ROMA NON SI VENDE ATTO 2°
Decide Roma
Il 19 marzo dello scorso anno una grande manifestazione ha invaso le strade del centro città e la Piazza Del Campidoglio al grido di Roma Non Si Vende.
Movimenti sociali, associazionismo diffuso e lavoratori organizzati nel
sindacalismo indipendente denunciavano il rischio che il patrimonio
immobiliare della città, le aziende ex-municipalizzate e ciò che restava
di pubblico a Roma venisse venduto per fare cassa, pagare il debito
della Capitale ma soprattutto regalare ai grandi investitori privati
tanta parte delle risorse cittadine.
La sconfitta del Partito Democratico renziano alle elezioni amministrative di giugno e la fine della infausta fase commissariale sembravano aprire una fase nuova per la vita della città. La nuova giunta, del resto, sembrava aver recepito alcune delle rivendicazioni poste dagli stessi movimenti sociali, quali la difesa dei beni comuni, la ripubblicizzazione dei servizi, la messa in discussione del debito e delle politiche di austerità e l'apertura di una fase di partecipazione attiva dei cittadini. Nel giro di pochi mesi però, una buona parte di quelle aspettative è stata sistematicamente disattesa: la nuova giunta, prima si è avvitata nel vortice inconcludente dei continui ricambi nei diversi assessorati e poi ha finito per incanalarsi nella semplice applicazione del programma di gestione della città già impostato dalla precedente giunta e dal commissario Tronca.
Del
resto i continui tagli di risorse agli enti locali e l'insieme delle
norme varate in questi anni fino al recente Decreto Madia, avevano
esattamente l'obiettivo di esautorare le autorità locali, i Consigli
Comunali ma anche i sindaci, della possibilità di promuovere politiche
autonome, costringendoli a piegarsi alle voraci aspettative di banche ed
imprese nel governo della città. E la vicenda dello Stadio a Tor di
Valle è la dimostrazione concreta di questo percorso compiuto dalla
giunta di Virginia Raggi,
partita inizialmente dall'idea che siano altre le priorità di Roma e
approdata poi ad un accordo che mette al primo posto gli interessi
privati di banche e costruttori nella realizzazione di un'opera che non è
certo quella di cui la città ha più bisogno.
Ad
un anno di distanza tutte le gravi questioni che attanagliano Roma non
solo si presentano nella loro drammaticità, ma risultano aggravate anche
dall'assenza di un piano per affrontarle. Anzi, le scelte che
l'amministrazione continua a perseguire, o che non riesce a fermare,
restano esattamente quelle della fase precedente. Dalla privatizzazione
dei servizi pubblici, Atac Roma in
testa, allo smantellamento di grandi aziende come la Multiservizi, al
coinvolgimento di grandi interessi privati nella gestione dei rifiuti,
per finire all'assenza di una reale volontà di ripubblicizzare il
servizio idrico. Dalla mancata internalizzazione di diversi servizi, a
cominciare da quelli di cura, che produrrebbero anche innegabili
risparmi ma soprattutto un salto di qualità nel livello dei servizi
erogati, al permanere di enormi vuoti di organico in tutti i servizi
collettivi, dal servizio giardini alla polizia locale ai servizi
amministrativi.
Anche nella gestione del patrimonio l'amministrazione è stata incapace di produrre una inversione di tendenza. Importanti esperienze sociali e culturali della città sono state sfrattate o rischiano di esserlo, mentre va avanti la persecuzione economica nei confronti di realtà che più che in debito risultano in forte credito nei confronti del Comune per la meritevole azione svolta in tanti anni non solo sul piano sociale ma anche della semplice cura e salvaguardia del patrimonio immobiliare abbandonato.
Mentre crescono pericolosamente gli indici di povertà e di forte disagio sociale, anche a causa dell'inarrestabile chiusura o ridimensionamento di grandi aziende con conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro, poco e niente è stato fatto o messo in cantiere per le periferie della città. Anzi, proprio quei settori che stanno subendo in modo più drammatico gli effetti della crisi economica vengono ulteriormente colpiti dagli sfratti per morosità o dall'accanimento con il quale si continuano a cacciare le famiglie povere dalle case popolari. Invece di allargare il patrimonio di case popolari per far fronte ad un fabbisogno crescente, l'amministrazione si preoccupa di punire l'accattonaggio o chi fruga nei cassonetti.
Proprio le periferie, che erano state le maggiori sostenitrici del cambiamento politico, e dove si concentra la maggior parte del disagio, subiscono così gli effetti non solo dei tagli dei servizi, non solo dell'assenza di opportunità lavorative ma anche una vera e propria aggressione in nome del rispetto della legalità.
Paradossalmente quando invece sono i cittadini che denunciano l'azione illegale dei poteri forti, come nella conclamata truffa dei Piani di Zona, allora il bisogno di legalità si affievolisce e l'amministrazione si dimostra pigra e lenta nel dare corso a quelle azioni che possano mettere in sicurezza gli interessi degli abitanti.
Ma il tema sul quale si è resa più evidente la non volontà di voltare pagina da parte della giunta Raggi è stata la questione del debito di Roma, sul quale in tanti hanno chiesto da tempo un audit che renda trasparente chi sono i creditori, quanto grande sia effettivamente il debito e chi sono stati quelli che lo hanno creato. Sulla gestione del debito e la sua indispensabile ricontrattazione si gioca la possibilità per Roma ed il suo Consiglio comunale di ripristinare il diritto a decidere del futuro della città e stabilire l'agenda delle priorità. Ma proprio l'indisponibilità a misurarsi con questa sfida ha dimostrato che la nuova amministrazione sia decisa a ripercorrere la stessa strada delle giunte precedenti.
Man mano che si è andato manifestando questo spirito continuista si è anche ridotto lo spazio per la partecipazione. La giunta ha dimostrato di non voler avviare un reale confronto con i movimenti sociali e con le organizzazioni indipendenti dei lavoratori, ma soprattutto di non sapere e voler riconoscere il loro ruolo di rottura dei vecchi equilibri di potere. Al contrario, rispetto a ciò, la giunta ha saputo produrre solo strappi e rotture.
Anche nella gestione del patrimonio l'amministrazione è stata incapace di produrre una inversione di tendenza. Importanti esperienze sociali e culturali della città sono state sfrattate o rischiano di esserlo, mentre va avanti la persecuzione economica nei confronti di realtà che più che in debito risultano in forte credito nei confronti del Comune per la meritevole azione svolta in tanti anni non solo sul piano sociale ma anche della semplice cura e salvaguardia del patrimonio immobiliare abbandonato.
Mentre crescono pericolosamente gli indici di povertà e di forte disagio sociale, anche a causa dell'inarrestabile chiusura o ridimensionamento di grandi aziende con conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro, poco e niente è stato fatto o messo in cantiere per le periferie della città. Anzi, proprio quei settori che stanno subendo in modo più drammatico gli effetti della crisi economica vengono ulteriormente colpiti dagli sfratti per morosità o dall'accanimento con il quale si continuano a cacciare le famiglie povere dalle case popolari. Invece di allargare il patrimonio di case popolari per far fronte ad un fabbisogno crescente, l'amministrazione si preoccupa di punire l'accattonaggio o chi fruga nei cassonetti.
Proprio le periferie, che erano state le maggiori sostenitrici del cambiamento politico, e dove si concentra la maggior parte del disagio, subiscono così gli effetti non solo dei tagli dei servizi, non solo dell'assenza di opportunità lavorative ma anche una vera e propria aggressione in nome del rispetto della legalità.
Paradossalmente quando invece sono i cittadini che denunciano l'azione illegale dei poteri forti, come nella conclamata truffa dei Piani di Zona, allora il bisogno di legalità si affievolisce e l'amministrazione si dimostra pigra e lenta nel dare corso a quelle azioni che possano mettere in sicurezza gli interessi degli abitanti.
Ma il tema sul quale si è resa più evidente la non volontà di voltare pagina da parte della giunta Raggi è stata la questione del debito di Roma, sul quale in tanti hanno chiesto da tempo un audit che renda trasparente chi sono i creditori, quanto grande sia effettivamente il debito e chi sono stati quelli che lo hanno creato. Sulla gestione del debito e la sua indispensabile ricontrattazione si gioca la possibilità per Roma ed il suo Consiglio comunale di ripristinare il diritto a decidere del futuro della città e stabilire l'agenda delle priorità. Ma proprio l'indisponibilità a misurarsi con questa sfida ha dimostrato che la nuova amministrazione sia decisa a ripercorrere la stessa strada delle giunte precedenti.
Man mano che si è andato manifestando questo spirito continuista si è anche ridotto lo spazio per la partecipazione. La giunta ha dimostrato di non voler avviare un reale confronto con i movimenti sociali e con le organizzazioni indipendenti dei lavoratori, ma soprattutto di non sapere e voler riconoscere il loro ruolo di rottura dei vecchi equilibri di potere. Al contrario, rispetto a ciò, la giunta ha saputo produrre solo strappi e rotture.
Per
tutti questi motivi, a poco più di un anno da quella bella
manifestazione, torniamo a convocare una mobilitazione generale che
rilanci con ancora più forza il grido Roma Non Si Vende. Nel puntare
l'indice contro l'attuale Giunta, non vogliamo però concedere niente a
chi vorrebbe resuscitare le vecchie classi politiche, ansiose di tornare
in sella. Per questo segnaliamo da un lato la complicità della giunta
regionale nell'alimentare i drammi della città, dalla vergognosa vicenda
delle "politiche attive", autentica truffa ai danni di migliaia di
disoccupati, all'immobilismo sulle politiche abitative, alla scelta di
mettere in vendita l' Ospedale Forlanini a fronte di un evidente stato
di crisi di tutto il sistema della sanità regionale, per finire alla
mancata attuazione della legge regionale per l'acqua pubblica del 2014. E
dall'altra l'azione di sciacallaggio promossa dalle destre, che
soffiano sulla guerra tra poveri e nell'alimentare il razzismo, e con il
grido di "prima gli italiani" concentrano sui migranti una rabbia che
andrebbe rivolta invece verso la logica affaristica di banche ed
imprese.
La
mobilitazione che proponiamo per il prossimo 6 maggio vuole essere di
denuncia ma anche di proposta. La denuncia è la sintesi di un coro a
mille voci nel quale confluiscano i tanti problemi, piccoli e grandi,
della città sui quali l'amministrazione si sta dimostrando insensibile e
assente. Un
percorso di mobilitazione sociale collettiva che agisca come una grande
alleanza per i diritti, i beni comuni, la casa, i servizi e il lavoro.
Adesioni:
Decide Roma; Unione Sindacale Di Base (@USB); Carovana delle Periferie; SALVIAMO IL PAESAGGIO, DIFENDIAMO I TERRITORI; Asia Usb; Coord Romano Acqua Pubblica (CRAP); Attac Italia; Federazione del Sociale USB; Casa Della Pace Roma; Coordinamento Comitati, Associazioni e Cittadini per il Forlanini Bene Comune; Comitato per Costituzione Roma XII; Palestra Popolare ex-Baccelli; Rete Associazioni XI Municipio; Rete Sociale del III Municipio; Comitato Roma 12 Beni Comuni; Csoa Corto Circuito; Prc Federazione Romana; Sinistra Italiana Roma; ReTer; COBAS; Confederazione dei Comitati di Base; Coordinamento popolare PAC (Parco Archeologico Centocelle Bene Comune); SPM Villa Gordiani; Associazione Transglobal;
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