Un vagone aggiunto è proprio l'emendamento di Titti Di Salvo
(deputata del Pd eletta nelle file di Sel) nella riformulazione del
relatore Mauro Guerra, approvato in Commissione con 19 voti favorevoli, 6
voti contrari e nessun astenuto, che reintroduce, con alcune modifiche (art. 54-bis della legge di conversione), i voucher, che erano stati eliminati con decreto legge 25 del 2017, convertito con legge 49 del 2017, dopo che la Corte costituzionale aveva dichiarato l'ammissibilità del referendum per la loro totale abrogazione (sent. 28 del 2017).
I referendum sociali presentati dalla CGIL erano tre: quello sui licenziamenti illegittimi (art. 18), dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale; quello sulle disposizioni limitative della responsabilità solidale
in materia di appalti e, appunto, quello sui voucher, ammessi al voto
popolare.
Nonostante fosse il primo quello su cui si concentrava la
maggiore attenzione, anche l'ultimo era considerato in grado di portare
alle urne molti elettori, visti anche i numerosi riscontri sull'abuso di
questo strumento, che aveva portato al superamento dell'occasionalità,
tanto che la stessa Corte costituzionale aveva sottolineato come
"l'evoluzione dell'istituto, nel trascendere i caratteri di
occasionalità dell'esigenza lavorativa cui era originariamente chiamato
ad assolvere, lo ha reso alternativo a tipologie regolate da altri
istituti giuslavoristici".
Quindi,
il Governo, con il suddetto decreto legge 25 del 2017, superava
entrambi i quesiti referendari rimasti in piedi dopo il giudizio della
Corte e, in base all'art. 39 della legge n. 352 del 1970, l'Ufficio centrale per il referendum dichiarava di conseguenza la cessazione delle operazioni referendarie.
Ora,
dopo poche settimane, proprio nei giorni in cui si sarebbe dovuto
svolgere il referendum (previsto per domenica 28 maggio), i voucher
vengono reintrodotti, seppure con alcune modifiche rispetto alla
disciplina precedente, in evidente frode al referendum, o – per dirla
più chiaramente – per la possibilità dei cittadini di esprimersi sulla
questione. Se il Governo avesse ritenuto che i voucher non dovessero
essere del tutto eliminati, ma modificati, come l'emendamento presentato
alla manovrina fa, avrebbe dovuto a suo tempo proporre non
l'eliminazione, ma la sostituzione della precedente normativa con una
nuova (come quella ora approvata in Commissione). In tal caso, infatti,
sempre in base all'art. 39 della legge n. 352 del 1970 (come modificato
dalla Corte con sent. n. 68 del 1978), l'Ufficio centrale non avrebbe
dichiarato cessate le operazioni referendarie, ma avrebbe trasferito il
quesito sulla nuova disciplina, consentendo agli italiani di
pronunciarsi in merito.
Il
percorso seguito dal Governo e dalla maggioranza (che in realtà non
pare quella che lo ha sostenuto finora, ma forse quella che lo sosterrà
in futuro) è stato quindi evidentemente compiuto in frode agli elettori,
per timore che questi si pronunciassero. La maggioranza sembra, in
effetti, sempre preoccupata dal voto dei cittadini, che di fronte alla
proposta sulla quale il Governo Renzi aveva maggiormente investito (cioè
la riforma della Costituzione) l'ha vista respingere sonoramente (con
quasi il 60% dei contrari).
È
da precisare che rispetto ai referendum già in altre occasioni gli
elettori sono stati raggirati, con la reintroduzione di norme
sostanzialmente analoghe a quelle abrogate; ricordiamo, ad esempio, il
caso del finanziamento pubblico ai partiti politici (eliminato solo nel 2013)
o quello del Ministero dell'agricoltura (che esiste ancora). Il caso
forse più clamoroso si è registrato a seguito del voto nei referendum
del 2011 (gli unici ad avere raggiunto il quorum dopo il 1995), quando
il Governo Berlusconi reintrodusse una disciplina sui servizi pubblici
locali, sostanzialmente riproduttiva di quella abrogata soltanto poche
settimane prima, con la conseguente dichiarazione d'incostituzionalità
della Corte costituzionale (sent. 199 del 2012).
Nel
caso che ci occupa, invece, non ci sarà neppure questa possibilità
perché gli elettori sono stati defraudati, non rispetto alla volontà
espressa, ma alla stessa possibilità di esprimerla. Come direbbe una
certa retorica degli ultimi tempi, ancora una volta si è fatto un passo
avanti, sempre nella direzione di restringere gli spazi di espressione
della sovranità popolare.
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