martedì 23 maggio 2017

25 anni dopo: la storia italiana "deviata" dal cratere di Capaci.

Sul Corriere della sera del 24 maggio 1992, 25 anni fa, il giorno dopo l'attentato di Capaci e della strage che in cui fu ucciso Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della sua scorta, il catenaccio della prima affermava: "Qualche giorno fa aveva detto: mi hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano".
 

Era il richiamo di un mio articolo pubblicato a pagina 4 con questo titolo: L'ultimo sfogo di Falcone: "Mi insozzano, poi spareranno. Invidie gelosie, giochi di potere".
Affermazioni che ritrovo sui quotidiani di questa mattina. Venticinque anni dopo. Il tempo, almeno, in questo caso, è stato galantuomo. Ma in mezzo, c'è un quarto di secolo di storia italiana, "deviata" dal cratere di Capaci.
Scrivevo, dunque, sul Corriere della Sera del 24 maggio 1992 : "Non più di qualche settimana fa Giovanni Falcone, nel suo appartamento romano (due piccole stanze, arredate sobriamente, allestite apposta per lui in una caserma della polizia poco lontano dal ministero di Grazia e Giustizia), aveva ricevuto un magistrato amico. Si era lamentato delle polemiche che sul suo nome si erano fatte a proposito della Superprocura. E del fatto che sempre più spesso lo si dipingeva come vicino al potere, al Palazzo: per questo all' interno della stessa magistratura non si voleva, fortissimamente non si voleva, la sua nomina a Procuratore nazionale antimafia. Secondo i critici della sua designazione, Falcone "zar antimafia" sarebbe stato il primo passo verso l' assoggettamento del pubblico ministero al potere politico. "Mi stanno delegittimando, mi stanno delegittimando", aveva confidato accorato Falcone al suo ospite. E aveva aggiunto: "È il primo passo. Cosa Nostra fa sempre così: prima insozza la vittima e poi la fa fuori. Questa volta mi ammazzano davvero"
.
Il mio articolo continuava: "Parole gravissime che cadevano in un'atmosfera irreale, quasi di terrore ovattato. Difficilmente comprensibile per un non siciliano, per quanto solidale con quello che la stampa straniera ha sempre definito un autentico eroe. Falcone era abituato da anni a convivere con il rischio. Sapeva che le cosche gliela avevano giurata. Ma soprattutto conosceva a fondo la mentalità dei boss, i loro percorsi mentali e decisionali. Per questo sapeva che ordini di morte si sarebbero potuti inserire con facilità nel clima di sospetto e di isolamento che sempre di più si era addensato su di lui da quando si era trasferito a Roma, per fare il direttore generale del ministero, guidato da un socialista, Claudio Martelli, spesso in rotta di collisione con i magistrati e il Consiglio superiore della magistratura".
Per non dimenticare.

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