Francesco Iacovone
Notte che passerò con i miei affetti, con il mio
amore.
Immerso nel traffico, tamburello con le dita sul volante: one, two,
three, four. E ancora one, two, three, four… Un batterista sa come
battere il tempo.
Alla ricerca di qualche bottiglia di buon vino per il cenone di capodanno, scorgo un grande centro commerciale, uno dei tanti, tutti uguali. Una moderna architettura che ricorda il Titanic; percorro le rampe dello sconfinato parcheggio girando a spirale e abbandono la macchina al piano +3 – colore giallo – fila 4 – posto 56. Meglio appuntarlo sullo smarphone se all’uscita voglio ritrovare la macchina.
Faccio lo slalom tra orde di fanatici dello shopping post natalizio, con le idee ben chiare: le bottiglie di vino e dritto a casa. Ma una affascinante promoter mi ferma all’uscita dell’ipermercato e mi chiede qualcosa che a malapena intuisco, frastornato dal vociare insopportabile di tutte quelle famiglie insoddisfatte alla ricerca compulsiva dell’acquisto e dalla musica diffusa dagli altoparlanti di questa immensa nave precaria. Con un cenno educato mi smarco dalla difficoltà del risponderle, perché so bene cosa devo fare. Me ne devo andare, andare via da questo centro commerciale affollato da finti volti e corpi mossi da chissà quali meccanismi automatici.
Sono a casa, ho bisogno di far respirare la mente, accendo il pc e mi rifugio nel blog, dove non vigono le regole dell’affanno, dell’organizzazione, delle esigenze altrui, dove posso cercare un senso all’avvento di un nuovo anno nell’era precaria, dove posso immaginare la vita di quella dolce promoter dal viso d’angelo, un viso segnato dalla stanchezza e perduto nell’incertezza del futuro.
Di storie precarie ne ho ascoltate molte, (alcune le ho anche riportate su questo blog e su questa pagina facebook. Storie di sfruttamento, di solitudine, di diritti negati, di contraddizioni natalizie, di un lavoro che alcuni definiscono finanche “violento”. Ma siamo nell’era del Jobs Act, del tassello finale che ha reso la vita di tutti precaria per definizione, che ha chiuso un cerchio disegnato con pazienza e con crudele cinismo.
Di utili analisi tecniche sul Jobs Act e sui Voucher se ne sono fatte molte; a me restano impressi nella mente gli occhi smarriti della dolce promoter dal viso d’angelo, occhi che riflettono una vita costruita giorno dopo giorno, senza mai pensare al domani, al futuro. Occhi di un’anima precaria da troppi anni per illudersi, per sognare, per sperare in un anno migliore.
Ma chi è il precario? E’ colui che fa di tutto pur di sopravvivere, ma che non sempre ci riesce. Il precario lavora come operatore di call center, come commesso, come “distributore di volantini”, come “spacciatore di utenze inutili”, come “improvvisato piazzista di case”, come insegnante, come ricercatore, come vigile del fuoco, come infermiere, come programmatore informatico, e potrei continuare per ore.
Il precario è sempre intento ad aggiornare il proprio curriculum vitae europeo; il precario ha un telefono che non è aziendale e si sposta con mezzi propri, quando non deve usare quelli pubblici. È precario perché a fine mese la sua busta paga, sprezzante delle ore effettivamente lavorate, è più misera di quella dei sempre più rari colleghi a tempo indeterminato; è precario perché la sua partita IVA è più costosa di quanto realmente guadagna e molto spesso deve ricorrere all’ammortizzatore sociale d’eccellenza: la famiglia.
Il precario è ricattabile, non ha diritti, non ha ferie nei periodi di vacanza; il precario non può aspirare al naturale desiderio di avere una famiglia tutta sua, una casa tutta sua, finanche un motorino tutto suo.
Il precario, diciamocela tutta senza giri di parole, si chiama precario per pudore, per decoro. Perché lo sappiamo tutti che nella realtà si “scrive” precario ma si “legge” povero, povero in canna. Forse per quello stesso pudore o forse per nascondere la polvere di quel poco che resta delle coscienze dei ricchi sotto il tappeto, il precario non lo racconta mai nessuno: resta invisibile come il suo stesso futuro.
Insomma, il precario nei cassetti chiusi di certo non ci può riporre i propri sogni, il precario non ha diritto neanche a quelli!
Manca poco alla prima notte dell’anno: la notte dei sogni, delle promesse e delle aspettative; la notte della speranza nel futuro, della voglia di un anno migliore. E’ vero, il precario non può permettersi neanche i sogni, figuriamoci se può contare sulle promesse o avere delle aspettative.
Un capodanno precario quello del 2017, il capodanno del Jobs Act e dei Voucher. Ma è pur sempre la prima notte dell’anno ed io non voglio arrendermi all’idea di una società che poggia il suo fondamento sulla precarietà del lavoro. Mentre i miei pensieri sfiorano la vita precaria della dolce promoter, le mie dita tamburellano sul pc: one, two, three, four. E ancora one, two, three, four… Un batterista sa come battere il tempo.
Ecco… tra sogni, promesse e aspettative ho ben chiara una certezza: questo sarà per me un nuovo anno di lotta, un anno d’impegno, un anno a perdifiato per cercare di “battere il tempo precario” !!
Buon anno di cuore, dolce promoter dal viso d’angelo. Buon anno a tutti voi!!
Alla ricerca di qualche bottiglia di buon vino per il cenone di capodanno, scorgo un grande centro commerciale, uno dei tanti, tutti uguali. Una moderna architettura che ricorda il Titanic; percorro le rampe dello sconfinato parcheggio girando a spirale e abbandono la macchina al piano +3 – colore giallo – fila 4 – posto 56. Meglio appuntarlo sullo smarphone se all’uscita voglio ritrovare la macchina.
Faccio lo slalom tra orde di fanatici dello shopping post natalizio, con le idee ben chiare: le bottiglie di vino e dritto a casa. Ma una affascinante promoter mi ferma all’uscita dell’ipermercato e mi chiede qualcosa che a malapena intuisco, frastornato dal vociare insopportabile di tutte quelle famiglie insoddisfatte alla ricerca compulsiva dell’acquisto e dalla musica diffusa dagli altoparlanti di questa immensa nave precaria. Con un cenno educato mi smarco dalla difficoltà del risponderle, perché so bene cosa devo fare. Me ne devo andare, andare via da questo centro commerciale affollato da finti volti e corpi mossi da chissà quali meccanismi automatici.
Sono a casa, ho bisogno di far respirare la mente, accendo il pc e mi rifugio nel blog, dove non vigono le regole dell’affanno, dell’organizzazione, delle esigenze altrui, dove posso cercare un senso all’avvento di un nuovo anno nell’era precaria, dove posso immaginare la vita di quella dolce promoter dal viso d’angelo, un viso segnato dalla stanchezza e perduto nell’incertezza del futuro.
Di storie precarie ne ho ascoltate molte, (alcune le ho anche riportate su questo blog e su questa pagina facebook. Storie di sfruttamento, di solitudine, di diritti negati, di contraddizioni natalizie, di un lavoro che alcuni definiscono finanche “violento”. Ma siamo nell’era del Jobs Act, del tassello finale che ha reso la vita di tutti precaria per definizione, che ha chiuso un cerchio disegnato con pazienza e con crudele cinismo.
Di utili analisi tecniche sul Jobs Act e sui Voucher se ne sono fatte molte; a me restano impressi nella mente gli occhi smarriti della dolce promoter dal viso d’angelo, occhi che riflettono una vita costruita giorno dopo giorno, senza mai pensare al domani, al futuro. Occhi di un’anima precaria da troppi anni per illudersi, per sognare, per sperare in un anno migliore.
Ma chi è il precario? E’ colui che fa di tutto pur di sopravvivere, ma che non sempre ci riesce. Il precario lavora come operatore di call center, come commesso, come “distributore di volantini”, come “spacciatore di utenze inutili”, come “improvvisato piazzista di case”, come insegnante, come ricercatore, come vigile del fuoco, come infermiere, come programmatore informatico, e potrei continuare per ore.
Il precario è sempre intento ad aggiornare il proprio curriculum vitae europeo; il precario ha un telefono che non è aziendale e si sposta con mezzi propri, quando non deve usare quelli pubblici. È precario perché a fine mese la sua busta paga, sprezzante delle ore effettivamente lavorate, è più misera di quella dei sempre più rari colleghi a tempo indeterminato; è precario perché la sua partita IVA è più costosa di quanto realmente guadagna e molto spesso deve ricorrere all’ammortizzatore sociale d’eccellenza: la famiglia.
Il precario è ricattabile, non ha diritti, non ha ferie nei periodi di vacanza; il precario non può aspirare al naturale desiderio di avere una famiglia tutta sua, una casa tutta sua, finanche un motorino tutto suo.
Il precario, diciamocela tutta senza giri di parole, si chiama precario per pudore, per decoro. Perché lo sappiamo tutti che nella realtà si “scrive” precario ma si “legge” povero, povero in canna. Forse per quello stesso pudore o forse per nascondere la polvere di quel poco che resta delle coscienze dei ricchi sotto il tappeto, il precario non lo racconta mai nessuno: resta invisibile come il suo stesso futuro.
Insomma, il precario nei cassetti chiusi di certo non ci può riporre i propri sogni, il precario non ha diritto neanche a quelli!
Manca poco alla prima notte dell’anno: la notte dei sogni, delle promesse e delle aspettative; la notte della speranza nel futuro, della voglia di un anno migliore. E’ vero, il precario non può permettersi neanche i sogni, figuriamoci se può contare sulle promesse o avere delle aspettative.
Un capodanno precario quello del 2017, il capodanno del Jobs Act e dei Voucher. Ma è pur sempre la prima notte dell’anno ed io non voglio arrendermi all’idea di una società che poggia il suo fondamento sulla precarietà del lavoro. Mentre i miei pensieri sfiorano la vita precaria della dolce promoter, le mie dita tamburellano sul pc: one, two, three, four. E ancora one, two, three, four… Un batterista sa come battere il tempo.
Ecco… tra sogni, promesse e aspettative ho ben chiara una certezza: questo sarà per me un nuovo anno di lotta, un anno d’impegno, un anno a perdifiato per cercare di “battere il tempo precario” !!
Buon anno di cuore, dolce promoter dal viso d’angelo. Buon anno a tutti voi!!
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