Fonte:
il manifestoAutore:
Rachele Gonnelli
«Se penso da dove siamo partiti otto anni fa, cioè da quelle terribili foto del corpo di mio fratello, a dove siamo arrivati oggi…». Per la prima volta da allora la voce di Ilaria Cucchi non trema, respira – si percepisce – tra una parola e l’altra. Il sollievo che traspare è dovuto alla svolta processuale di ieri: la giudice Cinzia Parasporo al termine dell’udienza per il nuovo processo che vedeva imputati per la prima volta i cinque carabinieri che per primi vennero in contatto con Sefano Cucchi, li ha rinviati a giudizio tutti e cinque, anche se per responsabilità diverse.
I carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco andranno alla sbarra accusati di omicidio preterintenzionale in quanto ritenuti autori del brutale pestaggio di Stefano Cucchi.
Il maresciallo Roberto Mandolini, comandante ad interim della stazione dell’Arma dell’Appia, dovrà rispondere di calunnia e falso per averli coperti, dichiarando il falso e scaricando ogni responsabilità sulla polizia penitenziaria, come pure per il reato di calunnia dovrà difendersi il quinto carabiniere, Vincenzo Nicolardi.
I tre principali imputati sono prosciolti dalle accuse aggiuntive di abuso di autorità solo perché cadute in prescrizione. Per Ilaria Cucchi che la colpa della morte del fratello fosse dei primi uomini in divisa che lo avevano arrestato «era già chiaro dal primo momento, otto anni fa», ma grande è stata l’operazione per confondere le acque, alzare cortine fumogene, insabbiare, tacitare le testimonianze. «Sono stati accusate altre persone, fatti altri processi perché questi cinque hanno giurato il falso, sapendo di chi era invece la colpa, ora non si scherza più, non potranno più nascondersi dietro consulenti, perizie e altri imputati».
A ben vedere ancora ieri i legali Antonella De Benedictis, Vincenzo De Blasio e Goffredo Grasso, del collegio di difesa dell’imputato Alessio Di Bernardo, hanno continuato a puntare il dito altrove. «La responsabilità penale è personale e non si può essere accusati di omicidio per la morte causata dall’errore eclatante e straordinario di un medico». Insomma per la difesa a uccidere Stefano Cucchi sarebbe stata la trascuratezza dell’équipe medica dell’ospedale Pertini di Roma – già scagionata in un precedente processo – e non chi lo ha pestato fino a ridurlo in fin di vita.
Secondo Ilaria Cucchi «la responsabilità di questi cinque è evidente e la preoccupazione dei loro avvocati era percepibile all’udienza. Il fatto è che hanno sempre pensato di averla fatta franca e invece non è così».
Lei ringrazia in modo particolare l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo: è stato lui, racconta, a dirle subito dopo la morte di Stefano di far scattare le foto al cadavere martoriato. «Lì per lì sono inorridita, eppure senza quelle immagini tutta la nostra battaglia, con l’opinione pubblica e per la verità, probabilmente non avremmo avuto la forza per farla».
Poi Ilaria ringrazia il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone «che ha finalmente disposto indagini a 360 gradi che hanno incastrato questi cinque».
E vuole aggiungere: «Non c’è nessuno che crede nella giustizia e nelle istituzioni più di me e questo risultato dà speranza a tutti. Non sono io che ho infangato la divisa delle forze dell’ordine ma chi ha macchiato quella divisa, adesso è chiaro».
«Se penso da dove siamo partiti otto anni fa, cioè da quelle terribili foto del corpo di mio fratello, a dove siamo arrivati oggi…». Per la prima volta da allora la voce di Ilaria Cucchi non trema, respira – si percepisce – tra una parola e l’altra. Il sollievo che traspare è dovuto alla svolta processuale di ieri: la giudice Cinzia Parasporo al termine dell’udienza per il nuovo processo che vedeva imputati per la prima volta i cinque carabinieri che per primi vennero in contatto con Sefano Cucchi, li ha rinviati a giudizio tutti e cinque, anche se per responsabilità diverse.
I carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco andranno alla sbarra accusati di omicidio preterintenzionale in quanto ritenuti autori del brutale pestaggio di Stefano Cucchi.
Il maresciallo Roberto Mandolini, comandante ad interim della stazione dell’Arma dell’Appia, dovrà rispondere di calunnia e falso per averli coperti, dichiarando il falso e scaricando ogni responsabilità sulla polizia penitenziaria, come pure per il reato di calunnia dovrà difendersi il quinto carabiniere, Vincenzo Nicolardi.
I tre principali imputati sono prosciolti dalle accuse aggiuntive di abuso di autorità solo perché cadute in prescrizione. Per Ilaria Cucchi che la colpa della morte del fratello fosse dei primi uomini in divisa che lo avevano arrestato «era già chiaro dal primo momento, otto anni fa», ma grande è stata l’operazione per confondere le acque, alzare cortine fumogene, insabbiare, tacitare le testimonianze. «Sono stati accusate altre persone, fatti altri processi perché questi cinque hanno giurato il falso, sapendo di chi era invece la colpa, ora non si scherza più, non potranno più nascondersi dietro consulenti, perizie e altri imputati».
A ben vedere ancora ieri i legali Antonella De Benedictis, Vincenzo De Blasio e Goffredo Grasso, del collegio di difesa dell’imputato Alessio Di Bernardo, hanno continuato a puntare il dito altrove. «La responsabilità penale è personale e non si può essere accusati di omicidio per la morte causata dall’errore eclatante e straordinario di un medico». Insomma per la difesa a uccidere Stefano Cucchi sarebbe stata la trascuratezza dell’équipe medica dell’ospedale Pertini di Roma – già scagionata in un precedente processo – e non chi lo ha pestato fino a ridurlo in fin di vita.
Secondo Ilaria Cucchi «la responsabilità di questi cinque è evidente e la preoccupazione dei loro avvocati era percepibile all’udienza. Il fatto è che hanno sempre pensato di averla fatta franca e invece non è così».
Lei ringrazia in modo particolare l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo: è stato lui, racconta, a dirle subito dopo la morte di Stefano di far scattare le foto al cadavere martoriato. «Lì per lì sono inorridita, eppure senza quelle immagini tutta la nostra battaglia, con l’opinione pubblica e per la verità, probabilmente non avremmo avuto la forza per farla».
Poi Ilaria ringrazia il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone «che ha finalmente disposto indagini a 360 gradi che hanno incastrato questi cinque».
E vuole aggiungere: «Non c’è nessuno che crede nella giustizia e nelle istituzioni più di me e questo risultato dà speranza a tutti. Non sono io che ho infangato la divisa delle forze dell’ordine ma chi ha macchiato quella divisa, adesso è chiaro».
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