martedì 11 luglio 2017

Amitav Ghosh: "Non lasciamo i cambiamenti climatici agli scienziati, raccontiamoli”.

Se il G7 di Taormina si era concluso con la defezione degli Usa dagli accordi climatici - formalizzata qualche giorno dopo, ma già chiara nei giorni del summit – anche all'ultimo G20 di Amburgo, i Grandi della Terra si sono incontrati, salutati e hanno passato del tempo insieme, ma su quella tematica e problematica non è stato fatto alcun passo avanti.
 
Giuseppe Fantasia Giornalista
Trump ha confermato il suo "no" agli accordi di Parigi e dichiarato, nel documento finale, che gli Stati Uniti non solo vogliono incrementare la produzione di carbone, ma anche esportarlo.
"Uno dei problemi principali del cambiamento climatico è che tutti gli avvertimenti, i moniti, gli allarmi, sono stati lanciati da una élite scienziati, ma in fin dei conti le macchine che creano l'inquinamento e l'effetto serra non sono che dei meri strumenti alimentati dai nostri desideri", ha spiegato all'HuffPost Amitav Ghosh, uno dei più grandi scrittori indiani, autori di besteller quali, tra gli altri, Il paese delle maree, Il Palazzo degli specchi, Mare di papaveri, il Fiume d'oppio e Diluvio di fuoco, tutti pubblicati in Italia da Neri Pozza.

Anni fa, il 17 marzo del 1978, la città di Delhi fu colpita da un violento ciclone che distrusse la parte settentrionale della capitale indiana causando più di trenta morti e oltre settecento feriti. Gli abitanti furono colti alla sprovvista, perché impreparati di fronte alla furia dell'acqua e del vento, e tra coloro che si salvarono, ci fu anche Amitav Ghosh che all'epoca era uno studente universitario poco più che ventenne.
"Fui talmente colpito da quell'esperienza di impotenza e devastazione, che decisi che ne avrei dovuto scrivere e dire la mia proprio sui cambiamenti climatici", ci ha detto. "Lo feci con il mio primo libro, Il paese delle maree, e ho continuato a farlo tenendo lezioni all'università". Queste, oggi, sono state raccolte in un libro, "La grande cecità: il cambiamento climatico e l'impensabile", da noi pubblicato sempre da Neri Pozza nella traduzione di Anna Nadotti e Norman Gobetti, una riflessione originale e a suo modo provocatoria, un vero e proprio invito a riflettere sul tema e ad agire.
Perché scrivere un libro su questo argomento?
"È una bella domanda, non so se saprò rispondere. È da molto tempo che mi occupo delle questioni sul cambiamento climatico, ho visto l'impatto che hanno avuto sul mondo, in particolar modo sulla parte di quello da cui provengo, il Bengala. La storia dei cambiamenti climatici, in definitiva, è la storia umana degli ultimi cinque secoli: comincia con la spogliazione delle risorse naturali perpetrata dagli imperi coloniali, passa per la rivoluzione industriale alimentata a combustibili fossili e si spinge in un futuro gravido di minacce. È la nostra storia. Vale la pena di essere raccontata".
I cambiamenti climatici non compaiono mai nei racconti e nei romanzi, sono sempre visti come "un qualcosa che non interessa i più" – come abbiamo letto sul New York Times: secondo lei, perché?
"Ho scritto questo libro per esaminare in dettaglio i motivi per cui chi scrive fiction non affronta questi temi, anche perché la fiction contemporanea oppone resistenza al cambiamento climatico e lo stesso resiste a questa scrittura. I romanzi si concentrano sull'io e l'interiorità delle persone e questioni come queste non possono trovare posto nella prosa. Anche nei giornali e nelle riviste, in fondo, se ne parla davvero poco considerata l'importanza e la sua gravità".
"Le politiche di salvataggio adottate fino a oggi andranno a sostenere solo i ricchi occidentali", scrive nel libro. Ha dei consigli da dare in tal senso?
"Ho deciso di non parlare di soluzioni possibili in quanto tali, perché sono cose che devono fare gli specialisti e io non lo sono. Dobbiamo ridurre il nostro uso di combustibili fossili, ad esempio - ci sono stati tanti programmi in tal senso - e far sì che l'occidente lo riduca ad un ritmo misurabile ed altri paesi a uno meno intenso, così da poter garantire una maggiore distribuzione. La via è nota, ma richiederebbe dei cambiamenti molto radicali dei ricchi del mondo, non solo dell'occidente. Non siamo capaci di guardare in faccia la gravità di quello che sta succedendo intorno a noi e capire l'entità della sfida dei grandi cambiamenti climatici. In Siria, per esempio, dal 2008 c'è stata la siccità che è durata molto tempo. Non dico sia stata questa la causa, ma i fatti climatici hanno aggravato la guerra civile".
Cosa hanno portato gli accordi di Parigi e cosa c'è di sbagliato?
"Partiamo dal punto positivo. È la prima volta che circa 190 Paesi hanno firmato insieme un grande movimento sulle tematiche alla lotta del cambiamento climatico e in tal senso, gli accordi sono un'accettazione di quella che è la climatologia mondiale. Non è mai accaduto prima. Trump è uno dei tanti negatori del cambiamento climatico, non lo accetta e disconosce ciò che la scienza ci dice su quello che ci accade attorno. Dal punto di vista negativo, invece, gli accordi fissavano obiettivi e tutto ruotava attorno alla messa a punto di nuove tecnologie che sono però ancora lontane da venire. Si tratta di un documento totalmente impregnato sul concetto del whishful thinking – poter rimuovere una grande quantità di carbonio dall'atmosfera e sotterrarlo – peccato, però, che le tecnologie per fare ciò non esistano.
Altro aspetto negativo, emerge se ci mettiamo dal punto di vista dei poveri del mondo. Così facendo, ci si accorge che quegli accordi sono un disastro perché hanno sbattuto la porta in faccia all'idea della giustizia climatica e all'idea di un indennizzo che i paesi avanzati potevano offrire a quelli più colpiti dal cambiamento climatico. L'idea di "giustizia climatica" è stata sotterrata e al suo posto è stata avanzata l'idea di costituire un super fondo dove i paesi ricchi avrebbero dovuto versare fondi per fare la carità a quelli più duramente colpiti. Peccato che nessuno finanzi questo super fondo. Non ci sono soldi nemmeno per fare la carità.
Nel migliore dei casi, quindi, vorrei definirlo come un documento totalmente insufficiente e comunque, che non ha trovato attuazione".
In tutto questo, un margine di miglioramento ci potrà mai essere?
"Ogni crisi porta a momenti di riflessione e penso che questa grave crisi dell'ambiente ci costringa ad affrontare questioni che sono interrogativi fondamentali per l'essere umano. Capire, per esempio, cosa conta davvero, che è poi un qualcosa che non è mai cambiato negli esseri umani attraverso le Ere. Ciò che conta sono solo le persone e i luoghi che ci stanno a cuore".
Il Papa la pensa come lei: lo avrebbe mai immaginato?
"No, è davvero una cosa straordinaria e inattesa, non lo immaginavo affatto. Non ho il minimo dubbio che la sua enciclica Laudato sì sia il documento più importante mai scritto a proposito di tematiche ambientali e del nostro stile di vita, una critica perfetta a certe idee contemporanee di libertà".
Una tematica inesauribile a quanto pare. Nel suo prossimo libro continuerà a parlarne?
"Certo, perché la mia è una sorta di missione che devo portare a termine. La grande cecità di cui parlo riguarda noi tutti, dalla cultura all'arte, è giunto il momento di svegliarsi e di agire".

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