dinamopress Biagio Quattrocchi
Mentre social e giornali ironizzano sulle incompetenze tecniche della giunta, pubblichiamo un'analisi rigorosa di numeri e fatti che testimoniano la radice profondamente politica della decisione dei revisori. E la mancanza di strategia di chi aveva già accettato la "sfida" del rigore.
Ancora con i riflettori puntati sulla vicenda dell’arresto di Raffaele Marra e l’ennesima riorganizzazione politica che ne è conseguita, la giunta Raggi rinciampa in un nuovo ostacolo. L’Organo di revisione economico-finanziaria (Oref) del Comune di Roma ieri (20 dicembre, ndr), come oramai noto, ha espresso parere negativo sul bilancio previsionale 2017, alla vigilia dell’approvazione in consiglio comunale.Ed è la prima volta, vale la pena ricordarlo, che a Roma i revisori bocciano un bilancio di previsione. La notizia ha subito conquistato i primi titoli sui giornali. Visto il clima politico cittadino e le incertezze nazionali post-referendum, era quasi inevitabile che ciò accadesse. Ciò che fa riflettere è il clima di ilarità che ha avvolto la notizia. La tesi più diffusa si limita stoltamente a segnalare che “hanno sbagliato a fare i conti”, “non conoscono neppure l’aritmetica”. Il discorso si fa strada sulle principali testate. Passa di bocca in bocca sui social. Accanto a quelli che ridono ci sono quelli che “ve lo dicevo io, sono degli inetti”. Tra chi si diverte e chi si indigna, nessuno sembra minimamente preoccuparsi della sostanza della contesa in atto. E la contesa riguarda il modo in cui deve essere tradotta contabilmente a Roma la logica economico-politica dell’austerità. Effettivamente, messa con i piedi per terra, la vicenda, non fa proprio ridere.
Al momento sappiamo solo due cose, concentriamoci su queste: il contenuto del bilancio previsionale 2017 [1] e quello del “parere dell’organo di revisione”. Non sappiamo invece se ci siano stati o meno eventuali scontri di potere interni alla macchina amministrativa che hanno aperto la strada al parere dell’Oref. Tutte cose che in mancanza di notizie è poco serio discutere, ma che darebbero un’immagine ancora più articolata della scomposizione dei poteri, dei conflitti interni alla macchina dello stato, che a Roma negli ultimi anni hanno raggiunto livelli elevatissimi.
Il punto da cui partire è che la giunta Raggi con il bilancio di previsione 2017 decide di assecondare la logica del rigore, in totale continuità con le amministrazioni precedenti. E proprio come le amministrazioni precedenti, contrariamente a quanto affermato in campagna elettorale, la discussione sul bilancio si è tenuta nelle segrete stanze istituzionali: nessun coinvolgimento, nessuna partecipazione, a quanto pare persino i Municipi sono stati messi nelle condizioni di “bere o affogare”. Per il 2017 si prevede che le entrate del comune si ridurranno del 9,2%, principalmente a causa della contrazione dei trasferimenti dal centro (-12%). Come di consueto, la retorica neoliberale applicata alla finanza locale prescrive che le entrate dei comuni sono un vincolo, non c’è nulla da fare, se non sul versante della spesa, dove si può solo tagliare. Dunque, proprio come le precedenti amministrazioni, nel nuovo bilancio non c’è traccia di una strategia sul recupero dell’evasione fiscale o sull’elusione fiscale delle proprietà della chiesa. Non c’è traccia neppure di cambiamenti di rotta sul fronte delle aliquote minime applicate ai costruttori sulle case invendute.
Se ci spostiamo, invece, sul versante della spesa, le previsioni sono ancora più preoccupanti. La spesa corrente sarà tagliata il prossimo anno di circa il 12%, quella destinata agli investimenti passerà addirittura da 1,2 milioni di euro a meno di 500 mila, toccando così il secondo valore più basso negli ultimi venti anni. Un taglio pressoché generalizzato che riguarderà quasi tutte le principali funzioni operative del comune, dove le più colpite saranno le spese per la gestione del territorio e dell'ambiente (-81%) e i beni culturali (-20%). Nel caso dei servizi non è stato necessario fare altro che limitarsi a confermare, in piena continuità, i tagli operati dalle amministrazioni precedenti. Anche la percentuale dei servizi esternalizzati aumenterà il nuovo anno, passando da 57,6% nel 2016 a 59,4%. Hanno evidentemente scelto un bilancio di rigore, in ossequio all’ideologia neoliberale, mentre sul versante del debito cittadino non è stata presa nessuna nuova decisione. Il comune continuerà a versare anche per il 2017 i 200 milioni al commissario del debito per continuare a pagare gli interessi a tassi ormai fuori mercato a Cassa depositi e prestiti e agli altri istituti bancari: nessuna traccia minima sulla ristrutturazione del debito annunciata in campagna elettorale. Tutto come prima, più di prima.
Questo sarebbe stato il bilancio consegnato al consiglio comunale per l’approvazione, se l’Oref non fosse intervenuto, obbligando la giunta a rivedere la sua proposta e facendo slittare l’approvazione entro il 28 febbraio. Ma concentriamoci ora sulle osservazioni mosse dai revisori, perché da qui, come si anticipava in apertura, si capisce molto meglio la natura dello scontro politico sull’applicazione della logica austeritaria alla finanza pubblica romana. Sia detto con chiarezza: la contabilità, come tutte le tecniche, non ha proprio nulla di neutrale, ma ha sempre una profonda natura politica.
I revisori attaccano dicendo: l’amministrazione non ha «previsto gli interventi correttivi necessari ed indispensabili per la salvaguardia degli equilibri di bilancio». E, in ultima istanza, la strada che sembrano proporre è sostanzialmente quella di privatizzare le muncipalizzate. La contesa fondamentale discende dal fatto che il bilancio 2017 pur essendo pesantemente vocato al rigore, contiene tuttavia previsioni poco robuste, tanto da far dubitare la possibilità che sia raggiunto il pareggio di bilancio.
Nello svolgere la loro tesi, i revisori si soffermano su due punti. Sul lato delle entrate, ravvisano che il bilancio non contiene previsioni di nuove entrate strutturali. In particolare non esiste un adeguato e specifico «programma di recupero dell'entrate tributarie e patrimoniali dell'Ente come già raccomandato da questo Collegio». Vorrei far notare, che oltre alla pur condivisibile attenzione sull’evasione fiscale, la nota si sofferma sulle «entrate patrimoniali». Non vorremmo certo che sulla aspra contesa ancora in corso sull’uso civico del patrimonio pubblico da parte di centri sociali e associazioni, oltre alla pesante pressione politica della Corte dei Conti, ora si aggiunga anche quella di altri frammenti della macchina burocratica comunale. Inoltre, a queste considerazione i revisori ne aggiungono un’altra, forse la più importante di tutte: non esiste un «piano di rientro in riferimento alla razionalizzazione e/o alienazione delle partecipazioni in società che non svolgono attività per il raggiungimento di fini istituzionali dell'Ente». In sostanza, avvertono (e suggeriscono), non esiste ancora nessun piano di privatizzazione in grado di aumentare le entrate. La nota si sposta poi, sul versante delle spese, affermando che non esiste neppure una «corretta previsione degli ingenti e imminenti oneri derivanti dai debiti fuori bilancio». Cosa significa? Esiste ad ora un elevato stock di debiti non contabilizzati in bilancio, altri potranno aggiungersi. Ma la giunta ha deciso anche di tagliare consistentemente un fondo rischi usato anche per queste spese non previste. Per cui, durante il 2017, quando questi debiti non previsti in bilancio sarebbero arrivati a maturazione, il comune non avrebbe trovato le risorse per farne fronte. A tal scopo i revisori aggiungono «ulteriori risparmi derivanti dalla razionalizzazione della spesa non appaiono possibili se non a danno della qualità dei servizi». Tradotto in altri termini, l’indicazione politica dei revisori è, come si anticipava poc’anzi, avete tagliato già tutto, bravi, ora non c’è altro da fare che privatizzare le aziende dei servizi pubblici locali.
Che l’austerità fosse la via per l’applicazione di una nuova “accumulazione originaria”, come sempre, ai danni della già precaria materialità della riproduzione sociale, è un fatto oramai noto. E questa sembra essere, anche qui, una delle contese politiche che a Roma, nella metropoli più grande d’Italia, si apre.
Come Decide Roma da tempo siamo impegnati a dire che non c’è altra strada che quella di rigettare il piano di rientro imposto al Comune, che vincola le scelte di finanza locale fino al 2048. Si parte da lì per poi continuare con la richiesta di un Audit pubblico sul debito cittadino, perché il debito va immediatamente ristrutturato tagliando il pagamento della parte illegittima. Lo diciamo da sempre, la nostra vita è in credito, non sentiamo nessuna colpa per un debito accumulato da altri.
1) Le analisi sul Bilancio previsionale 2017 sono frutto di un lavoro collettivo svolto nell’ambito del Gruppo Debito di DecideRoma. Per tutte le altre valutazioni mi assumo direttamente la responsabilità.
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