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mercoledì 21 dicembre 2016
Roma. Bocciato il bilancio comunale. La tagliola si stringe
Il bilancio comunale presentato dalla giunta Raggi è stato bocciato dai tecnocrati dell'Oref, un organismo tecnico di revisione economica-finanziaria previsto dallo Statuto Comunale. Una ipoteca non certo imprevedibile, ma che mette in evidenza la contraddizione che in questi mesi abbiamo cercato di sottolineare con forza alla nuova amministrazione comunale.
Secondo questo organismo, le misure di finanza pubblica messe in campo dal Comune di Roma non sono sufficienti per l'equilibrio finanziario richiesto dal Patto di Stabilità. Sul bilancio pesano debiti per 440 milioni che, secondo il Ministero delle Finanze, dovrebbero accelerare la privatizzazione delle aziende municipalizzate (dirette o partecipate dal Comune) e altri debiti fuori bilancio per 234 milioni dovuti proprio alle passività delle aziende partecipate e alle superspese per la Metro C. Non solo. Sembra che nelle entrate previste a bilancio dal Comune, rientrino anche i soldi arretrati chiesti agli spazi sociali occupati dal famoso diktat del commissario Tronca. La stessa presidente dell'Oref, Federica Tiezzi, fa sapere che la strada giusta era proprio quella dell'ex Prefetto, che era passato come un bulldozer alla riscossione forzosa di canoni, affitti, oneri di concessione veri o presunti tali.
Di fronte a questa tagliola, la reazione dell'assessore al bilancio Mazzillo non è stata quella auspicabile. Invece di dichiarare che “rifiutiamo la sfida del rigore”, aprendo così un nuovo percorso rispetto a quello delle giunte precedenti, si allinea al diktat dichiarando di “accettare la sfida del rigore”. Un approccio quantomeno fuori quadro rispetto a quanto il M5S aveva annunciato in campagna elettorale, dove proprio la rimessa in discussione del debito comunale poteva e doveva essere la leva per riscrivere completamente le priorità nell'allocazione delle risorse disponibili.
Non accettare il ricatto del debito – esattamente come è avvenuto con la tagliola dell'Oref – significava ripudiare i debiti ereditati da speculazioni, accordi-capestro con le banche e fidejussioni facili concesse ai privati, e valorizzare invece le risorse per le priorità sociali della città: emergenza abitativa, periferie, servizi pubblici.
Ma per praticare questa discontinuità, occorre avere ben chiara in testa la rottura con i meccanismi ricattatori del debito e del Patto di Stabilità. Diversamente, se si accetta di condividerne filosofia, logica e atti, non si può che proseguire sulla strada delle giunte precedenti, con i devastanti risultati sociali, ambientali, qualitativi sulla città e sui settori già a forte e fortissimo disagio sociale.
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