contropiano
Il grande maestro Mario Monicelli ci regalerebbe un sorriso leggendo la
notizia. Lui che in una intervista storica disse che affidarsi alla
speranza era sbagliato e che in Italia le cose andavano male perchè non
c'era stata una rivoluzione, si sentirebbe meno solo e maggiormente
compreso. Un sondaggio dell'istituto demoscopico di Trieste, SWG svolto
tra il 15 e il 16 dicembre scorso, ha rilevato alcuni dati estremamente
interessanti nelle risposte degli intervistati. La domanda posta era la
seguente:
"Alcuni ritengono che per cambiare veramente le cose in Italia ci
vorrebbe una rivoluzione, altri pensano che occorra andare sulla strada
delle riforme. Quale delle due posizioni condivide maggiormente"?
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Il 53% dei “ceti bassi” della popolazione e il 35% di quelli alti ritengono che “per cambiare veramente le cose in Italia ci vorrebbe una rivoluzione”. Che siano sufficienti le riforme sono invece convinti il 24% dei ceti bassi e il 55% dei ceti alti. Non si pronunciano rispettivamente il 23% e il 10%.
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“Le emozioni che si provano più spesso in questo periodo” per i ceti bassi sono di gran lunga il “disgusto” e la “rabbia”.
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Alla domanda “secondo lei il nostro Paese, in questi anni, si sta modernizzando o sta regredendo”, solo l'8% dei ceti bassi e il 24% dei ceti alti ha risposto che si sta modernizzando, mentre rispettivamente il 78% ha risposto che sta regredendo.
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Alla domanda “quali sono i due principali nemici del benessere degli italiani” per i ceti bassi al primo posto sono “i poteri forti”, al secondo i “corruttori”, al terzo le “banche” e solo, distanziato, all'ultimo posto il “populismo”.
La cautela sui sondaggi è doverosa. ma i dati emersi hanno alle spalle i
risultati del referendum del 4 dicembre avvenuto dieci giorni prima del
sondaggio effettuato. La composizione sociale di chi ritiene che una
rivoluzione sarebbe una soluzione più efficace delle riforme,
corrisponde a quella rivelatasi decisiva per la sconfitta del Si e la
vittoria del No, ossiai settori popolari. I dati del sondaggio
confermano come con la disoccupazione che avanza, con l'arretramento
dello stato sociale, con l'aumento delle disuguaglianze e con la forbice
sempre più ampia tra la ricchezza di pochi e la povertà di tanti,
spingono settori sociali verso una maggiore radicalità.
La convinzione della maggioranza di coloro che vivono più pesantemente
di altri questa condizione (quelli che vengono definiti nel sondaggio
come i “ceti bassi” e che ormai comprendono gran parte della popolazione
italiana) è sempre più orientata verso soluzioni ben diverse da quelle
prospettate dai partiti tradizionali o dalla vecchia ideologia dominante
in Italia e in Europa. Del resto anche la Corte Costituzionale, in una
sua recentissima sentenza, ha affermato che prima del pareggio di
bilancio vengono i bisogni primari, che sono diritti costituzionali.
Si vanno determinando oggettivamente condizioni di enorme interesse per
rimettere in campo progetti tesi ad un cambiamento radicale della
situazione. Mettere mano alla soggettività politica capace di
interpretarle e organizzarle sul piano di una rottura con segno
progressista, è diventata una urgenza dalla quale non ci si può più
sottrarre. E' in tale scenario che assume una importanza strategica
l'assemblea nazionale di Eurostop già convocata a Roma per sabato 28
gennaio. Contenuti e forme di un soggetto politico adeguato verranno
discussi nel merito per dare risposta ad una domanda semplice ma ormai
ineludibile: se non ora, quando?
per il sondaggio vedi: http://www.termometropolitico.it/1239789_sondaggi-politici-swg-per-i-ceti-bassi-serve-la-rivoluzione.html
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