Negli ultimi mesi la questione del passaggio dai veicoli a propulsione tradizionale a quelli elettrici è venuta fortemente alla ribalta nel mondo. Tale questione suscita molte riflessioni su diversi temi, temi che hanno a che fare con l’economia e con la politica.
Il ruolo della Cina
Intanto l’avvento dell’auto elettrica sui media e nella realtà del mercato sottolinea ancora una volta il ruolo sempre più importante che la Cina sta assumendo a livello globale.
Preoccupata da una parte dai grandi livelli di inquinamento delle proprie città, ma d’altra parte desiderosa di conquistare il primato tecnologico in una serie di settori strategici, nonché di favorire l’industria nazionale in tale comparto come in molti altri, il governo del paese asiatico ha prima imposto per legge che a partire dai prossimi anni una quota crescente delle auto vendute nel paese debbano essere a propulsione elettrica o ibrida, ora promette di fissare presto una data a cominciare dalla quale sarà bandita nel paese la produzione e vendita di vetture a propulsione tradizionale. Presumibilmente tale data dovrebbe aggirarsi tra il 2030 e il 2035.
Dal momento che le principali case occidentali (tranne forse soltanto la FCA) vendono nel paese una quantità molto importante di vetture e vi conseguono in media profitti altrettanto importanti, esse si sono affrettate ad annunciare la produzione di modelli elettrici in quantità e l’apertura di numerosi stabilimenti di batterie, non solo in Cina, ma in tutto il resto del mondo.
Comunque le decisioni del paese asiatico hanno accelerato molto il processo di introduzione della nuova tecnologia e, d’altro canto, la Cina è oggi il primo produttore mondiale di vetture ecologiche e di batterie per le stesse.
Questo fatto sottolinea, tra l’altro, come per un numero crescente di prodotti di consumo il paese asiatico stia progressivamente assumendo un ruolo di leadership globale, che si basa ormai anche sull’emanazione da parte sua di norme tecniche che tendono a diventare gli standard del settore, posizione che una volta competeva agli Stati Uniti.
Si tratta, per altro verso, anche della riaffermazione di un ruolo guida di Pechino sul fronte della lotta all’inquinamento e della costruzione di un’economia verde. Così il paese nel corso del 2016 ha investito nel settore delle energie rinnovabili circa 120 miliardi di dollari, più o meno la metà del totale mondiale per lo stesso anno; e tale percentuale potrebbe ancora salire.
Peraltro i cattivi dati sull’inquinamento da anidride carbonica a livello mondiale per il 2017, da poco divulgati, mostrano che il cammino da fare è ancora molto lungo ed irto di difficoltà.
Le materie prime
Un altro settore in cui il ruolo della Cina appare dominante e che è molto interessato, dal canto suo, allo sviluppo dell’auto elettrica, è quello della produzione dei minerali. Esso aveva sofferto, negli anni scorsi, di un certo rallentamento della domanda mondiale, in particolare della Cina, ed i prezzi di molti metalli erano caduti di parecchio. Ma ora l’accelerazione nello sviluppo economico globale in atto e una nuova spinta che sembra soffiare dalla Cina, il principale paese consumatore nel settore, hanno fatto sì che il prezzo medio dei metalli sia nel 2017 cresciuto del 20% (Sanderson, Hume, 2017). Va comunque segnalato che nel mese di novembre si è delineato qualche elemento che fa pensare a una possibile battuta di arresto in tale processo.
Ora le prospettive si fanno peraltro ancora positive con l’avvento dell’auto elettrica; le batterie in effetti consumano grandi quantità di metalli, in particolare di litio, cromo, grafite e quantità più ridotte di nickel, alluminio, manganese e rame. Gran parte di tali metalli si trovano localizzati nei paesi emergenti, mentre ora la Cina e i grandi produttori mondiali di minerali stanno cercando in qualche modo di acquisirli.
Si verificano quindi, come al solito, fenomeni di aumento dei prezzi, di speculazione, di accaparramento.
Segnaliamo, incidentalmente, che i principali giacimenti di cobalto sono collocati nella Repubblica Democratica del Congo, paese dove, come sottolinea l’Unicef, vengono oggi sfruttati nella sua produzione 40 mila bambini (Sanderson, Hume, 2017), cifra che dovrebbe quindi nei prossimi anni aumentare con la crescita della domanda.
Il ruolo dell’Unione Europea
Apparentemente l’Unione Europea sembra all’avanguardia nella lotta al cambiamento climatico e ambientale e certamente il suo ruolo è stato molto importante nel perfezionare gli accordi di Parigi sul clima.
Ma quando veniamo poi agli atti concreti sul piano operativo, nascono i problemi.
Lasciamo da parte le penose vicende del glifosato, ancora non concluse e concentriamoci sull’auto. L’8 novembre la Commissione ha pubblicato delle proposte legislative per abbassare le emissioni inquinanti delle autovetture.
Dunque, la stessa Commissione propone di ridurre del 30% le emissioni di anidride carbonica nel 2030 in rapporto al livello fissato per il 2021, con un obiettivo intermedio del 15% nel 2025.
Essa non ha poi accettato la proposta di fissare delle quote obbligatorie di veicoli a emissioni nulle o deboli, come ha invece fatto la Cina. Ha messo a punto in proposito soltanto delle regole non vincolanti.
Evidentemente le lobby industriali, come già in passato, continuano a fare il bello e il cattivo tempo a Bruxelles. Niente di nuovo da questo punto di vista. Invece naturalmente gli ambientalisti hanno protestato. Essi si attendevano un livello più alto dei tagli al 2030 (almeno il 40-45%) e delle quote obbligatorie nella produzione nei vari paesi dell’Unione di veicoli a zero emissioni (Ducourtieux, Mandard, 2017).
Sarà per un’altra volta.
Ma che l’Unione Europea non mostri in generale un grande entusiasmo per i temi ambientali e che essa sia nei fatti divorata dalle lobby lo si è visto in queste settimane anche da un altro episodio. Sei tra le principali utility europee, tra cui la nostra Enel, hanno chiesto alla Commissione Ue di alzare la quota di quelle verdi con le quali coprire i fabbisogni di energia entro il 2030. La Commissione ha in effetti stabilito l’asticella, per quella data, al 27% del totale, sotto evidentemente la pressione di grandi strutture, mentre le sei aziende citate chiedono almeno il 35% (L.Pa., 2017) e anche che si cambi il regime degli incentivi.
Imprese vecchie e nuove
L’avanzare dell’auto a propulsione elettrica, come di quella a guida autonoma, nonché dell’internet delle cose sempre collegata al settore, pongono in luce un altro fenomeno, quello della lotta tra vecchie e nuove imprese.
Il grande processo di innovazione tecnologica in atto ha spinto molte imprese dell’economia numerica estranee sino a ieri al settore dei veicoli, dalla statunitense Google alla cinese Baidu, nonché diverse imprese nuove (vedi il caso della Tesla), a cercare di inserirvisi, cogliendo, almeno in un primo tempo, alla sprovvista le tradizionali case automobilistiche, a cominciare da quelle tedesche.
La lotta tra imprese vecchie e nuove ed anche qua e la i tentativi di accordo tra di loro sono in corso e non conosciamo l’esito finale. Possiamo però segnalare che, nonostante i suoi avveniristici investimenti, la Tesla è costretta a posporre continuamente nel tempo la realizzazione dei suoi obiettivi di produzione delle nuove vetture. In effetti, c’è un know-how specifico al settore dell’auto che frena l’assalto dei nuovi attori, che devono imparare un mestiere fatto anche di tanti accorgimenti ed astuzie organizzative.
Ma i dettagli operativi di un business si possono peraltro imparare abbastanza in fretta, soprattutto se si hanno a disposizione molti quattrini per comprarsi gli esperti relativi. D’altro canto, le notizie di questi giorni sulle difficoltà crescenti della General Electric, sino a ieri considerata l’impresa meglio gestita al mondo e che oggi rischia la frantumazione, mostrano come la vita delle imprese tradizionali sia sempre meno facile e come forse un giorno non troppo lontano ci troveremo a parlare del fallimento della Ford o dell’acquisto della Mercedes da parte di Alibaba.
La posizione della FCA
Come già accennato, tutti i principali produttori di auto del mondo stanno cercando ora di investire massicciamente nel settore dell’auto elettrica e in quello dell’auto a guida autonoma. Sono in campo stanziamenti per decine di miliardi di euro all’anno. La FCA appare di gran lunga quella che ha fatto meno sforzi in direzione delle novità e quindi essa si troverà in un futuro prossimo, inevitabilmente, senza grandi prospettive strategiche.
Non è chiaro quanto in tale decisione abbiano a suo tempo pesato la mancanza di risorse finanziarie, una valutazione errata da parte del management sugli sviluppi del comparto, o invece la decisione, probabilmente presa già da tempo dalla proprietà, di liquidare la sua partecipazione nell’auto, oltre che anche nelle attività di tipo più industriale concentrate nella CNH Industrial.
Ancora molto recentemente Marchionne ha dichiarato che l’auto elettrica non è ancora matura e che ci sono molti ostacoli economici alla sua adozione. Ma questo discorso, mentre contiene qualche elemento di verità (solo qualche elemento), sembra per qualche verso quello della volpe e dell’uva.
E qui torniamo ancora una volta alla Cina. Da quanto si capisce, un’ipotesi plausibile in gioco vede la Jeep ceduta agli statunitensi e la vecchia Fiat proprio ai cinesi, mentre una serie di attività al contorno, dalla Magneti Marelli alla Comau, due società in cui si concentrano competenze tecnologiche molto importanti nel nostro paese, appaiono in bilico e dal destino incerto.
Sino a quanto l’auto elettrica è ecologica?
I governi di molti paesi del mondo stanno sempre più spingendo in direzione dell’auto elettrica, ma nessuno sino ad oggi ha fatto delle differenziazioni tra i vari tipi di auto con tale tipo di propulsione; tutte le auto elettriche sono per la legge in qualche modo uguali e vanno tutte incentivate. Ma ci sono ancora oggi delle vetture elettriche di grandi dimensioni che, considerando l’intero ciclo di vita di un veicolo, dall’estrazione dei metalli rari, al tipo di energia che viene utilizzata per produrre e far funzionare la batteria, alla produzione delle parti, all’uso su strada, alla rottamazione, sono meno amiche dell’ambiente di alcuni piccoli modelli a combustione tradizionale (McGee, 2017).
Così, in particolare si consuma molta energia nella produzione di batterie agli ioni di litio e nella generazione di energia per la ricarica delle stesse.
L’insegnamento che se ne può trarre è quello che bisogna pensare a ridurre sempre di più il peso delle fonti di energia ad alta intensità di carbonio e di evitare l’uso delle batterie più grandi. Alcuni produttori hanno chiara la lezione e così, ad esempio, la grande fabbrica della Tesla nel Nevada dovrebbe utilizzare soltanto energia solare e del vento per le sue attività produttive. Anche la macchina elettrica della BMW, la i3, è studiata per essere la più ecologica possibile (McGee, 2017).
Il mondo appare sempre più complesso.
Testi citati nell’articolo
-Ducourtieux C., Mandard S., Bruxelles cède au lobby automobile, Le Monde, 10 novembre 2017
-L. Pa., I big delle rinnovabili sfidano Bruxelles, Affari & Finanza, La Repubblica, 13 novembre 2017
-McGee P., Electric cars’ green image blackens beneath the bonnet, www.ft.com, 8 novembre 2017
-Sanderson H., Hume N., Metal markets eye electric vehicles for fresh spark, www.ft.com, 30 ottobre 2017
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