Il percorso di Potere al Popolo, dopo una discussione che ha coinvolto anche i territori, ha cercato di raccogliere e sintetizzare sia le diverse esigenze che le nuove emergenze su una situazione politica e sociale del paese diventata insopportabile. Con 18 milioni di persone a rischio povertà, 12 milioni di persone che non si curano più per motivi economici, una domanda abitativa disattesa verso 700mila famiglie, 5 milioni di emigrati all’estero negli ultimi dieci anni (ormai più numerosi degli immigrati che arrivano nel nostro paese), 2,5 milioni di Neet, giovani esclusi che non studiano e non lavorano, la situazione sociale del paese richiede soluzioni che nessuna classe dominante e nessun governo di destra o centro-sinistra intende fornire o neanche immagina. Su tutto pesano i vincoli esterni dell’Unione Europea e dei suoi trattati antipopolari e della Nato che trascina il paese nelle guerre, nel riarmo e nella militarizzazione crescente del territorio.
Un programma può diventare una lista della spesa o dei desideri e rimanere inerte, parole scritte ma inerti. Il problema principale di un programma è la sua logica, non la sua ragionevolezza. Può essere un programma minimo, con carattere più riformista che “rivoluzionario”, ma è la logica che lo ispira che deve trasudare rottura dell’esistente da ogni parola e da ogni obiettivo. Esso non deve essere ragionevole di fronte agli avversari o potabile in un talk show, deve ridare ai settori popolari il senso del riscatto, della dignità, se volete della “vendetta” contro un nemico che gli sta rovinando la vita e ipotecando il futuro.
Quello di Potere al Popolo è quello che più cerca di avvicinarsi a questo, a indicare soluzioni ai problemi dei settori sociali più massacrati dalla crisi capitalistica e dalle misure antipopolari adottate dalle classi dominanti per farvi fronte.
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