Il dizionario enciclopedico della corruzione italiana si è arricchito ieri di un nuovo lemma: le cortesie.
Alberto Vannucci Professore di Scienza Politica
Il concetto di “cortesie” ci regala dunque una gentile rappresentazione lessicale sia delle nuove forme della corruzione italiana, che delle crescenti difficoltà con cui la magistratura riesce a intercettarla e reprimerla. Così l’assoluzione per associazione a delinquere è “un’ottima cosa”, commenta il difensore di Formigoni. Nonostante le formule di circostanza, il senatore e i suoi legali sono consapevoli che solo la condanna per il reato associativo avrebbe assicurato il raggiungimento del terzo grado di giudizio a un processo probabilmente avviato sul binario morto della prescrizione. Si spiega allora perché l’Italia è verosimilmente l’unico paese al mondo nel quale i condannati per corruzione manifestano una malcelata soddisfazione – quando non esultano, come di recente Ottaviano Del Turco – al momento di una sentenza non particolarmente sfavorevole.
Eppure le inchieste degli ultimi anni hanno svelato il moltiplicarsi di robuste e persistenti reti di relazioni che connettono corrotti e corruttori, caratterizzate dal coinvolgimento di una pluralità di figure pubbliche e private. A “organizzare” e coordinare gli scambi nell’affollato universo della corruzione valgono così “regole non scritte” che i partecipanti al gioco intendono e rispettano, talvolta spontaneamente (perché così conviene), in altri casi perché tutti riconoscono la presenza di una struttura informale di autorità imperniata sul potere deterrente di leader politici, dirigenti ministeriali, vertici di consorzi d’imprese, organizzazioni mafiose o altro ancora, capace d’imporne l’osservanza, ove occorra anche con le maniere spicce.
Parrebbe riconducibile a una formula “associativa” di questa natura anche la vicenda che ha condotto alla condanna di Formigoni e soci. Tuttavia non sono stati sufficienti gli oltre dieci anni di pratiche improntate al saccheggio dei bilanci regionali destinati alla spesa sanitaria e alla generosa redistribuzione incrociata di “cortesie” e benefit – alcuni immortalati persino da riviste di gossip – perché queste risultassero riconducibili al reato di associazione a delinquere. Questa e le altre interpretazioni giurisprudenziali restrittive vanno imputate in parte alla cultura giuridica formalistica dominante in Italia, che induce un orientamento tendenzialmente “debole coi forti” e “forte coi deboli”. La stessa formulazione della norma appare del resto inadeguata a fronte delle più sofisticate manifestazioni della “corruzione organizzata”, che si realizza proprio quando le tangenti si convertono in “cortesie”, le contropartite paiono smaterializzarsi, il cemento fiduciario si salda tra la comune militanza in Comunione e Liberazione e la familiarità delle amicizie strumentali.
Di certo non è rassicurante per i cittadini (e contribuenti) italiani scoprire come in punto di diritto una banda di “amiconi” con una spiccata attitudine a vacanze e cene di lusso possa riuscire in più di dieci anni a depredare oltre 200 milioni di euro dai bilanci sanità regionale senza neppure l’esigenza di “associarsi” e programmare le proprie attività illecita con una minima struttura di coordinamento.
Oggi il senatore Formigoni dichiara di apprestarsi a un’esistenza di privazioni: “Vivrò con poco. Del resto, ho sempre fatto una vita morigerata”. Per festeggiare sobriamente almeno l’assoluzione dal reato di associazione a delinquere potrà forse concedersi un ultimo calice di champagne, in memoria dei buoni vecchi tempi nei quali – ricorda il proprietario di un ristorante di lusso: “Avevamo ricevuto personalmente da Daccò la disposizione che i conti del presidente fossero a suo carico. Formigoni, anche quando veniva senza Daccò, non si preoccupava affatto del conto e, una volta finita la cena, andava via. Ringraziava e andava senza neppure chiedere quale fosse l’importo. Ordinava peraltro con libertà, bevendo solo champagne del quale è particolarmente appassionato”.
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