Si
sono conclusi i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle
periferie.
L’unico ministro invitato a parlare il 19 dicembre scorso
alla consegna della corposa Relazione della Commissione al Parlamento è
stato Minniti, a sottolineare come la lente con la quale si guarda alle
periferie è quella occhiuta della polizia e la chiave di interpretazione
è tutta di tipo securitario.
Eppure
dalla voluminosa quantità di audizioni e di missioni compiute dalla
Commissione nel corso di poco più di un anno di attività emergono
diversi elementi utili a disegnare una vastissima area del disagio
sociale, risultato di decenni di politiche liberiste che hanno
accresciuto la disuguaglianza sociale. Per periferie non vanno intese
solo le aree esterne delle zone metropolitane poiché, e questo la
Commissione lo intende, c’è una periferia sociale diffusa in molti
centri ed anche nelle zone interne e depresse del paese. Il calcolo che
viene proposto porta a dire che ci sono ben 30 milioni di persone che in
Italia fanno parte della periferia sociale e vivono diverse condizioni
di insicurezza.
La
relazione del capo della polizia Gabrielli davanti Commissione
descriveva nel dettaglio le zone più a rischio delle 14 aree
metropolitane del paese, sottolineando che a fronte di una riduzione dei
reati si assiste però da diversi anni ad un accresciuto senso di
insicurezza nella popolazione. Una considerazione di per sé sufficiente a
spiegare che le cause andrebbero cercate altrove ma che invece ha
consigliato, dopo qualche mese, l’emanazione dei famigerati decreti
Minniti. Anche l’annuncio del presidente dell’ISTAT Alleva davanti alla
Commissione è suonato minaccioso: Alleva ha parlato del progetto di
censimento permanente della popolazione di concerto con il Ministero
degli Interni, per monitorare costantemente le aree del disagio ed
individuarle con sempre maggior precisione, utilizzando le tecniche
statistiche più avanzate.
Non
sono mancate in Commissione le voci dissonanti, per fortuna. In primo
luogo quella del sindaco di Napoli De Magistris che ha provato ad
indicare un’altra strada, non securitaria ma inclusiva, nella stessa
gestione degli odiosi decreti del ministro degli Interni. I poteri
conferiti ai sindaci, ha detto De Magistris, a Napoli li stiamo
utilizzando con una logica non repressiva. Stabili di proprietà privata
abbandonati e in contrasto con il decoro urbano possono essere, con una
ordinanza, messi al servizio della collettività; oppure, situazioni di
mercatini con piccoli artigiani irregolari possono essere regolarizzate,
salvando un pezzo di economia locale povera che altrimenti sarebbe
eliminata.
Forte
è stato poi il richiamo del professor Salvatore Settis, accademico dei
Lincei, ai nodi strutturali che stanno dietro l’allargarsi della
periferia. Come la libertà lasciata ai costruttori di edificare sulla
base di valutazioni sbagliate e false di crescita demografica. Milioni
di metri cubi di cemento piovuti nei decenni negli anelli periferici
delle grandi città senza che fossero giustificati da una effettiva
crescita del fabbisogno. L’assenza di una legge sul controllo pubblico
dei suoli e la salvaguardia del paesaggio ha impedito che si realizzasse
una relazione positiva tra aree urbane e zone agricole e le città in
molti casi hanno finito per mangiarsi le campagne. La scarsa attenzione
al sistema dei trasporti, strategico per impedire l’isolamento di intere
zone del paese, è l’altra faccia di una idea dei servizi che guarda al
profitto piuttosto che alle esigenze della collettività.
Ma
quello che colpisce dei lavori di questa Commissione è la precisa
volontà politica di sottovalutare i dati essenziali che fanno di intere
zone del paese aree periferiche e cioè la carenza di lavoro stabile e di
redditi adeguati, il numero di alloggi popolari fortemente al di sotto
delle necessità, la limitatezza o assenza dei servizi, la debolezza
delle infrastrutture viarie e del trasporto. Le ferrovie, per esempio,
hanno tagliato i “rami secchi” e le aziende del trasporto locale hanno
ridotto le corse in periferia: non ci si può stupire che interi
territori siano vissuti da gente che difficilmente esce dal quartiere.
Sulla
questione abitativa l’attenzione si è rivolta in modo maniacale al tema
delle occupazioni abusive e del ripristino della legalità. I tanti
vuoti che si sono creati sul territorio, vuoi per le dismissioni delle
fabbriche vuoi per l’abbandono di enti e strutture pubbliche, non sono
visti come occasioni per rilanciare la socialità e l’iniziativa
collettiva. La chiusura di molti esercizi commerciali di quartiere a
causa dell’espansione dei centri commerciali ha fatto proliferare il
fenomeno delle serrande chiuse, aumentando l’isolamento e la
desolazione. Di fronte a questi fenomeni la Commissione si è solo
preoccupata di sollecitare una maggiore attenzione affinché quei locali
rimasti vuoti non venissero occupati!
Il
primo ministro Gentiloni ha annunciato 4 miliardi di investimenti nelle
periferie. Poco dopo i costruttori riuniti nell’ANCE hanno chiesto di
rifinanziare il bando per le periferie: un meccanismo di coazione a
ripetere senza sosta. Minniti ha dichiarato che sul futuro delle
periferie si gioca il destino delle democrazie europee e forse voleva
dire che per chiudere definitivamente con la democrazia occorre
controllare le periferie. Un mix di sostegno all’azione dei privati
nella gestione del territorio e strumenti di controllo sulla
popolazione, rafforzando la polizia ed aggravando le norme penali sui
reati “urbani”.
I
risultati della Commissione si tradurranno probabilmente nella nascita
di un’ennesima agenzia – l’ Agenzia Nazionale Periferie – con la quale
promuovere una governance pubblico-privato di materie di interesse
generale che andrebbero invece sottratte agli appetiti privatistici.
Nata
sotto la spinta di una preoccupazione securitaria per il terrorismo in
Europa, la Commissione conclude così i suoi lavori sprecando
completamente un’occasione importante di focalizzare l’attenzione sui
disastri del neoliberismo. Sarà forse il caso di costruirla dal basso
una Commissione alternativa che guardi alle periferie con il desiderio
di riscatto e lavori per allargare e non restringere gli spazi di
libertà.
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