Sabato prossimo, 2 dicembre, la Piattaforma Eurostop riunirà la sua assemblea nazionale, convocata già da quella precedente del 1 luglio scorso, per discutere sulla valutazione delle mobilitazioni del 10 ed 11 Novembre, dello lo sviluppo della situazione politica e della gestione della fase elettorale.
Con tutta evidenza gran parte dell’attenzione si va concentrando sull’ultimo punto, oggetto della accelerazione imposta dai compagni di Napoli e dall’assemblea al Teatro Italia del 18 novembre sulla proposta di una lista popolare alle prossime elezioni. Intervenendo in quella assemblea e in quelle territoriali che si stanno svolgendo in molte città, i compagni di Eurostop hanno chiarito due questioni fondamentali: sul cosa fare deciderà l’assemblea nazionale degli aderenti di sabato prossimo e la questione della rottura della gabbia dell’Unione Europea e della Nato è un punto dirimente.
Più volte abbiamo segnalato come l’arrivo di una scadenza elettorale provochi in giro una fibrillazione che troppo spesso rimuove sia i problemi politici di fondo che quelli materiali. Per alcuni, le elezioni – e il loro risultato – sono un certificato di esistenza in vita senza il quale non c’è soggettività e funzione politica che tenga. Per altri le elezioni sono un falso problema che merita una risposta meramente astensionista perché a fare la differenza nei rapporti di forza sono solo le lotte sociali.
Sparisce così il contesto politico, le sue contraddizioni, le sue accelerazioni e le sue possibilità di esercitare una funzione concreta che sposti un po’ più in avanti le possibilità di ricomposizione di un blocco di interessi “di classe” e del conflitto politico e sociale che ne sia l’esercizio materiale nei rapporti di forza.
La letterina della Commissione Europea al governo italiano, ad esempio, ci dice chiaramente che per le classi dominanti e il dispotismo tecnocratico europeo, non è affatto importante chi vincerà le elezioni, è importante solo che – chiunque sia – applichi i diktat della Troika sul pareggio di bilancio, le privatizzazioni, lo smantellamento del welfare e dei diritti dei lavoratori, punto. Non è un dettaglio. Questo definisce il quadro dentro cui oggi viene ancora tollerata la funzione della “politica”. Lo ha spiegato chiaramente il “crudo” editoriale del Corriere della Sera di una settimana fa dando voce a quello che si pensa e si attua a livello di gerarchia di comando europea.
Il fallimento dell’esperienza di Tsipras e Syriza in Grecia – con il tradimento del coraggioso Oxi della popolazione nel referendum – ha messo fine ad ogni velleità di condizionamento dell’apparato di comando nell’Unione Europea. Figuriamoci quanto sia possibile poi “condizionare” la Nato o il testosterone dei militaristi “de noantri” eccitati dall’idea di un Esercito Europeo. Quindi ogni ipotesi di riforma, miglioramento, democratizzazione verso questo apparato diventa impraticabile e fuorviante. Un significativo cambiamento prevede dunque una radicale rottura con gli apparati della governance europea e delle regole che hanno imposto.
Nasce da questo la necessità di operare e di far circolare a livello popolare il percorso della “rottura” con questi apparati – Ue/euro e Nato – come fattore di sopravvivenza sociale e di ripristino della sovranità popolare e democratica sulle sorti di un paese (sancite tra l’altro da una Costituzione perennemente sotto attacco o inattuata).
Diventa importante, anzi decisivo, far entrare in campo il “come” praticare questa rottura. Solo per fare un piccolo e parziale esempio, la richiesta dei referendum sui Trattati Europei e internazionali (es: la Nato o il Fiscal Compact), entra immediatamente in rotta di collisione sia con chi vuole escludere “il popolo” dalle decisioni che lo riguardano e ne determinano le condizioni materiali, sia con chi ha agitato la questione (Lega, M5S) ma l’ha abbandonata perché cooptato nelle regole del gioco dei poteri forti.
In secondo luogo occorre indicare come la struttura che le classi dominanti hanno costruito sull’Europa – l’Unione Europea – non sia affatto l’unico orizzonte o scenario di integrazione regionale possibile, soprattutto tra i paesi del Mediterraneo nord e del Mediterraneo sud alle prese, ad esempio, con la comune e devastante questione sia dell’immigrazione (verso l’Europa) che dell’emigrazione (dai paesi euromediterranei verso quelli del nord).
Dunque questo approccio e percorso di “rottura”, al momento è completamente assente dal panorama politico del paese. Ma abbiamo verificato che troppo spesso è assente anche nell’analisi e nei programmi di molte anime della sinistra esistente che ha rinunciato ad indicare qualsiasi modello alternativo di società. Anzi, la “sinistra” esistente ne è un ostacolo pervicace, fino ad essere percepita a livello di massa come parte del problema e non della soluzione. La Piattaforma Eurostop è nata proprio per non fare più sconti a questa sinistra o per accettarne il perimetro come unico spazio politico possibile.
La proposta dei compagni napoletani di “Je so pazzo”, sul piano dei contenuti non nasce all’origine con la stessa sintonia della Piattaforma Eurostop sulla questione europea, ma ha colto bene la contraddizione tra esigenze popolari disattese e divise, con la loro entrata in campo autonoma nella “politica”, indicandone le potenzialità, soprattutto tra chi ha meno di trent’anni (e non porta dunque le stimmate delle sconfitte del passato ma solo la rabbia sul presente) e tra chi da anni si è ritirato in una “militanza a chilometro zero” su un terreno specifico (ambientale, sociale, sindacale, solidale etc.) rinunciando alla “politica” perché essa ne ha completamente disatteso le aspettative, il radicamento sociale, le possibilità di risultati concreti.
Eppure nelle assemblee che si stanno facendo in giro per l’Italia su questa proposta di lista elettorale si respira un clima più positivo che tre, quattro o cinque anni fa non era affatto visibile. Non sono tanto o non solo gli argomenti più o meno convincenti, ma è la realtà che modifica radicalmente i comportamenti e costringe a fare cose diverse anche chi non le ha voluto fare fino a ieri. Come abbiamo scritto nei giorni scorsi, il problema non è tra vecchio e nuovo, il problema è evitare che il “morto afferri il vivo”.
Se non si coglie la dinamica della realtà – ma ci si limita a fotografare l’immobilità del presente e del passato-, se non si colgono le potenzialità che possono esprimersi in settori sociali diversi da quelli perimetrati e conosciuti fino ad ora, il rischio è quello di non cercare di cogliere gli squarci che si aprono in uno scenario che il nemico di classe vorrebbe blindato, esclusivo, inamovibile. Evocare nuovamente e praticare la rottura del quadro esistente sulla base di interessi popolari e di classe definiti, è il presupposto per qualsiasi ipotesi di cambiamento, indipendentemente dalle elezioni e dal loro risultato. Hic rhodus hic salta!
Nessun commento:
Posta un commento