Entrambi partono dalla mutazione epocale del nostro presente – che sembra condurre alla sparizione del lavoro umano – ma entrambi suggeriscono una declinazione virtuosa di questa mutazione, che anzi andrebbe accelerata.
De Masi è un sociologo dotato di grande immaginazione sociologica: dopo aver descritto puntualmente la situazione attuale indica una soluzione ingegnosa ma non so quanto realistica. Scarseggiando il lavoro (a causa delle macchine) il rimanente andrebbe distribuito a tutta la popolazione attiva affinché ognuno possa ampliare il tempo libero e dedicarsi ad attività creative. Come convincere gli occupati a lavorare meno (l’ultimo a proporre la riduzione della settimana lavorativa a trentacinque fu un inascoltato Fausto Bertinotti)? I disoccupati dovrebbero collegarsi a una piattaforma che metta in contatto domanda e offerta e regalare la propria professionalità, fino scompigliare il mercato del lavoro e a determinare nuove regole.
Santoni e Pertosa ci ricordano che sia nella tradizione classica che in quella cristiana il lavoro è presentato come una maledizione, come una fatica umiliante (il Dio del Genesi è il Dio della lentezza e del riposo). L’essere umano è fatto non per lavorare ma per contemplare la natura, la vita e la bellezza, come conferma una tradizione che da Nietzsche arriva a Lafargue passando per Marx. Certo, qualcuno ama il proprio lavoro e ha l’etica del lavoro ben fatto. Ma allora il suo lavoro è una “vocazione”, e cioè una forma di ozio creativo. Sapendo comunque che anche il lavoro più appagante e autorealizzante non esaurisce mai la persona. Dopo aver decostruito il primo articolo della Costituzione – un autentico pasticcio, frutto di compromesso – i due autori propongono un non-agire come stile di vita e pratica libertaria, che poi significa sottrarsi al ritmo febbrile della vita contemporanea.
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* Saggista, giornalista e critico letterario italiano. Tra i suoi ultimi libri Indaffarati (Bompiani). L’articolo di questa pagina è apparso anche su Left
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