L’appello che lancia la manifestazione chiarisce molto bene la posta in gioco e le responsabilità: “Con il loro NO al Referendum, i lavoratori Alitalia hanno dato un grande segnale di dignità e riscatto, rimandando al mittente un ricatto inaccettabile quanto insopportabile, e dimostrando di non voler continuare a subire il progressivo disfacimento dell’azienda. Soprattutto hanno detto no all’idea che Alitalia si possa risollevare tagliando il lavoro e i salari e che i privati costituiscano la soluzione, quando invece sono parte del problema.
Alitalia è forse il più grande esempio di come in questo paese le privatizzazioni siano fallite, sommerse da incapacità e speculazioni, lasciando alla collettività miliardi di debiti, disoccupazione, precarietà e salari più bassi. E portando ad uno stato di crisi senza fine aziende strategiche per il paese. Alitalia è lo specchio di un sistema industriale che stanno lasciando deperire. Tutte le grandi aziende in Italia o chiudono o passano nelle mani di capitali stranieri e questo ci ha trasformati in un territorio di sole piccole e medie aziende. Stiamo subendo una deindustrializzazione che ci sta mettendo in ginocchio, privandoci di settori decisivi per promuovere una nostra politica economica e industriale.
Con la stessa logica famelica e irresponsabile si gestiscono tutte le aziende dell’indotto aeroportuale ed anche i piani di sviluppo degli aeroporti, a cominciare da quello di Fiumicino, sono concepiti senza alcuna preoccupazione per la tutela del territorio e la salute dei cittadini”.
Che quanto scrivano le lavoratrici e i lavoratori Alitalia sia pienamente fondato, lo troviamo confermato su un articolo de Il Sole 24 Ore che pubblichiamo qui di seguito. L’articolo ricostruisce bene come dentro la pancia dei debiti di Alitalia siano stati scaricati i debiti accumulati da alcuni dei “prenditori” entrati poi a far parte della cordata di “capitani coraggiosi” a cui è stata consegnata Alitalia.
Mettete a confronto il passaggio dell’appello che convoca la manifestazione del 27 maggio per salvare Alitalia (e con la stessa filosofia salvare anche il resto del paese) con le notizie contenute nell’articolo. Tirate poi da soli le vostre conclusioni.
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Il crac Alitalia e l’eredità scomoda lasciata da Toto
di Simone Filippetti e Fabio Pavesi (da Il Sole 24 Ore del 21 maggio 2017)
Il nome non compare mai nel bando di gara su Alitalia. Si cita genericamente Cityliner, divisione di Alitalia verso cui pende un ricorso. Ma Cityliner altri non è che la vecchia AirOne, la ex compagnia di Carlo Toto, fusa dentro Alitalia. È lui, Toto, il passeggero scomodo della ex compagnia di bandiera. L’Alitalia privata dei patrioti coraggiosi, nata dalle ceneri del crack del 2008 aveva imbarcato anche l’imprenditore concorrente abruzzese. Il fondatore di quell’AirOne che fu venduta e fusa dentro Alitalia, all’arrivo di Cai (la cordata di Roberto Colaninno & soci), proprio nello stesso anno della privatizzazione.
Ma più che un matrimonio, fu un salvataggio di AirOne, a spese della compagnia di bandiera: Toto rifilò la sua più che traballante compagnia, alla nuova Alitalia guadagnandoci almeno due volte. Perché AirOne fu pagata a caro prezzo, ben 454 milioni di euro più l’accollo di debiti finanziari per 600 milioni. Non solo: Toto si ritrovò nella doppia veste di azionista (versò 60 milioni di capitale) e fornitore della compagnia tricolore.
Dall’Irlanda, la holding AP fleet, di proprietà di Toto, si impegnava a fornire in leasing una flotta di almeno 70 Airbus alla stessa Alitalia. Toto li acquistava con la sua scatola irlandese, per poi affittarli ad Alitalia. E a canoni, spiegano fonti al Sole 24 Ore assai elevati. La cosa, però, dura poco. Già nel 2009 Toto fa fatica a consegnare gli aerei promessi, tanto che Airbus rescinderà il contratto per inadempienza e Toto pagherà penali salate. Ma non scricchiola solo l’accordo di leasing. L’intera impalcatura di Alitalia-AirOne crolla, sotto il peso della zavorra occultata da Toto.
Nel 2010 i vertici di Alitalia scoprono violazioni: minusvalenze, attivi inesistenti e passivi non dichiarati. Toto ha lasciato un «buco» in Alitalia. Rievoca una fonte: «Si scopre che le compagnie irlandesi di Toto erano società estero-vestite, cosa che lui aveva negato». Il fisco chiede decine di milioni di euro di danno erariale. Danno che finisce sul groppone di Alitalia. Non solo: «Aeromobili e motori erano gravati da pegni; e buon ultimo Toto non rivelò nemmeno che mille precari avevano fatto causa ad AirOne». Li dovrà assumere tutti Alitalia. La compagnia chiede un indennizzo a Toto, lui resiste, nega ogni addebito. Si va in arbitrato. Siamo nel 2012. L’anno dopo Enrico Laghi, uno dei tre commissari che all’epoca era nel cda di Alitalia, stima (con perizia) che la compagnia abbia avuto un danno da 150 milioni.
E mentre Alitalia cerca di inchiodare Toto, ecco la «Mossa del Cavallo». Ingegnosa: Toto trasferisce il patrimonio, così non dovrà nulla ad Alitalia nel caso perda. Tra il 2011 e il 2013, l’imprenditore gira, con tre operazioni straordinarie, l’intero patrimonio immobiliare della Toto Holding, debitrice di Alitalia nel contenzioso, a tre sue società partecipate. Svuotata così di beni, la Toto Holding non è più aggredibile. Per Alitalia, che avanzerà una revocatoria al Tribunale di Chieti, è invece una mossa studiata a tavolino. Nelle more di questa telenovela giudiziaria, Toto soccombe in una serie di arbitrari minori per 19 milioni. C’è poi la causa fiscale delle società irlandesi, su cui la Guardia di Finanza ha contestato evasione, tra il 2002 e il 2008, per 250 milioni.
Il Tribunale accerta debiti fiscali per 42 milioni. Paga Alitalia che si rivarrà su Toto. Toto che fa? Chiede la sospensiva. Con questa motivazione: se in un altro grado di giudizio Toto dovesse prevalere chi gli ridà i soldi dato che Alitalia forse non ci sarà più? Toto contrattacca su tutti i fronti. Deposita alla Corte di Giustizia di Londra un atto di risarcimento da 260 milioni di dollari. Ribalta l’accusa di Alitalia. Non è lui che non consegnava gli Airbus in leasing ad Alitalia, ma al contrario fu la compagnia tricolore a non volerli più ritirare. Un perenne e lungo braccio di ferro come si vede con i tempi biblici della giustizia italiana. Toto avrebbe spuntato una recente vittoria. Il Tribunale di Roma un mese fa ha respinto la causa sui mille lavoratori precari.
Tra le motivazioni sulla mancata informativa di un numero così imponente di lavoratori a termine con rischio contenzioso, Alitalia a fronte «della manifesta inerzia della controparte (Toto ndr) avrebbe dovuto reiterare la richiesta o rifiutarsi.. ». La battaglia in aula tra Toto e Alitalia non finirà qui. Ora la palla scomoda passa ai commissari.
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