Come nell’Italia del dopo-guerra si partì dalla ricostruzione materiale, così oggi è di vitale importanza operare una vera e propria ricostruzione simbolica e spirituale.
Occorre, in primo luogo, ricategorizzare la realtà, per pensare altrimenti rispetto a come ci hanno abituato le tutto fuorché neutre grammatiche dominanti: il cui solo fine è la glorificazione dell’esistente nella sua reale configurazione e nei suoi concretissimi rapporti di forza.
Le vecchie mappe concettuali non tengono. Gli schemi sono saltati. Occorre aggiornare le categorie del pensiero, al cospetto di un reale che è esso stesso venuto mutando. Il fuoco prospettico attorno al quale deve orbitare la ricostruzione simbolica e spirituale di cui si diceva deve essere un ripensamento critico e problematizzante della categoria di mondializzazione. Solo così può tornare a istituirsi un pensiero critico e sottratto alla presa letale del pensiero unico dominante e santificante i rapporti di forza.
La mondializzazione ha fallito e continua a fallire. Sta generando un mondo sempre più diseguale, come ci hanno variamente insegnato economisti come Stiglitz e Piketty.
Occorre, in primo luogo, ricategorizzare la realtà, per pensare altrimenti rispetto a come ci hanno abituato le tutto fuorché neutre grammatiche dominanti: il cui solo fine è la glorificazione dell’esistente nella sua reale configurazione e nei suoi concretissimi rapporti di forza.
Le vecchie mappe concettuali non tengono. Gli schemi sono saltati. Occorre aggiornare le categorie del pensiero, al cospetto di un reale che è esso stesso venuto mutando. Il fuoco prospettico attorno al quale deve orbitare la ricostruzione simbolica e spirituale di cui si diceva deve essere un ripensamento critico e problematizzante della categoria di mondializzazione. Solo così può tornare a istituirsi un pensiero critico e sottratto alla presa letale del pensiero unico dominante e santificante i rapporti di forza.
La mondializzazione ha fallito e continua a fallire. Sta generando un mondo sempre più diseguale, come ci hanno variamente insegnato economisti come Stiglitz e Piketty.
In forza dei processi sradicanti e delocalizzanti della globalizzazione, si sta sempre più producendo, su scala planetaria, una linea divisoria nettissima: la quale traccia un solco invalicabile tra i signori della finanza, della borsa e del competitivismo senza frontiere, da una parte, e degli sconfitti del mondialismo, dall’altra. Tra questi ultimi troviamo, per la prima volta dalla stessa parte, le classi lavoratrici e le classi medie: il proletariato portatore di forza lavoro fisica, il precariato portatore di forza lavoro neuronale, i ceti medi borghesi, la piccola imprenditoria locale letteralmente massacrata dal competitivismo globale e dalla finanza irresponsabile.
Il solo modo per tutelare gli interessi reali degli sconfitti della mondializzazione, pur nella loro eterogeneità, è ripartire dall’interesse nazionale: dall’interesse della nazione come unione di lavoratori e piccola imprenditoria locale; dall’unione delle classi che vivono-del-loro-lavoro, contro il parassitismo del capitale finanziario e dell’aristocrazia finanziaria apolide e sradicata. Di qui occorre partire.
È una questione di vita o di morte.
D. Fusaro
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