mercoledì 21 dicembre 2016

Rodotà: “Bocciato il renzismo. Ora ripartiamo dalla Costituzione”.

“Non ha perso solo Renzi, è stato sconfitto un disegno personalistico e di accentramento di potere”. Stefano Rodotà, noto giurista, è uno dei vincitori dello scorso referendum. A 83 anni ha girato per convegni e dibattiti spiegando le ragioni del NO e, soprattutto, il pericolo del combinato disposto riforma costituzionale/Italicum: “Quella riforma rappresentava un cambiamento radicale del sistema politico-istituzionale, avrebbe modificato la nostra forma di governo e toccato alle fondamenta la forma dello Stato”. Un sospiro di sollievo per la sonora bocciatura. Ma non è tempo per i festeggiamenti, almeno per lui. Siamo in una fase nuova. E l’ex garante della privacy, e parlamentare, appare ora preoccupato per i futuri scenari: “Dobbiamo ritornare ad una cultura costituente, la politica recepisca il messaggio espresso dal referendum del 4 dicembre”. 

micromega Intervista a Stefano Rodotà di Giacomo Russo Spena

Professore, innanzitutto partiamo dal governo Gentiloni. Possiamo parlare, secondo lei, di un Renzi bis?  
La composizione dell’esecutivo non lascia molti dubbi: la squadra di governo è pressoché identica. Tuttavia mi soffermerei su un altro aspetto per me dirimente: rispetto alla partenza, si è indebolita la strategia renziana nel suo complesso. Con il governo Gentiloni, ne esce spuntata.

E qual era la strategia di partenza?
In origine, il progetto renziano prevedeva la costruzione di una nuova forma di organizzazione intorno a se stesso, un’organizzazione autoreferenziale e maggioritaria. Ora si è persa quell’aggressività iniziale. Il 4 dicembre Renzi si era prefissato alcuni obiettivi che non sono stati raggiunti. Il renzismo ne esce depotenziato.

Durante l’assemblea del Pd, lo stesso Renzi ha ammesso la sconfitta. Però la promozione di Maria Elena Boschi, la madrina della riforma, alla sotto presidenza del Consiglio non è emblema di una continua tracotanza?
Ragionano come se il NO non ci fosse stato. E continuano a perseverare nello stesso errore perché mi pare evidente che la strategia renziana – fin dalla personalizzazione del referendum – non sta pagando in termini di consenso.

Quale sarebbe stato lo scenario possibile alternativo al governo Gentiloni? Il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais aveva persino ipotizzato un governo d’alto profilo istituzionale sorretto da lei e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky…

Era una ipotesi del tutto non realistica. Dopo il tentativo renziano di impadronirsi della Costituzione, bisogna ripartire da quei milioni di NO che non hanno espresso un voto di conservazione, anzi. Era un NO costituente che indicava una precisa strada politica, quella basata sul recupero dei valori della nostra Carta. Una volta salvaguardata la Costituzione dagli attacchi, ci si deve muovere tenendo conto delle sue immense potenzialità. E le eventuali modifiche devono non solo essere puntuali, ma manifestarsi come uno svolgimento della logica costituzionale

Dai dati si evince che a votare NO sono stati soprattutto i giovani, i disoccupati e le fasce sociali più deboli. Gli italiani hanno votato entrando nel merito della Costituzione o sul governo Renzi? Non è stato un voto tutto politico?
Come insegna la storia referendaria del nostro Paese, i due fattori si intrecciano sempre. Non può che essere così. Quello del 4 dicembre è stato un voto fortemenProfessore, innanzitutto partiamo dal governo Gentiloni. Possiamo parlare, secondo lei, di un Renzi bis?  
La composizione dell’esecutivo non lascia molti dubbi: la squadra di governo è pressoché identica. Tuttavia mi soffermerei su un altro aspetto per me dirimente: rispetto alla partenza, si è indebolita la strategia renziana nel suo complesso. Con il governo Gentiloni, ne esce spuntata.

E qual era la strategia di partenza?
In origine, il progetto renziano prevedeva la costruzione di una nuova forma di organizzazione intorno a se stesso, un’organizzazione autoreferenziale e maggioritaria. Ora si è persa quell’aggressività iniziale. Il 4 dicembre Renzi si era prefissato alcuni obiettivi che non sono stati raggiunti. Il renzismo ne esce depotenziato.

Durante l’assemblea del Pd, lo stesso Renzi ha ammesso la sconfitta. Però la promozione di Maria Elena Boschi, la madrina della riforma, alla sotto presidenza del Consiglio non è emblema di una continua tracotanza?
Ragionano come se il NO non ci fosse stato. E continuano a perseverare nello stesso errore perché mi pare evidente che la strategia renziana – fin dalla personalizzazione del referendum – non sta pagando in termini di consenso.

Quale sarebbe stato lo scenario possibile alternativo al governo Gentiloni? Il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais aveva persino ipotizzato un governo d’alto profilo istituzionale sorretto da lei e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky…
Era una ipotesi del tutto non realistica. Dopo il tentativo renziano di impadronirsi della Costituzione, bisogna ripartire da quei milioni di NO che non hanno espresso un voto di conservazione, anzi. Era un NO costituente che indicava una precisa strada politica, quella basata sul recupero dei valori della nostra Carta. Una volta salvaguardata la Costituzione dagli attacchi, ci si deve muovere tenendo conto delle sue immense potenzialità. E le eventuali modifiche devono non solo essere puntuali, ma manifestarsi come uno svolgimento della logica costituzionale

Dai dati si evince che a votare NO sono stati soprattutto i giovani, i disoccupati e le fasce sociali più deboli. Gli italiani hanno votato entrando nel merito della Costituzione o sul governo Renzi? Non è stato un voto tutto politico?
Come insegna la storia referendaria del nostro Paese, i due fattori si intrecciano sempre. Non può che essere così. Quello del 4 dicembre è stato un voto fortemente politico, la strategia aggressiva di Renzi aveva già determinato effetti sul piano sociale con riforme come il Jobs Act o la Buona Scuola. I cittadini hanno bocciato e respinto l’intero disegno delle riforme renziane.

Professore, mi faccia insistere. Per ritornare alla cultura costituzionale ci voleva comunque un governo, che si prendeva tra l’altro l’incombenza della nuova legge elettorale. Oppure lei sarebbe andato subito al voto con l’incognita del giudizio della Consulta sulla costituzionalità dell’Italicum?
La priorità è una legge elettorale comune per Camera e Senato. Però attenzione: la legge elettorale deve essere fatta dal Parlamento, non dal nuovo governo. Qui è il vero nodo.

Teme quindi che il governo Gentiloni accentri molto più potere di quanto dovrebbe, mi sta dicendo questo?
Quando parlo di cultura costituzionale mi riferisco al tema della rappresentanza effettiva e del potere decisionale. Le persone si devono sentire rappresentate. Si deve creare un rapporto tra legge elettorale e cittadini in modo che questi ultimi abbiano la sensazione e la consapevolezza di essere effettivamente rappresentati. Reintrodurrei quindi elementi di proporzionalità nella nuova legge elettorale, tenendo conto anche dell’esperienza tedesca.

Il Pd invece ha proposto il Mattarellum, quindi un sistema ultra maggioritario. Si va nella direzione opposta?
Alle spalle abbiamo leggi elettorali ispirate dal cosiddetto concetto di governabilità: la sera delle elezioni dobbiamo sapere chi sarà il Presidente del Consiglio, questo è stato lo slogan che ci è stato propinato per anni. Credo che i nefasti risultati siano sotto gli occhi di tutti: lo slogan ha mostrato tutti i suoi limiti. La legge elettorale deve dare un risultato corrispondente alla volontà politica dei cittadini. E’ l’unico modo per contrastare l’enorme sfiducia nei confronti delle istituzioni e la cosiddetta crisi della rappresentanza.

Quanto durerà il governo Gentiloni? Si voterà in Primavera?
Non sono mai stato bravo a fare previsioni (ride). Innanzitutto si faccia la legge elettorale, poi si esamineranno i vari fattori in campo, che sono molti, dalla dimensione europea a quella sovranazionale.

Intanto nel Paese è boom di voucher (+32%) e l’11 gennaio la Consulta dovrà esprimersi sull’ammissibilità del referendum promosso dalla Cgil contro il Jobs Act...
Sta cambiano la fase. L’alta affluenza al referendum del 4 dicembre ci dimostra  che i cittadini vogliono riappropriarsi della vita pubblica. Le persone hanno mostrato una maggiore sensibilità e volontà di essere protagonisti. Quindi ben venga un nuovo referendum sul Jobs Act: è necessaria una redistribuzione dei poteri e in tal senso il referendum appare uno strumento necessario di partecipazione.

E cosa ne pensa della recente sortita di Poletti sui giovani all’estero, ha ragione chi chiede addirittura le sue dimissioni?
Frase assolutamente inopportuna. Come inopportuna è stata la sua uscita sul rinvio del referendum sul Jobs Act grazie ad elezioni anticipate, che rivela la paura di perdere la consultazione popolare.

Torniamo al governo Gentiloni. Non è un assist al M5S che ora ha, di fatto, il monopolio dell’opposizione?

Questo governo fotocopia difficilmente toglierà consensi al M5S. Ancora una volta, Renzi sottovaluta il peso del grillismo nel Paese. Se presto si torna al voto, il M5S è il soggetto politico che potrebbe uscire maggioritario. La politica italiana non può non tenerne conto.

(20 dicembre 2016)te politico, la strategia aggressiva di Renzi aveva già determinato effetti sul piano sociale con riforme come il Jobs Act o la Buona Scuola. I cittadini hanno bocciato e respinto l’intero disegno delle riforme renziane.

Professore, mi faccia insistere. Per ritornare alla cultura costituzionale ci voleva comunque un governo, che si prendeva tra l’altro l’incombenza della nuova legge elettorale. Oppure lei sarebbe andato subito al voto con l’incognita del giudizio della Consulta sulla costituzionalità dell’Italicum?
La priorità è una legge elettorale comune per Camera e Senato. Però attenzione: la legge elettorale deve essere fatta dal Parlamento, non dal nuovo governo. Qui è il vero nodo.

Teme quindi che il governo Gentiloni accentri molto più potere di quanto dovrebbe, mi sta dicendo questo?
Quando parlo di cultura costituzionale mi riferisco al tema della rappresentanza effettiva e del potere decisionale. Le persone si devono sentire rappresentate. Si deve creare un rapporto tra legge elettorale e cittadini in modo che questi ultimi abbiano la sensazione e la consapevolezza di essere effettivamente rappresentati. Reintrodurrei quindi elementi di proporzionalità nella nuova legge elettorale, tenendo conto anche dell’esperienza tedesca.

Il Pd invece ha proposto il Mattarellum, quindi un sistema ultra maggioritario. Si va nella direzione opposta?
Alle spalle abbiamo leggi elettorali ispirate dal cosiddetto concetto di governabilità: la sera delle elezioni dobbiamo sapere chi sarà il Presidente del Consiglio, questo è stato lo slogan che ci è stato propinato per anni. Credo che i nefasti risultati siano sotto gli occhi di tutti: lo slogan ha mostrato tutti i suoi limiti. La legge elettorale deve dare un risultato corrispondente alla volontà politica dei cittadini. E’ l’unico modo per contrastare l’enorme sfiducia nei confronti delle istituzioni e la cosiddetta crisi della rappresentanza.

Quanto durerà il governo Gentiloni? Si voterà in Primavera?
Non sono mai stato bravo a fare previsioni (ride). Innanzitutto si faccia la legge elettorale, poi si esamineranno i vari fattori in campo, che sono molti, dalla dimensione europea a quella sovranazionale.

Intanto nel Paese è boom di voucher (+32%) e l’11 gennaio la Consulta dovrà esprimersi sull’ammissibilità del referendum promosso dalla Cgil contro il Jobs Act...
Sta cambiano la fase. L’alta affluenza al referendum del 4 dicembre ci dimostra  che i cittadini vogliono riappropriarsi della vita pubblica. Le persone hanno mostrato una maggiore sensibilità e volontà di essere protagonisti. Quindi ben venga un nuovo referendum sul Jobs Act: è necessaria una redistribuzione dei poteri e in tal senso il referendum appare uno strumento necessario di partecipazione.

E cosa ne pensa della recente sortita di Poletti sui giovani all’estero, ha ragione chi chiede addirittura le sue dimissioni?
Frase assolutamente inopportuna. Come inopportuna è stata la sua uscita sul rinvio del referendum sul Jobs Act grazie ad elezioni anticipate, che rivela la paura di perdere la consultazione popolare.

Torniamo al governo Gentiloni. Non è un assist al M5S che ora ha, di fatto, il monopolio dell’opposizione?

Questo governo fotocopia difficilmente toglierà consensi al M5S. Ancora una volta, Renzi sottovaluta il peso del grillismo nel Paese. Se presto si torna al voto, il M5S è il soggetto politico che potrebbe uscire maggioritario. La politica italiana non può non tenerne conto.

(20 dicembre 2016)

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