domenica 3 dicembre 2017

“Con la stampante 3D spieghiamo la storia agli studenti italiani”: la startup nata per valorizzare l’Abruzzo

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Emanuela Amadio, storica dell’arte e della fotografia, e Stefano Colarelli, sviluppatore informatico, hanno creato la start up Hi Storia, che realizza laboratori didattici lavorando su modellini tridimensionali di chiese, edifici storici e opere d’arte. "Parlare di cultura e nuove tecnologie in chiave open source in un contesto territoriale abituato alle logiche dei brevetti non è semplice, ma abbandonare il nostro Paese non è una soluzione"


Imparare la storia grazie alla stampa 3D. Ma, soprattutto, valorizzare il patrimonio culturale attraverso le nuove tecnologie. E, per giunta, al Sud. È questo l’obiettivo di Hi-Storia, startup culturale abruzzese che lavora su modellini tridimensionali di chiese, edifici storici e opere d’arte, realizzando laboratori didattici e coinvolgendo studenti, docenti e istituzioni culturali.
Tutto è nato nel 2013 con l’obiettivo di valorizzare il patrimonio culturale abruzzese: “Abbiamo sin da subito lavorato sui paradigmi dell’accessibilità e della coesione sociale, dando la priorità a luoghi culturali minori, lontani dai principali flussi turistici e alle aree interne”, racconta Emanuela Amadio, cofondatrice della startup. Nel 2014 vengono realizzati i primi lavori su commissione rivolti a non vedenti, tra cui l’audioguida tattile del Parco Nazionale del Gran Sasso. “Da quel momento ci siamo focalizzati su questa tipologia di dispositivo”.

Abbiamo sin da subito lavorato sui paradigmi dell’accessibilità e della coesione sociale, dando la priorità a luoghi culturali minori, lontani dai principali flussi turistici e alle aree interne
La startup è stata fondata ed è gestita da due giovani abruzzesi, professionisti con background differenti: Emanuela Amadio, storica dell’arte e della fotografia, e Stefano Colarelli, sviluppatore informatico. Dal 2015 Hi-Storia si è trasformato in un progetto fortemente partecipato: “Abbiamo lavorato allo sviluppo di dispositivi interattivi e alla creazione di una rete di scuole, prevalentemente nel Centro-Sud Italia”, ricorda Emanuela. In ogni laboratorio gli studenti sono coinvolti nella creazione di un dispositivo tattile seguendo tutte le fasi di realizzazione, dallo studio del bene culturale alla modellazione 3D, fino alla stampa e all’assemblaggio della parte hardware. “Il nostro progetto è interamente open source perché crediamo che la cultura debba essere libera e accessibile, per cui le scuole possono contattarci per svolgere laboratori agli studenti o per organizzare corsi di formazione rivolti ai docenti”.
Aver sviluppato un progetto basato sull’apertura e sulla condivisione permette, così, di avere destinatari ed utenti che simpatizzano (ed empatizzano) maggiormente con il team. “Negli ultimi mesi – aggiungono i due fondatori – hanno collaborato con noi quasi 200 docenti in tutta Italia per lo sviluppo di progetti di innovazione per beni culturali da attuare a scuola, in occasione di un bando del Miur”. La maggior parte di loro si è impegnata in piena estate, a titolo gratuito. Ma il dialogo e la collaborazione si sviluppano anche in altre regioni d’Italia: basti guardare i rapporti stretti da Hi-Storia col FabLab Roma Makers, l’Associazione ON di Perugia, il FabLab MakeinBO di Bologna.
Il nostro progetto è interamente open source perché crediamo che la cultura debba essere libera e accessibile
Avviare una start-up al Sud non è stato facile. “Più che problemi di natura burocratica, abbiamo percepito una diffidenza di fondo dei finanziatori nei confronti dei progetti rilasciati con licenze aperte – spiegano – Parlare di cultura e nuove tecnologie in chiave open source in un contesto territoriale abituato alle logiche dei brevetti non è semplice”. Eppure, Emanuela e Stefano non hanno mai pensato di lasciare l’Italia: “C’è tanto da fare qui e abbandonare il nostro Paese non è una soluzione. Abbiamo la possibilità di inventare e di costruire assieme soluzioni per i nostri problemi”.
Differenze Nord-Sud? Se parliamo di finanziamenti, allora sì. “In Abruzzo abbiamo avuto una proposta di finanziamento con ingresso soci, che prevedeva però l’abbandono del modello open source. Questo indica, forse, una mancata conoscenza delle potenzialità economiche di progetti aperti”. Il progetto Hi-Storia, comunque, è stato accolto con entusiasmo in tutte le scuole della penisola, senza distinzioni territoriali.
Prossimo obiettivo? Emanuela e Stefano stanno lavorando allo sviluppo di una piattaforma rivolta a docenti, makers e professionisti della cultura, con la quale migliorare la capacità di Hi-Storia. “Tra dieci anni? Ci immaginiamo come un gruppo di professionisti. Vogliamo contribuire alla crescita economica, sociale e culturale della nostra terra”. Con l’obiettivo, tra l’altro, di esportare il modello all’estero. “Ricordo ancora la prima presentazione pubblica di Hi-Storia – conclude Emanuela – Eravamo a Santo Stefano di Sessanio, comune di 112 abitanti in provincia dell’Aquila. Era la nostra prima uscita e il riscontro fu entusiasta. Ma non ci avrei scommesso un euro – sorride – Nel Sud Italia di certo non mancano gli stimoli per fare bene e innovare”.

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