contropiano
Comunque
la si pensi – e noi la pensiamo decisamente male – la mini-kermesse di
Piazza Santi Apostoli, dove l’ectoplasma di Pisapia ha presentato il suo
“Insieme”, è un fatto politico. Di che tipo, non è difficile da capire.
Contenuti pressoché zero (solo uscite individuali su questo e quello),
tanto politicismo astratto (chiedere a Renzi “primarie di coalizione”
mentre si va a votare con una legge elettorale che prevede liste
singole, ma non coalizioni, dà l’idea della confusione mentale nella
testa del “leader”), non detti più numerosi delle affermazioni
(alternativi a Renzi ma pronti a convergere “per non far vincere le
destre”, mentre lo stesso Renzi vuole fermissimamente fare il governo
col Berlusca…).
Un
bel groviglio di insensatezze che è bene chiarire parlando con chi,
magari un po’ lateralmente e con idee spesso contrastanti (per esempio
sull’euro e l’Unione Europea), in quel percorso ci ha messo un piede,
andando in quella piazza.
L’intervista con Staefano Fassina è stata realizzata da Radio Città Aperta.
Il
nostro spazio di approfondimento di oggi vede ospite Stefano Fassina,
di Sinistra Italiana, che parlerà con noi della nascita di “Insieme”,
questa formazione che è stata tenuta a battesimo sabato pomeriggio a
Roma. Buongiorno Fassina.
Buongiorno a voi.
Sabato
pomeriggio è stata tenuta a battesimo “Insieme”, che Giuliano Pisapia
ha definito la “Nuova casa del centrosinistra” e che raccoglie una serie
di sigle di quell’area. In innumerevoli altre occasioni abbiamo visto
aggregazioni di sigle politiche che però non sono riuscite ad aggregare i
rispettivi elettorati, producendo nelle urne risultati molto deludenti
rispetto alle aspettative. Perché questa crede che possa essere, se lo
crede, un’esperienza diversa?
C’è
un processo in corso che ha avuto sabato a Santi Apostoli una tappa. Ne
ha avuta un’altra prima, il 18 giugno, al Brancaccio. Quindi gli
affluenti che possono concorrere al grande fiume di una proposta
politica in grado di tornare a rappresentare il lavoro, la giustizia
sociale, la sostenibilità ambientale, la democrazia costituzionale, sono
diversi e raccolgono non solo porzioni di forze politiche, ma anche
energie della cittadinanza attiva; in particolare quelle che si sono
misurate con la vittoria del No il 4 dicembre scorso. Questo è un
elemento, per venire alla tua domanda, che motiva le ragioni per cui
stavolta è diverso rispetto ad altre volte. E poi c’è un’altra ragione
fondamentale. Noi in questi anni, almeno dalle elezioni dell’Emilia
Romagna del novembre 2014, che sono state il primo momento elettorale
dopo l’approvazione del jobs act, abbiamo registrato un crescente
allontanamento, distacco, rottura, ostilità di una parte di quel popolo
di sinistra rispetto al Partito Democratico. C’è un vuoto, un deficit di
rappresentanza, che spiega poi anche la crescente
disaffezione/astensione dal voto. Quindi ci sono ragioni di fondo, non i
capricci di qualche fuoriuscito da Pd – come continuano a ripetere
alcuni strumentalmente. Ci sono ragioni di fondo a motivare la necessità
di una proposta politica che torni a rappresentare il lavoro.
Una proposta politica che dovrebbe però rappresentare
una rottura significativa rispetto alle politiche fin qui tenute negli
ultimi anni dal Partito Democratico. Il punto è che l’elettorato a cui
ci si rivolge sembra essere, in realtà, quasi lo stesso.
No,
non è così. L’elettorato a cui ci si rivolge è quell’elettorato
innanzitutto che non è andato più a votare, perché anche qualche
settimana fa, alle elezioni a amministrative a Genova, a Pistoia – parlo
di roccaforti, un tempo, di territori che erano luoghi di insediamento
molto intenso, storico, della sinistra – abbiamo avuto un crollo della
partecipazione al voto. Quindi non è lo stesso elettorato. Noi vorremmo
puntare ad un elettorato che se ne è andato, o nell’astensione o anche
verso altre proposte, come i 5 Stelle. Ma anche a destra, come abbiamo
visto anche in altri paesi europei. La competizione non è sul residuo
bacino elettorale del Pd. La competizione è per riconquistare un popolo
che oggi non guarda il Pd, non guarda nessuno, oppure guarda verso
interlocutori, che noi consideriamo interlocutori inadeguati.
Lei
invocava un cambio di rotta nelle politiche del nostro paese, delle
politiche che siano più chiaramente rivolte a sinistra. Come si può
conciliare l’idea di portare avanti politiche di questo genere con una
permanenza all’interno dell’Unione europea? Mi spiego meglio… Poniamo il
caso che questa formazione giunga al 51% e vada a governare. A quel
punto poi c’è da fare i conti con gli altri leader europei: la Francia,
la Germania, le politiche che l’Unione Europea pretende che vengano attuate nel nostro paese. Diventa complicato. O no?
Assolutamente
sì. Quello che, ad esempio Syriza e Alexis Tsipras stanno sperimentando
in Grecia – un partito con una proposta politica radicalmente
alternativa al neoliberismo, che vinse nel luglio 2015 il referendum a
larghissima maggioranza, quello che disse NO al memorandum della Troika –
e si trova, da allora, ad attuare un programma neoliberista. Quindi è
evidente che c’è una contraddizione… C’è un conflitto che si deve aprire
con un impianto normativo dell’Unione europea e dell’eurozona, con
un’agenda liberista che è contraddittoria con gli obiettivi di
valutazione del lavoro, di redistribuzione del reddito e anche con la
crescita, perché poi la svalutazione del lavoro e l’aumento delle
disuguaglianze pesa negativamente anche sulle possibilità di crescita e
di occupazione. Quindi si apre un conflitto, una vertenza, un negoziato,
si compiono atti che possono anche contraddire la normativa europea.
Faccio un esempio. In queste ore ricominciamo a discutere alla Camera
del decreto per il salvataggio delle banche venete. Il governo ha detto,
rispetto alla nostra proposta – l’ingresso dello Stato nel capitale
della banche – che non l’ha potuto fare perché la normativa europea lo
impedisce. Ecco, da questo punto di vista avremmo dovuto fare una
forzatura. Entrare con i soldi dello Stato nel capitale della banche per
fare in modo di non dare a BancaIntesa la parte buona e lasciare sulle
spalle dei contribuenti i crediti inesigibili; ma cercare di tenere
insieme i due pezzi e fare in modo di minimizzare l’impatto del
salvataggio sui contribuenti. Il governo non l’ha fatto, invece si
sarebbe dovuto fare, andando fino in fondo alla Corte di Giustizia, se
necessario, per affermare il primato della nostra Costituzione rispetto a
trattati europei che ne contraddicono radicalmente i principi.
Parliamo
comunque di una rimodulazione delle politiche europee. Non è
contemplata invece un’ipotesi di uscita dell’Italia dall’Unione…
Guardi,
le scorciatoie purtroppo non ci sono. Noi dobbiamo fare in modo che in
una fase così complicata ci siano atti unilaterali. E’ chiaro che il
governo che in Italia avesse la forza e la determinazione di una
radicale svolta rispetto al quadro normativo europeo dovrebbe
innanzitutto cercare alleanze con altri governi e costruire un fronte
comune, perché non ci sono atti unilaterali che consentono di migliorare
la situazione. Le soluzioni alternative allo status quo vanno costruite
con un arco di paesi europei, quelli più colpiti nell’Eurozona,
altrimenti non funzionano.
Potremmo pensare ad Italia, Grecia, Portogallo….
Spagna…
Che hanno anche una direzione a sinistra, un governo a sinistra …
Sì,
ma anche forze importanti dell’opposizione. Perché in Spagna il governo
non è di sinistra, ma ci sono forze importanti all’opposizione come
Podemos; e mi pare che sempre di più il partito socialista, con la
rielezione di Sànchez, voglia prendere le distanze dal governo Rajoy. Quindi
si tratta di fare un’operazione di relazione tra governi, ma di
relazione anche con quelle forze politiche che spingono nella stessa
direzione. E’ evidente che non c’è nulla di facile. Non ci sono
soluzioni tecniche da attivare. C’è un lavoro politico intenso da fare e
anche atti di discontinuità, a partire da una legge di bilancio che, se
fosse per noi, dovrebbe prevedere la sospensione del fiscal compact e
il finanziamento di investimenti in piccole opere pubbliche; piccole
opere per far ripartire il lavoro, per mettere in sicurezza il
territorio o mettere in sicurezza le scuole pubbliche.
Le foto sono tutte di Patrizia Cortellessa.
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