Diversamente da quanto dichiarato alcuni mesi fa, la Prefettura di Imperia non è ancora riuscita a rispettare gli impegni presi con il Garante dell’Infanzia e, a quattro mesi dallo sgombero del centro di transito informale per donne e bambini autofinanziato dalla Caritas, a Ventimiglia continua a essere violata la legge Zampa: manca completamente un luogo dedicato alla protezione dei minori. Intanto calano le temperature, mentre le persone in transito bloccate alla frontiera (in maggioranza sudanesi, etiopi ed eritrei) non fanno che aumentare.
E nonostante il freddo molti si accampano sul greto del
fiume Roya. “Quasi la metà di quelli che stanno sul fiume sono minorenni
– denuncia Christian Papini di Caritas Intemelia
– ma ci sono anche tante ragazze e nuclei con bambini molto piccoli”. A
rilanciare l’allarme sulle condizioni di vita estreme sono le organizzazioni non governative
operanti sul confine, che esprimono “forte preoccupazione per la
situazione dei numerosi minori stranieri non accompagnati che si trovano
sulle sponde del fiume, che vivono in ripari di fortuna, privi di
riscaldamento e di servizi igienici, senza accesso all’acqua potabile e
al cibo, esposti ad abusi e violenze. Tra loro ci sono anche ragazzine
minorenni, spesso vittime di violenze sessuali. Alcune delle quali hanno
figli piccoli”.
Da una media di 60 migranti presenti al confine lo scorso dicembre, si è passati ai 600 di questi giorni, con un turnover incessante determinato anche dalle continue operazioni di “decompressione territoriale”, veri e propri rastrellamenti finalizzati al trasferimento forzato di migranti da Ventimiglia a Taranto, con lunghi viaggi in pullman operati per conto del ministero dell’Interno dalla Riviera Trasporti (al costo di 10.500 euro a tratta). Di questi seicento, la maggior parte (tra i 430 e i 480 ogni giorno) vengono ospitati al “Campo Roya”, gestito per conto della Prefettura dalla Croce Rossa. L’attuale responsabile della struttura, Gabriella Salvioni, si distingue per lo sforzo a umanizzare quanto più possibile un luogo che, per sua natura, risulta poco accogliente. Molto distante dal centro città, raggiungibile percorrendo a piedi una strada a scorrimento veloce, per entrare al centro bisogna accettare di subire una perquisizione da parte delle forze dell’ordine che presidiano l’ingresso coi blindati. L’ospitalità è vincolata all’identificazione e, se donne, nuclei familiari o minori, bisogna essere disponibili a convivere in uno spazio ristretto con centinaia di uomini adulti. “Abbiamo undici euro al giorno per migrante registrato, cinque euro è solo il costo del lavaggio delle coperte – si sfoga la responsabile – ci facciamo in quattro ma non è facile migliorare le condizioni della struttura”. Nonostante questi limiti, la struttura a cielo aperto gestita dalla Croce Rossa resta allo stato attuale la soluzione più sicura, all’interno è presente un ambulatorio medico e vengono fornite informazioni legali. Ma sono molti a rimanere diffidenti. L’alternativa? Il fiume e la condizione di estrema precarietà della vita all’addiaccio.
A Ventimiglia non arrivano solo persone sbarcate da poche settimane. Sempre di più si tratta di soggetti che hanno intrapreso, e a volte terminato, l’iter della richiesta di asilo all’interno delle strutture italiane. Molti hanno ottenuto una forma di protezione umanitaria, sono quindi perfettamente regolari in Italia. Insomma, sono portatori di diritti che impediscono ad esempio di operare trasferimenti forzati nei loro confronti. Tuttavia i documenti in loro possesso non gli danno il diritto di circolare in Europa. Come spiega un ragazzo eritreo di 22 anni accampato sulla riva del fiume: “Perché non voglio restare in Italia? I centri dove sono stato erano sostanzialmente parcheggi, qui non ho trovato nessuna soluzione dignitosa. Cerchiamo un angolo, ovunque in Europa, dove vivere decorosamente. Questo in Italia per noi non è stato possibile. Certo, quando siamo partiti ci aspettavamo un’Europa diversa, ma indietro non possiamo tornare”. Per chi sceglie di non intraprendere la scorciatoia del lavoro nero o di una vita ai margini della legalità, l’unica speranza è quella di passare la frontiera.
A impedire il passaggio è l’applicazione ferrea del Regolamento di Dublino, a suo tempo votato dal Governo Berlusconi (Lega e Forza Italia), la cui recente proposta di riforma, che mira a sbloccare questa situazione, ha visto l’astensione degli euro deputati leghisti e il voto contrario della delegazione del M5s. Allo stato attuale solo i minorenni avrebbero diritto di passare e scegliere lo stato dove chiedere asilo, ma come ampiamente dimostrato (guarda il video) la Francia continua a respingerli in Italia, alla stregua dei maggiorenni. Forte nel rivendicare i controversi accordi fatti con la Libia, il governo italiano sembra decisamente più debole nel denunciare le violazioni del governo francese. Forse perché, oltre la retorica dell’”Europa che lascia sola l’Italia”, la realtà è che in Francia continuano a ottenere l’asilo tantissime persone sbarcate sulle nostre coste. E c’è di più: in alcuni casi di ricorso in Tribunale, la domanda viene accolta attribuendo all’Italia la condiziona di “paese terzo non sicuro”. E questo proprio a causa delle condizioni di vita che i migranti possono dimostrare di aver condotto nel nostro paese.
Nonostante la militarizzazione di entrambi i versanti e i controlli continui alle persone di pelle nera che cercano di passare il confine in treno, a piedi lungo i binari o lungo l’autostrada e valicando i passi di montagna in condizioni di estremo pericolo, quella di Ventimiglia continua a rappresentare la frontiera più permeabile. Secondo gli accampati sul greto del fiume, per un passaggio sui loro “special taxi” la “tariffa” dei passeur oscilla tra i 100 e i 300 euro in base alla destinazione richiesta. Non tutti, infatti, hanno la fortuna di trovare chi accompagna gratuitamente i ragazzi a proprio rischio e pericolo, spinto da ragioni di umana solidarietà. Così a rimanere bloccati nel limbo di Ventimiglia sono i più poveri tra i poveri, esposti a condizioni di estrema fragilità e a dinamiche di sfruttamento e illegalità, come dimostrano le indagini in corso sui casi di tratta della prostituzione e rischio di abusi anche per i minori.
Visto il continuo flusso, le azioni di forza sul greto del fiume appaiono “inefficaci e pericolose”, come ha ribadito la stessa Prefettura, rispondendo alle pressanti richieste di sgombero avanzate dal sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano (Pd), che in estate ha chiesto e ottenuto la chiusura del centro per donne e minori. E rilanciando come portavoce di una minoranza organizzata di “cittadini esasperati”, scesi in strada con i loro figli per impedire che altri minori, in viaggio senza genitori e costretti a dormire in strada, potessero avere una struttura a loro dedicata come prevede la legge. L’amministrazione comunale, che sta cercando di reinserire nel regolamento della polizia municipale il discusso “divieto di distribuzione di alimenti” fuori dalle strutture, sembra convinta che la solidarietà eserciti una forma di attrazione per i migranti. Nonostante le iniziative, compresa la repressione della solidarietà organizzata dai no borders, i flussi non sono diminuiti. Anzi, si è assistito unicamente al moltiplicarsi delle condizioni di abbandono delle persone ferme al confine.
L’unico sostegno, per le persone costrette a vivere sul greto del fiume, arriva da operatori e volontari della Caritas Intemelia (che tutti i giorni distribuiscono coperte, kit igienici, vestiti, pasti caldi e assistenza medica) e dai solidali dell’Infopoint Eufemia, che mettono a disposizione computer con connessione, prese per la ricarica dei cellulari e orientamento legale, oltre alla solidarietà di gruppi di francesi ed europei che distribuiscono vestiti, alimenti e coperte. Dal canto loro, le organizzazioni non governative operanti sulla frontiera (Intersos, Oxfam, Terre des Hommes, Safe Passage, WeWorld Onlus e la Diaconia Valdese, sostenuti anche dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) lanciano l’ennesimo appello alla Prefettura, esprimendo “forte preoccupazione per la mancata accoglienza dei minori stranieri” e chiedendo di “cessare immediatamente l’illegittima prassi della mancata accoglienza dei minori stranieri non accompagnati a Ventimiglia, ovvero del collocamento di minori nel centro di accoglienza per adulti”, e di “predisporre tutte le misure necessarie affinché questi minori siano collocati in centri di accoglienza per minori, come previsto dalla normativa vigente e come richiesto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”, possibilmente sul territorio di Ventimiglia o nelle vicinanze “almeno per quanto riguarda i minori in attesa di ricongiungimento familiare”
Da una media di 60 migranti presenti al confine lo scorso dicembre, si è passati ai 600 di questi giorni, con un turnover incessante determinato anche dalle continue operazioni di “decompressione territoriale”, veri e propri rastrellamenti finalizzati al trasferimento forzato di migranti da Ventimiglia a Taranto, con lunghi viaggi in pullman operati per conto del ministero dell’Interno dalla Riviera Trasporti (al costo di 10.500 euro a tratta). Di questi seicento, la maggior parte (tra i 430 e i 480 ogni giorno) vengono ospitati al “Campo Roya”, gestito per conto della Prefettura dalla Croce Rossa. L’attuale responsabile della struttura, Gabriella Salvioni, si distingue per lo sforzo a umanizzare quanto più possibile un luogo che, per sua natura, risulta poco accogliente. Molto distante dal centro città, raggiungibile percorrendo a piedi una strada a scorrimento veloce, per entrare al centro bisogna accettare di subire una perquisizione da parte delle forze dell’ordine che presidiano l’ingresso coi blindati. L’ospitalità è vincolata all’identificazione e, se donne, nuclei familiari o minori, bisogna essere disponibili a convivere in uno spazio ristretto con centinaia di uomini adulti. “Abbiamo undici euro al giorno per migrante registrato, cinque euro è solo il costo del lavaggio delle coperte – si sfoga la responsabile – ci facciamo in quattro ma non è facile migliorare le condizioni della struttura”. Nonostante questi limiti, la struttura a cielo aperto gestita dalla Croce Rossa resta allo stato attuale la soluzione più sicura, all’interno è presente un ambulatorio medico e vengono fornite informazioni legali. Ma sono molti a rimanere diffidenti. L’alternativa? Il fiume e la condizione di estrema precarietà della vita all’addiaccio.
A Ventimiglia non arrivano solo persone sbarcate da poche settimane. Sempre di più si tratta di soggetti che hanno intrapreso, e a volte terminato, l’iter della richiesta di asilo all’interno delle strutture italiane. Molti hanno ottenuto una forma di protezione umanitaria, sono quindi perfettamente regolari in Italia. Insomma, sono portatori di diritti che impediscono ad esempio di operare trasferimenti forzati nei loro confronti. Tuttavia i documenti in loro possesso non gli danno il diritto di circolare in Europa. Come spiega un ragazzo eritreo di 22 anni accampato sulla riva del fiume: “Perché non voglio restare in Italia? I centri dove sono stato erano sostanzialmente parcheggi, qui non ho trovato nessuna soluzione dignitosa. Cerchiamo un angolo, ovunque in Europa, dove vivere decorosamente. Questo in Italia per noi non è stato possibile. Certo, quando siamo partiti ci aspettavamo un’Europa diversa, ma indietro non possiamo tornare”. Per chi sceglie di non intraprendere la scorciatoia del lavoro nero o di una vita ai margini della legalità, l’unica speranza è quella di passare la frontiera.
A impedire il passaggio è l’applicazione ferrea del Regolamento di Dublino, a suo tempo votato dal Governo Berlusconi (Lega e Forza Italia), la cui recente proposta di riforma, che mira a sbloccare questa situazione, ha visto l’astensione degli euro deputati leghisti e il voto contrario della delegazione del M5s. Allo stato attuale solo i minorenni avrebbero diritto di passare e scegliere lo stato dove chiedere asilo, ma come ampiamente dimostrato (guarda il video) la Francia continua a respingerli in Italia, alla stregua dei maggiorenni. Forte nel rivendicare i controversi accordi fatti con la Libia, il governo italiano sembra decisamente più debole nel denunciare le violazioni del governo francese. Forse perché, oltre la retorica dell’”Europa che lascia sola l’Italia”, la realtà è che in Francia continuano a ottenere l’asilo tantissime persone sbarcate sulle nostre coste. E c’è di più: in alcuni casi di ricorso in Tribunale, la domanda viene accolta attribuendo all’Italia la condiziona di “paese terzo non sicuro”. E questo proprio a causa delle condizioni di vita che i migranti possono dimostrare di aver condotto nel nostro paese.
Nonostante la militarizzazione di entrambi i versanti e i controlli continui alle persone di pelle nera che cercano di passare il confine in treno, a piedi lungo i binari o lungo l’autostrada e valicando i passi di montagna in condizioni di estremo pericolo, quella di Ventimiglia continua a rappresentare la frontiera più permeabile. Secondo gli accampati sul greto del fiume, per un passaggio sui loro “special taxi” la “tariffa” dei passeur oscilla tra i 100 e i 300 euro in base alla destinazione richiesta. Non tutti, infatti, hanno la fortuna di trovare chi accompagna gratuitamente i ragazzi a proprio rischio e pericolo, spinto da ragioni di umana solidarietà. Così a rimanere bloccati nel limbo di Ventimiglia sono i più poveri tra i poveri, esposti a condizioni di estrema fragilità e a dinamiche di sfruttamento e illegalità, come dimostrano le indagini in corso sui casi di tratta della prostituzione e rischio di abusi anche per i minori.
Visto il continuo flusso, le azioni di forza sul greto del fiume appaiono “inefficaci e pericolose”, come ha ribadito la stessa Prefettura, rispondendo alle pressanti richieste di sgombero avanzate dal sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano (Pd), che in estate ha chiesto e ottenuto la chiusura del centro per donne e minori. E rilanciando come portavoce di una minoranza organizzata di “cittadini esasperati”, scesi in strada con i loro figli per impedire che altri minori, in viaggio senza genitori e costretti a dormire in strada, potessero avere una struttura a loro dedicata come prevede la legge. L’amministrazione comunale, che sta cercando di reinserire nel regolamento della polizia municipale il discusso “divieto di distribuzione di alimenti” fuori dalle strutture, sembra convinta che la solidarietà eserciti una forma di attrazione per i migranti. Nonostante le iniziative, compresa la repressione della solidarietà organizzata dai no borders, i flussi non sono diminuiti. Anzi, si è assistito unicamente al moltiplicarsi delle condizioni di abbandono delle persone ferme al confine.
L’unico sostegno, per le persone costrette a vivere sul greto del fiume, arriva da operatori e volontari della Caritas Intemelia (che tutti i giorni distribuiscono coperte, kit igienici, vestiti, pasti caldi e assistenza medica) e dai solidali dell’Infopoint Eufemia, che mettono a disposizione computer con connessione, prese per la ricarica dei cellulari e orientamento legale, oltre alla solidarietà di gruppi di francesi ed europei che distribuiscono vestiti, alimenti e coperte. Dal canto loro, le organizzazioni non governative operanti sulla frontiera (Intersos, Oxfam, Terre des Hommes, Safe Passage, WeWorld Onlus e la Diaconia Valdese, sostenuti anche dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) lanciano l’ennesimo appello alla Prefettura, esprimendo “forte preoccupazione per la mancata accoglienza dei minori stranieri” e chiedendo di “cessare immediatamente l’illegittima prassi della mancata accoglienza dei minori stranieri non accompagnati a Ventimiglia, ovvero del collocamento di minori nel centro di accoglienza per adulti”, e di “predisporre tutte le misure necessarie affinché questi minori siano collocati in centri di accoglienza per minori, come previsto dalla normativa vigente e come richiesto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”, possibilmente sul territorio di Ventimiglia o nelle vicinanze “almeno per quanto riguarda i minori in attesa di ricongiungimento familiare”
Nessun commento:
Posta un commento