Tempo dopo vide le
macchine imparare a poco a poco a fare il suo lavoro; quindi le vide
utilizzate in un reparto di produzione merci, dove venivano costruiti
macchinari per la respirazione, poi ancora nell’ inventario di un
magazzino, ed infine in un archivio.
La
lavoratrice da noi intervistata ha dichiarato “Quello che mi fa
veramente incazzare è… Ma se lo chiedono come possiamo costruirci una
vita, in questo modo?” Sherry quindi si è iscritta ad un corso per
computer a Goodwill, ma anche questo non è bastato: “I ventenni, i
trentenni, sono molto più aggiornati di noi in quella roba lì, noi non
ci siamo cresciuti insieme, come è stato per loro,” dichiara la Johnson,
che ora ha sviluppato un piccolo handicap, e vive in un quartiere di
case popolari a Jefferson City, in Tennessee.
Il neo
eletto Presidente USA, Donald J. Trump, in campagna elettorale, promise
ai lavoratori come la Johnson che avrebbe riportato in auge lavori come
quelli che sapevano fare prima, frenando il commercio internazionale,
le delocalizzazioni e reprimendo l’immigrazione. Ma gli economisti,
invece, sono convinti che la minaccia peggiore per il lavoro sia
rappresentata da qualcosa d’altro: la robotizzazione.
“Chiaramente,
l’avvento della robotizzazione nel mondo del lavoro è stato
fondamentale, ma a lungo andare, non può diventare così 'invadente'”,
afferma Lawrence Katz, professore di economia ad Harvard e studioso del
lavoro e di innovazione tecnologica.
Nessun
candidato, durante la campagna elettorale, si è occupato molto della
robotizzazione. La tecnologia non è un’antagonista facile e gestibile
come può esserlo la Cina o il Messico, non esiste un modo definito,
semplice, per sbarazzarsene, e per di più, molte delle compagnie del
settore, sono dislocate negli Stati Uniti, che ne beneficiano nei modi
più diversi.
Il neo
Presidente Trump, lo scorso mercoledì, ha dichiarato ad un gruppo di
dirigenti di alcune compagnie del settore tecnologico: “Vogliamo che voi
non molliate, che continuiate con la ricerca nell’innovazione.
Qualsiasi cosa potremo fare per aiutare questo processo, saremo pronti a
farla in ogni momento.”
Andrew
F. Puzder, punta di diamante nel Gabinetto Trump (nel quale ricopre la
carica di segretario per il lavoro), ed amministratore delegato della
CKE Restaurants (catena di ristoranti specializzata in piatti
messicani), in un’intervista rilasciata a marzo al “Business Insider” (rivista
americana on line) ha esaltato le virtù dei robots, a differenza di
quelle della razza umana dichiarando: “Sono sempre educati, cortesi,
riescono a far comprare anche più del necessario al cliente, non
prendono mai una vacanza, non sono mai in ritardo, tra di loro non
esistono casi di discriminazione razziale, sessuale o di età, mai un
caso di infedeltà, dovuto ad arrivismo personale, nelle aziende
robotizzate.”
Secondo una ricerca di alcuni economisti, tra cui Daron Acemoglu e David Autor del M.I.T. (Massachusetts Institute of Technology),
la globalizzazione è palesemente responsabile per la perdita di alcuni
tipi di lavoro, particolarmente se ci riferiamo ai rapporti commerciali
con la Cina durante gli anni 2000, rapporti che portarono ad una rapida e
netta perdita di posti di lavoro, che si attestò intorno a circa due
milioni due milioni e mezzo. Nello specifico, Autor, in un paper
pubblicato a Gennaio 2016, rilevò che i lavoratori delle zone del paese
più interessate dalle importazioni, sono generalmente più toccati dalla
disoccupazione, ed avranno un reddito ridotto per il resto della loro
vita. Nel tempo, la robotizzazione ha avuto un effetto molto più forte
di quello della globalizzazione, che prima o poi avrebbe comunque
eliminato questi settori lavorativi, ha dichiarato in un’intervista lo
stesso Autor, che sottolinea: “Un po’ dipende dalla globalizzazione [la
perdita dei posti di lavoro N.d.T.], ma molto di più dal fatto
che abbiamo sempre meno bisogno di lavoratori per fare lo stesso
lavoro,” ha dichiarato l’economista, ed infine, “ sostanzialmente,
oramai i lavoratori sono solo dei supervisori delle macchine.”
Quando Greg Hayes, amministratore delegato della United Technologies (multinazionale
americana attiva in diversi settori, perciò detta, “conglomerata”)
concordò nell’ investire in tecnologia ben 16 milioni di dollari in una
delle sue fabbriche “Carrier” (produzione
ed installazione di impianti di climatizzazione e refrigerazione
commerciale), come parte di un accordo con Trump, teso a mantenere
alcuni siti industriali in Indiana, invece di delocalizzare in Messico,
egli dichiarò che il denaro vero, il cosiddetto profitto, scaturisce
sempre dalla robotizzazione.
E ultimamente ha dichiarato alla CNBC
(stazione radiotelevisiva del New Jersey), senza tanti peli sulla
lingua: “Quello che fondamentalmente vuol dire tutto questo è che avremo
sempre meno posti di lavoro disponibili.”
Prendiamo
l’industria dell’acciaio, ad esempio: sono stati bruciati 400.000 posti
di lavoro, il 75% della sua forza lavoro, tra il 1962 ed il 2005. Ma le
spedizioni non calano, secondo uno studio pubblicato lo scorso anno
dall’ American Economic Review La ragione sta in una nuova tecnologia, detta “minimill”*.
Per gli autori della ricerca, Allan Collard-Wexler della Duke
University e Jan De Loecker della Princeton University, l’impatto di
questa nuova tecnologia sul mercato è stato ed è ancora molto forte:
pensiamo al controllo sulle pratiche gestionali, ma anche alle perdite
di posti di lavoro nel Midwest, al commercio internazionale, ma anche
agli stipendi, diminuiti sensibilmente.
Un’altra
analisi redatta dalla Ball State University, ha attribuito la causa
della perdita di posti di lavoro per il 13% circa agli scambi
commerciali con gli altri paesi, e, per il restante, ad una crescente
produttività, ma in virtù proprio della robotizzazione, quindi, si può
dire, “drogata”. Il settore dell’abbigliamento è stato colpito
maggiormente dal commercio internazionale, quindi dalla concorrenza di
altri mercati – si evidenzia nello studio – mentre il mercato dei
computers e della produzione di componenti elettroniche sono stati
colpiti dai progressi raggiunti dalla tecnologia stessa.
Con il
tempo, la robotizzazione ha avuto generalmente un lieto fine: mentre da
una parte cancellava posti di lavoro, ne creava altri in settori
differenti; ma alcuni esperti si preoccupano che questa volta potrebbe
essere differente: anche se l’economia è migliorata, le attività ed i
salari, per un grande segmento di lavoratori – in particolare uomini
senza titolo universitario che di solito si dedicavano a lavori manuali –
non hanno avuto una ripresa.
Daron
Acemoglu, economista turco, nel numero di maggio di un periodico
economico, si è imbattuto in una ricerca dalla quale ha appreso che, nel
migliore dei casi, la robotizzazione lascia la prima generazione di
lavoratori colpiti da questo processo di “modernizzazione” in una sorta
di sbandamento, di stato confusionale, dal momento che ci si accorge
d’un tratto di non avere le competenze necessarie per ricoprire mansioni
e compiti più complessi.
Robert
Stilwell, 35 anni di Evansville, nell’Indiana, appartiene a questa
generazione: non si è diplomato alle scuole superiori ed in fabbrica
costruiva parti di auto e di strumenti, le imballava e le caricava sui
camion. Dopo essere stato licenziato, ha trovato lavoro come cassiere
presso un minimarket, che ha voluto dire accettare un salario molto
ridotto.
“Mi
ero abituato ad avere un lavoro veramente molto buono e gratificante, e
mi piaceva la gente con la quale interagivo, finché non sono stato
superato da una macchina; a quel punto sono stato mollato,” questa la
sua dichiarazione.
L’ultima
occupazione di Dennis Kriebel, invece, è stata di supervisore in una
fabbrica di profilati di alluminio, dove aveva passato dieci anni a
forare parti per automobili e trattori; alla fine, circa cinque anni fa,
ha perso il suo posto di lavoro per colpa di un robot.
Kriebel,
ora cinquantacinquenne, afferma che “tutto quello che facciamo, può
essere fatto anche da un robot, se quest’ultimo viene programmato da
qualcuno in grado di farlo.” Ora Kriebel vive a Youngstown, in Ohio, la
città a cui Bruce Springsteen ha dedicato una delle più belle ballate
dell’album “The ghost of Tom Joad”**. Springsteen canta così: ”Seven hundred tons of metal a day/Now sir you tell me the world’s changed”… “Settecento tonnellate di metallo al giorno/Adesso, padrone, dimmi che il mondo è cambiato.”
Da
allora, Kriebel sbarca a malapena il lunario facendo lavori occasionali.
Purtroppo oggigiorno, in fabbrica, molte delle nuove mansioni
richiedono competenze tecniche specifiche, e lui non ha un computer e
neanche intende acquistarlo.
Esperti
del lavoro affermano che esistono vari modi per aiutare i lavoratori
nel periodo di transizione, una sorta di limbo, in cui hanno perso il
lavoro e sono stati sostituiti dai robots: programmi di riqualificazione
professionale, aiuto dai sindacati, la creazione di maggiori
opportunità di lavoro nel settore pubblico, o un reddito minimo
garantito più alto, maggiori detrazioni fiscali per i redditi da lavoro,
e, per i lavoratori della prossima generazione, più corsi di laurea a
disposizione. Lo scorso martedì, la Casa Bianca ha pubblicato un
rapporto sulla robotizzazione e l’economia, in cui si propone una
migliore formazione, dalla prima infanzia all’età adulta, un
aggiornamento della rete di solidarietà sociale con strumenti come un
salario assicurato, e così via; ma il neo presidente Trump, ha già
dichiarato che le politiche di questo tipo che metterà in campo non
saranno molte.
“Solo
se permetteremo al mercato privato di robotizzarsi, senza alcun sostegno
economico da parte dello Stato, otterremo la soluzione ad una serie di
problemi, dall’immigrazione al commercio internazionale, persino al
forte impatto della tecnologia,” ha dichiarato a suo tempo, l’economista
Lawrence Katz, a capo dell’Ufficio Economico del Dipartimento del
Lavoro, sotto la Presidenza Clinton.
I
cambiamenti non hanno interessato solo il campo del lavoro manuale: i
computers hanno imparato rapidamente a fare anche il lavoro dei
“colletti bianchi”, e persino quello del personale del settore servizi.
La tecnologia del momento, potrebbe automatizzare il 45% delle attività
svolte da personale retribuito, secondo un rapporto di McKinsey,
(società internazionale di consulenza manageriale) apparso nel mese di
Luglio. A minor rischio sono i lavori che richiedono creatività, o la
cura e la gestione di persone.
La
lavoratrice di cui raccontavamo all’inizio, Sherry Johnson, ora in
Tennessee, ha dichiarato che il suo lavoro preferito ed allo stesso
tempo meglio retribuito ($8.65 l’ora) è prendersi cura dei cuccioli, in
un rifugio per animali; questo è un lavoro che meno si adatta ad essere
compiuto da una macchina: “Spero che un computer non riesca a fare tutto
questo, anche se alcune macchine sono già in grado di cambiare la carta
sporca delle gabbie e dare affetto ed attenzione ai cuccioli.”
Dal New York Times, Claire Cain Miller
Traduzione e cura di Francesco Spataro
*In
italiano mini-acciaieria. Stabilimento siderurgico che utilizza una
particolare tecnologia (fornace ad arco elettrico) che lo rende più
flessibile al mercato; per questa ragione viene usata questa tecnologia
in periodi di sovrapproduzione o crisi del mercato.
**”Il fantasma di Tom Joad”,
album del 1995 di Bruce Springsteen, dedicato al periodo della Grande
Depressione USA, del 1929. Tom Joad, a cui è dedicato l’ album, è anche
il personaggio principale del libro di John Steinbeck “Furore”, un
bracciante che si trova a vagabondare per il Grande Paese ed a
combattere la Grande Crisi economica che colpì gli USA dopo il crollo di
Wall Street e che creò milioni di disoccupati.
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