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Pochi minuti fa, Jeremy Corbyn ha detto che l'aumento degli attacchi terroristici è causato dalle guerre occidentali. Intanto, infuria lo scontro elettorale verso il voto dell'8 giugno.
Alla
riapertura della campagna elettorale dopo l'attentato di Manchester,
Corbyn ha dichiarato che esiste un legame, con un nesso causa-effetto,
tra le "guerre al terrorismo" che la Gran Bretagna ha combattuto negli
ultimi anni e il verificarsi di attentati terroristici e, più in
generale, il rafforzamento del terrorismo internazionale.
Corbyn
ha rivendicato il suo impegno pacifista del passato e ha anche
illustrato la sua idea di "risoluzione di conflitti". Ecco qualche
estratto del discorso:
“I
have spent my political life working for peace and human rights and to
bring an end to conflicts and devastating wars. That will almost always
mean talking to people you profoundly disagree with. That’s what
conflict resolution is all about”.
“Ho
speso la mia vita politica lavorando per la pace e i diritti umani, per
mettere fine ai conflitti e alle guerre devastanti. Che ha significato
quasi sempre parlare con persone con cui ero profondamente in
disaccordo. Risolvere i conflitti significa esattamente questo”.
“An
informed understanding of the causes of terrorism is an essential part
of an effective response that will protect the security of our people,
that fights rather than fuels terrorism”.
“La
comprensione informata delle cause del terrorismo è una parte
essenziale di una risposta efficace che proteggerà la sicurezza della
nostra gente, una risposta in grado di combattere il terrorismo invece
che alimentarlo”.
“We
will also change what we do abroad. Many experts, including
professionals in our intelligence and securityservices have pointed to
the connections between wars our government has supported or fought in
other countries, such as Libya, and terrorism here at home”.
“Cambieremo anche quello che facciamo all'estero. Molti esperti, incluso professionisti della nostra intelligence
e dei servizi di sicurezza hanno sottolineato le connessioni tra guerre
sostenute dai nostri governi o combattute in altre Paesi, come la
Libia, e il terrorismo a casa nostra”.
Il
riferimento è a tutte le guerre passate che il Regno Unito ha
combattuto e contro cui Corbyn ha sempre votato, smarcandosi dalla
posizione del suo stesso partito (Afghanistan, Iraq, Libia prima Iraq e
Syria adesso). Nel 2011, ad esempio, fu uno dei pochi parlamentari (16) a
votare contro l'intervento in Libia, Paese dal quale proviene appunto
l'attentatore di Manchester.
È
chiaro, quindi, che Corbyn vuole prendere in contropiede la candidata
dei conservatori Teresa May, che cercherà di trarre vantaggio politico
dall'attacco di Manchester puntando su sicurezza, blocco
dell'immigrazione e sull'immagine di "Lady di Ferro 2". Un'immagina
costruita in questi mesi post-Brexit promettendo di difendere a spada
tratta gli interessi della Gran Bretagna nei negoziati per l'uscita
dalla UE. La gestione dell'emergenza post-Manchester e la partecipazione
al G7 di Taormina potrebbero giocare a suo favore, accreditandola come leader in grado di far fronte a situazioni simili a quella scatenata dall'attacco terroristico.
D'altronde
May non ha alternative: il crollo dei consensi delle ultime settimane è
vertiginoso, soprattutto dopo la presentazione dei programmi elettorali
(i Manifesto),
in cui il Labour ha delineato una strategia che qualcuno definisce
esplicitamente socialista (del resto Corbyn stesso si definisce appunto truly socialist).
Nazionalizzazione di ferrovie, poste e servizi idrici, eliminazione
delle tasse universitarie, costruzione di 100.000 case popolari ogni
anno, blocco dell'età pensionabile (che i Tories avevano previsto di
portare da 66 a 67 anni), 8 mld di £ di trasferimenti in più al servizio
sanitario nazionale (NHS), pasti gratis ai bambini nelle scuole,
servizi per l'infanzia gratuiti sotto i 2 anni, estensione del periodo
di maternità a 12 mesi, aumento dell'entità dei benefits (mentre i Tories hanno confermato il tetto ai sussidi che potrebbe causare una vera emergenza sociale nei prossimi anni).
Questo programma dei labouristi verrebbe finanziato da un aumento delle tasse sui redditi più alti, un aumento delle tasse alle corporations (l'aliquota massima passa dal 21% al 26%) e una tassazione dei redditi provenienti da derivati e operazioni finanziarie.
Un
programma, quindi, da marziano nella patria europea del neoliberismo,
ma che ha ricevuto una copertura mediatica senza precedenti (sia in
termini di qualità, che in termini di quantità) grazie anche a una
descrizione dettagliata di come le nuove uscite sarebbero coperte dalle
entrate aggiuntive.
Di fronte a questo Labour Manifesto che
ha spiazzato tutti, Teresa May ha, in ritardo, replicato con un
programma elettorale che fa leva sull'identità nazionale (sia per quanto
riguarda le politiche sull'immigrazione, che il capitolo sulla Brexit)
e, a dispetto degli annunci (anche della stampa italiana), è fortemente
classista. Fondato sulla Great Meritocracy (che sostituisce la Big Society di Cameron), il Tory Manifesto sancisce, infatti, nuovamente la separazione fra l'élite (principalmente finanziaria nel Regno Unito) e il resto della società: taglio delle tasse alle corporations (al 17% entro il 2020) a beneficio della prima e redistribuzione del welfare all'interno della platea degli attuali beneficiari per quanto riguarda le ordinary working families (che May dice di avere tanto a cuore).
In particolare, per quanto riguarda l'ultimo punto, ci potrebbe essere una "rivisitazione" dei sussidi per il winter fuel (aiuti
per fronteggiare il freddo invernale) e una rivalsa sulle eredità per
gli anziani che usufruiranno di cure mediche a favore di un leggero
aumento della spesa sanitaria.
Proprio quest'ultima misura di prelievo sulle eredità (ribattezzata dementia-tax dal
Labour e dai media), ha fatto crollare la popolarità di May nei giorni
precedenti l'attacco a Manchester. Per la prima volta la distanza fra
Tories e Labour è scesa al di sotto del 10 %. Senza nessuna volontà di
leggere l'attentato di Manchester in chiave complottista, quest'ultimo
potrebbe avere un peso rilevante nei risultati elettorali dell'8 giugno a
favore dei conservatori e, quindi, degli enormi interessi dell'élite neoliberista britannica.
In
questa situazione, dal punto di vista strategico e in chiave
elettorale, il discorso odierno di Corbyn sulle responsabilità
geopolitiche occidentali nel rafforzamento del terrorismo è una mossa
tanto rischiosa quanto audace. Da una parte, potrebbe essere vista come
necessaria in vista della strumentalizzazione politica che i
conservatori non tarderanno a mettere in campo. Dall'altra, avrà anche
conseguenze interne significative, rispetto a tutta quella componente
del Labour che ha appoggiato negli anni l'interventismo bipartisan
portato avanti dalla triade Blair-Brown-Cameron. Per ora, i primi
sondaggi effettuati dopo l'attentato di Manchester danno il Labour in
ulteriore recupero: la distanza sembra essere diminuita al 5% (43%
contro 38%). Tuttavia, è bene tenere conto del fatto che queste cifre
sono verosimilmente da ascrivere più allo scivolone di May sulla dementia-tax che alle ripercussioni dell'attentato. Cruciale sarà il dibattito che si svilupperà in seguito alle dichiarazioni odierne.
Al
di là di queste considerazioni elettorali, il discorso pacifista, e
anche coraggioso, di Corbyn - coerente con tutte le sue prese di
posizione nel passato e quindi non ipocrita - costituisce una
discontinuità che si potrebbe definire epocale rispetto
alla linea politica del Labour. Queste parole potrebbero avere effetti
di ungo periodo nel dibattito futuro sulla politica internazionale.
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