l’aumento della difficoltà di generazione delle “stringhe” –
insita, come detto, nell’architettura stessa dell’algoritmo – il
processo era divenuto più oneroso per i singoli utenti a patto di non
“upgradare” di continuo l’hardware. Erano, così, sorte società con siti
specializzati nel “segmentare” la rete in unità più piccole chiamate
“pool” ove gruppi specifici di utenti potessero cooperare e divedersi le
monete generate.
I “pool” attuavano una cooperazione ristretta all’interno della più
generale cooperazione della rete complessiva, consentendo anche a utenti
con hardware non eccessivamente dimensionati di poter ricevere, in un
tempo minore, la moneta estratta grazie alla potenza computazionale
dell’intero pool al quale avevano aderito.
Questo, in cambio di un piccola commissione – “fee” – da conferire
all’atto del trasferimento della moneta dal “pool” al portafoglio
elettronico residente sul proprio computer. Ma, con il passare del tempo
e l’aumento della difficoltà, anche questo non risultava più
sufficiente in questa “corsa all’oro” del terzo millennio.
Aziende fornitrici di hardware iniziano, così, la progettazione e produzione di periferiche specifiche per l’estrazione di BTC.
Parallelamente sul versante finanziario proliferano siti di società
“cambia valute” specializzate nel cambio del BTC con le valute ufficiali
e con altre criptomonete. Ognuna con le proprie quotazione della moneta
che possono registrare, tra esse, anche differenziali del 10%. Il
guadagno consiste nel ricavato pagamento della “fee” (analogo a quello
visto in precedenza) e dalla possibilità di investire nel mercato stesso
le riserve valutarie – valute “fiat” e digitali – depositate dagli
utenti presso i siti “cambia valute” per effettuare le transazioni. Un
pò come operano le banche con i “giorni di valuta” nei movimenti dei
conti correnti della clientela.
Alcune società di brokeraggio si specializzano anche nel trading
finanziario, consentendo di “tradare” il BTC al pari di qualunque valuta
del mercato Forex, con annessa possibilità di utilizzo della leva
finanziaria. Il Forex è noto per essere il mercato più “liquido”, di
grandi volumi e speculativo esistente (il volume giornaliero delle
contrattazioni è superiore a 1,5 trilioni di dollari US. Esso è, in
ordine di grandezza, maggiore dei mercati azionari e obbligazionari
mondiali messi insieme. La Borsa Valori di New York, per esempio, ha un
volume di contrattazioni giornaliere di circa 30 bilioni di dollari. Si
calcola che, oggi, il 90% delle transazioni su questo mercato sono di
natura speculativa).
Non mancano, inoltre, società di investimento pronte a lanciare
derivati specifici sul BTC in grado di assicurare i detentori o
produttori/estrattori dalle fluttuazioni future del suo valore,
analogamente a quanto accade per le materie prime o per i prodotti
agricoli e o alimentari.
Così come, altri broker inaugurano specifici “CFD/BTC” (“contract for
difference” sui BTC), strumenti finanziari con leva finanziaria,
commerciabili nel circuito finanziario telematico “OTC” (“over the
counter”).
Il bitcoin entra nella sua dimensione di asset di investimento
speculativo, passando così dal “bit” informatico, che ne aveva
caratterizzato il passato, al “tick” finanziario che ne rappresenta il
presente (il “tick” di negoziazione è la variazione minima tra due
prezzi che possono essere immessi sul mercato e rappresenta la frazione
di un’unità predefinita della valuta in cui il titolo è negoziato. Es.:
cambio EU/USD 1,38001 – il “tick” è la quinta cifra dopo la virgola).
Nella metà dello scorso mese di novembre [2013, ndr.], il BTC
raggiunge la quotazione massima di 1.240 dollari US mentre un specifico
fondo di una società di investimento – nato nei dodici mesi precedenti –
faceva, nel contempo, registrare un “ritorno” di ben il 4847%
dell’investimento.
Un ruolo decisivo nell’impennata del valore del BTC registrata tra
ottobre e novembre è attribuita all’entrata nel mercato di operatori
finanziari cinesi, per quanto la sua diffusione in Cina era già datata
ma limitata alla sola produzione/estrazione. In questo caso, non si
sarebbe trattato solo di investimento speculativo ma anche un modo di
acquisire capitali dall’estero, in aggiramento delle rigide norme
valutare del Governo cinese, e per poter effettuare operazioni di
mercato “non visibili” in yuan e dollari. Il tutto utilizzando come
“cortina fumogena” il grande interesse dei teen-ager cinesi per il BTC
quale mezzo di pagamento per siti “vari” di intrattenimento digitale.
Tanto clamore e arricchimento hanno alla fine destato l’interesse delle singole autorità monetarie nazionali.
Le reazioni sono raggruppabili in due tipologie generali: da un laico
“no problem basta che si paghino le tasse sulle plusvalenze” da parte
degli occidentali, ad un assoluto divieto emesso della Banca Centrale
Cinese a tutti i soggetti istituzionali di utilizzare le monete
elettroniche come valuta nelle transazioni o come forma di investimento
finanziario da consigliare alla propria clientela. (…)
Scenario futuro? Impossibile a dirsi oggi.
Quel che è certo è che il futuro sarà esito complessivo dell’azione,
spesso contrastante, di tutte le forze che agiscono sul mercato.
Sicuramente tali esiti saranno fuori dal controllo degli ideatori e dei
primi fanatici sostenitori del BTC, riaffermandosi in questo la
considerazione che non basta assicurare le libertà all’individuo per
avere una società necessariamente libera.
Alcune considerazioni
Per quanto non prevedibili gli sviluppi futuri, il bitcoin non sembra
essere un fenomeno transitorio; potrà, certamente, mutare in altro e/o
dar luogo ad altro, ma ha introdotto un precedente indietro al quale
non sarà possibile tornare.
Sono oltre 40 le criptomonete nate a seguito del BTC che cercano di
emularne il percorso – ivi cmpresi gli aspetti speculativi altamente
remunerativi – riuscendo ad attrarre investimenti di coloro per i quali
entrare nel mercato di estrazione del BTC è ormai troppo tardi ma che
cercano ugualmente di far fortuna. Il Litecoin –LTC – è la seconda
moneta per dimensione anche se molto lontana dai valori del BTC. Se
quest’ultimo viene paragonato all’oro, sicuramente LTC può essere
considerato l’argento. Comincia anch’esso a entrare nella fase della
finanziarizzazione anche se a livello embrionale (si può commerciare
solo su un numero limitato di siti) e con andamenti correlati a quelli
del BTC. Esistono già anche cambi reciproci BTC/LTC. Il principale
ostacolo alla diffusione delle altre monete è determinato attualmente
proprio dal BTC, interessato a disinnescare sul nascere qualunque
ipotesi concorrenziale.
Tuttavia, nel contempo, sono sorte “suite” per la creazione di
criptomenete “fai da te”, per cui le possibilità di proliferazione
aumentano esponenzialmente. Si andrà da quella creata come business puro
a ipotesi più “socially o mutually” di criptomonete per comunità
specifiche (versione hi-tech del braccialetto con le palline dei
villaggi vacanze ma “politically correct” o “antagonist” o “green” o
quel che vi pare…). L’importante che sia “cool” e “in” nell’ambiente di
riferimento, ovvero che si trovino persone disposte a condividerne ed
accettarne il valore.
È facile ipotizzare un andamento non dissimile a quanto accaduto in
passato con le distribuzioni del sistema operativo open source linux.
Del resto, l’ambiente di riferimento per entrambi – criptomonete e
opensource – è il medesimo. Oggi, si contano centinaia di versioni di
Linux così come, domani, potrebbero contarsi centinaia di cripotomonete.
Quale di esse, però, sarà la futura Ubuntu delle monete? E il mondo
“legacy” starà a guardare? Nasceranno i Microsoft e Apple delle
cripomonete? E si formeranno “utenti” e “u-tonti” di monete come, oggi,
ci sono dei software? (…)
Il valore del BTC sarà determinato, con molta probabilità,
dall’allinearsi o meno della doppia natura della moneta quale mezzo di
scambio e riserva di valore, funzioni che attualmente sembrano, invece,
agire in modo contrapposto. I possessori di BTC, così come coloro che
ancora li estraggono (al pari di altre criptomonete), non li usano per
comprare beni e servizi ma li trattengono nella prospettiva di un
aumento del loro valore rispetto al dollaro attribuendo, quindi, alle
critpomonete anche la funzione di riserva di valore.
Questa considerazione è confortata dall’estrema volatilità del valore
delle monete elettroniche all’interno di un trend comunque rialzista,
nonché dalla condizione, insita nell’algoritmo, di una possibilità di
generazione limitata del loro numero complessivo. Non spendere le monete
determina una ridotta diffusione del loro uso e dei servizi connessi
alla commercializzazione che amplificherebbe, autoalimentandole, le
tendenze deflazioniste della moneta stessa. La forte riduzione degli
scambi di BTC per acquisto di beni e servizi (…) è la conferma che la
moneta sta assumendo e concentrando in se la sola funzione di asset di
investimento speculativo, deprimendo la sua funzione di mezzo di
pagamento. (…)
Tra le condizioni favorevoli vi è senza dubbio quella di un aumento
in qualità e quantità della infrastruttura per l’utilizzo del BTC come
mezzo di pagamento. Su questo punto, iniziative di “venture capital”
hanno già scommesso sui possibili sviluppi collocando investimenti sia
in “start-up” specifiche che nel consolidamento e diversificazione delle
aree di business di aziende già operanti nel mercato BTC. Le aree di
business individuate non comprendono solo implementazioni nell’uso della
moneta ma anche le prospettive aperte dall’uso esteso della tecnologia
stessa del BTC, grazie alla quale costruire e diffondere nuovi standard e
infrastrutture critiche delle comunicazioni telematiche per nuovi
scenari di sviluppo delle transazioni on-line.
Questi scenari di ulteriore articolazione e sviluppo del mercato
legato alla criptomoneta rischiano, tuttavia, di tradursi in
un’occasione di ristrutturazione di un segmento di mercato del
capitalismo finanziario con l’apertura di nuove aree di business frutto
di quelle medesime logiche che il BTC voleva – almeno nelle sue origini e
in parte dei suoi sostenitori – combattere. Certo potrà aver sortito
una piccola mobilità sociale data dall’arricchimento improvviso di
taluni ma, ben poca cosa rispetto alle promesse di liberazione dei molti
che ne avevano salutato la nascita.
Se effettivamente il BTC è il prodotto della rete, lo stesso non può
dirsi per il suo valore in dollari. Questo sembra piuttosto, e in prima
istanza, l’esito di uno sfruttamento da parte di “alcuni” della risorsa
cooperativa messa a disposizione dai “molti”. L’alto valore in dollari
finisce, paradossalmente, da un lato per deviare dalla giusta direzione
la cooperazione e, dall’altro, per consolidarne la sussunzione. E questo
grazie alla (non tanto illusoria) possibilità di arricchimento
individuale.
La dinamica finanziaria che sta alla base del valore del BTC sta,
attualmente, riproducendo analoga dinamica dei rapporti di forza
esistenti nel mondo della produzione e delle monete reali. Quel che si
voleva evitare affidando alle macchine la generazione della moneta si è,
invece, riproposto nella modalità di attribuzione del suo valore in
dollari. Chi o cosa determina il valore? Chi o cosa nel mercato BTC ha
preso il posto delle istituzioni governative nella determinazione del
valore e delle sue oscillazioni?
Ma è nella natura anch’essa profondamente individualista dei molti
che si nasconde la condizione stessa di tale sussunzione. Sussunzione
che è rappresentata dal combinato alto valore in dollari del BTC e dal
suo contemporaneo accantonamento e non utilizzo. Sussunzione che è resa
possibile dalla ricerca della massimizzazione del profitto individuale,
oltre la logica e il fine ultimo che aveva la moneta all’atto della sua
ideazione e della scelta di partecipare alla sua creazione.
La moneta da strumento è divenuta fine in sé del processo di
cooperazione moltitudinario. Anzi, per meglio dire, di una parte della
moltitudine; quella, giova ricordarlo, tecnologicamente molto più
alfabetizzata della media, parametro questo ormai indispensabile per
definire le nuove caratteristiche della povertà relativa e della
capacità di sopravvivenza nella società contemporanea e, in ultima
analisi, anche parametro dirimente per una concreta attuazione di
politiche del “comune”.
La capacità di elaborazione espressa dalla rete “peer to peer” che
estrae i BTC è, già da tempo, superiore a qualsiasi rete analoga mai
messa in esercizio. Vien da chiedersi se tale potenza di calcolo si
sarebbe potuta ottenere per il raggiungimento di un obiettivo
collettivo, ad esempio la ricerca della cura di una malattia. In altre
parole, gli individui che attualmente stanno cooperando per prodursi BTC
da tenere nei computer in vista di un aumento del loro valore in
dollari, avrebbero messo a disposizione le loro risorse per un obiettivo
non direttamente a loro vantaggio? (…)
La moneta è effetto, prima che causa, di una determinata
configurazione della società, delle dinamiche di soggettivazione in essa
agenti e dei rapporti di forza e di potere operanti.
Un ipotetico valore della moneta del comune dovrebbe rappresentare e
contenere il valore della cooperazione sociale quale modo di produzione e
distribuzione della ricchezza nella sua accezione più ampia, e non
meramente economica nè monetaria, e la cui forza dovrebbe muovere verso
la distribuzione piuttosto che nella concentrazione o accumulazione.
Così, la potenza del denaro, attraverso la moneta, andrebbe “liberata” piuttosto che moltiplicata.
Così come, del resto, liberati andrebbero i desideri di vita delle
singolarità verso modalità di soddisfacimento dei bisogni situati e
qualificati da una “etica del comune”.
Ma proprio per questo il “comune”, inteso come non proprietà, potrà,
in futuro, rappresentare un contropotere monetario. A tal fine, diventa
sempre più imprescindibile attivarsi nella costruzione di circuiti
finanziari alternativi non riconducibili alla legge dei poteri forti
finanziari, oggi egemoni. Pensare di poter regolamentare i mercati
finanziari per ricondurli sotto un controllo pubblico è pura illusione.
La sfida va portata al massimo livello della governance finanziaria
attuale. E questa sfida genera la necessità di riappropriarsi della
moneta non come “bene comune” ma, appunto, come “common”, ovvero come
espressione e misura del valore di quella cooperazione sociale o general
intellect che, oggi, viene espropriata dal divenire rendita dei
profitti e soggetta alla misura (variabile) dettata dai rapporti di
forza imposti dal ricatto dei mercati finanziari.
Come il reddito di base è la forma di remunerazione del comune, esito
dell’agire rivendicativo-conflittuale del lavoro vivo precario, così,
oggi più che mai, la moneta può essere espressione e misura di questo
stesso comune (cooperazione sociale e general intellect), contropotere
al comunismo, selettivo, iniquo, gerarchico del capitalismo
finanziario.
È ora che i precari comincino a immaginare anche forme di autogestione finanziaria.
Note
[1] Per approfondienti, si rimanda a Francesco De Collibus e Raffaele Mauro, Hacking finance. La rivoluzione del bitcoin e della blockchain, Agenzia X, Milano, 2016
[2]
Denis Jaromil Rojo, “Bitcoin: la fine del tabù della moneta”,
Effimera, 3 gennaio 2014 (ed. orig. In inglese, Dyne.org, 6 aprile
2013):
http://effimera.org/bitcoin-la-fine-del-tabu-della-moneta-di-denis-jaromil-roio/
Rete per l'Autorganizzazione Popolare - http://campagnano-rap.blogspot.it
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mercoledì 27 dicembre 2017
La parabola del Bitcoin – di Andrea Fumagalli e Gianluca Giannelli
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