“Non ha perso solo Renzi, è stato sconfitto un disegno personalistico e
di accentramento di potere”. Stefano Rodotà, noto giurista, è uno dei
vincitori dello scorso referendum. A 83 anni ha girato per convegni e
dibattiti spiegando le ragioni del NO e, soprattutto, il pericolo del
combinato disposto riforma costituzionale/Italicum: “Quella riforma
rappresentava un cambiamento radicale del sistema
politico-istituzionale, avrebbe modificato la nostra forma di governo e
toccato alle fondamenta la forma dello Stato”. Un sospiro di sollievo
per la sonora bocciatura. Ma non è tempo per i festeggiamenti, almeno
per lui. Siamo in una fase nuova. E l’ex garante della privacy, e
parlamentare, appare ora preoccupato per i futuri scenari: “Dobbiamo
ritornare ad una cultura costituente, la politica recepisca il messaggio
espresso dal referendum del 4 dicembre”.
micromega Intervista a Stefano Rodotà di Giacomo Russo Spena
Professore, innanzitutto partiamo dal governo Gentiloni. Possiamo parlare, secondo lei, di un Renzi bis?
La
composizione dell’esecutivo non lascia molti dubbi: la squadra di
governo è pressoché identica. Tuttavia mi soffermerei su un altro
aspetto per me dirimente: rispetto alla partenza, si è indebolita la
strategia renziana nel suo complesso. Con il governo Gentiloni, ne esce
spuntata.
E qual era la strategia di partenza?
In
origine, il progetto renziano prevedeva la costruzione di una nuova
forma di organizzazione intorno a se stesso, un’organizzazione
autoreferenziale e maggioritaria. Ora si è persa quell’aggressività
iniziale. Il 4 dicembre Renzi si era prefissato alcuni obiettivi che non
sono stati raggiunti. Il renzismo ne esce depotenziato.
Durante
l’assemblea del Pd, lo stesso Renzi ha ammesso la sconfitta. Però la
promozione di Maria Elena Boschi, la madrina della riforma, alla sotto
presidenza del Consiglio non è emblema di una continua tracotanza?
Ragionano
come se il NO non ci fosse stato. E continuano a perseverare nello
stesso errore perché mi pare evidente che la strategia renziana – fin
dalla personalizzazione del referendum – non sta pagando in termini di
consenso.
Quale sarebbe stato lo scenario possibile
alternativo al governo Gentiloni? Il direttore di MicroMega Paolo Flores
d’Arcais aveva persino ipotizzato un governo d’alto profilo
istituzionale sorretto da lei e il costituzionalista Gustavo
Zagrebelsky…
Era una ipotesi del tutto non realistica.
Dopo il tentativo renziano di impadronirsi della Costituzione, bisogna
ripartire da quei milioni di NO che non hanno espresso un voto di
conservazione, anzi. Era un NO costituente che indicava una precisa
strada politica, quella basata sul recupero dei valori della nostra
Carta. Una volta salvaguardata la Costituzione dagli attacchi, ci si
deve muovere tenendo conto delle sue immense potenzialità. E le
eventuali modifiche devono non solo essere puntuali, ma manifestarsi
come uno svolgimento della logica costituzionale
Dai dati
si evince che a votare NO sono stati soprattutto i giovani, i
disoccupati e le fasce sociali più deboli. Gli italiani hanno votato
entrando nel merito della Costituzione o sul governo Renzi? Non è stato
un voto tutto politico?
Come insegna la storia
referendaria del nostro Paese, i due fattori si intrecciano sempre. Non
può che essere così. Quello del 4 dicembre è stato un voto fortemenProfessore, innanzitutto partiamo dal governo Gentiloni. Possiamo parlare, secondo lei, di un Renzi bis?
La
composizione dell’esecutivo non lascia molti dubbi: la squadra di
governo è pressoché identica. Tuttavia mi soffermerei su un altro
aspetto per me dirimente: rispetto alla partenza, si è indebolita la
strategia renziana nel suo complesso. Con il governo Gentiloni, ne esce
spuntata.
E qual era la strategia di partenza?
In
origine, il progetto renziano prevedeva la costruzione di una nuova
forma di organizzazione intorno a se stesso, un’organizzazione
autoreferenziale e maggioritaria. Ora si è persa quell’aggressività
iniziale. Il 4 dicembre Renzi si era prefissato alcuni obiettivi che non
sono stati raggiunti. Il renzismo ne esce depotenziato.
Durante
l’assemblea del Pd, lo stesso Renzi ha ammesso la sconfitta. Però la
promozione di Maria Elena Boschi, la madrina della riforma, alla sotto
presidenza del Consiglio non è emblema di una continua tracotanza?
Ragionano
come se il NO non ci fosse stato. E continuano a perseverare nello
stesso errore perché mi pare evidente che la strategia renziana – fin
dalla personalizzazione del referendum – non sta pagando in termini di
consenso.
Quale sarebbe stato lo scenario possibile
alternativo al governo Gentiloni? Il direttore di MicroMega Paolo Flores
d’Arcais aveva persino ipotizzato un governo d’alto profilo
istituzionale sorretto da lei e il costituzionalista Gustavo
Zagrebelsky…
Era una ipotesi del tutto non realistica.
Dopo il tentativo renziano di impadronirsi della Costituzione, bisogna
ripartire da quei milioni di NO che non hanno espresso un voto di
conservazione, anzi. Era un NO costituente che indicava una precisa
strada politica, quella basata sul recupero dei valori della nostra
Carta. Una volta salvaguardata la Costituzione dagli attacchi, ci si
deve muovere tenendo conto delle sue immense potenzialità. E le
eventuali modifiche devono non solo essere puntuali, ma manifestarsi
come uno svolgimento della logica costituzionale
Dai dati
si evince che a votare NO sono stati soprattutto i giovani, i
disoccupati e le fasce sociali più deboli. Gli italiani hanno votato
entrando nel merito della Costituzione o sul governo Renzi? Non è stato
un voto tutto politico?
Come insegna la storia
referendaria del nostro Paese, i due fattori si intrecciano sempre. Non
può che essere così. Quello del 4 dicembre è stato un voto fortemente
politico, la strategia aggressiva di Renzi aveva già determinato effetti
sul piano sociale con riforme come il Jobs Act o la Buona Scuola. I
cittadini hanno bocciato e respinto l’intero disegno delle riforme
renziane.
Professore, mi faccia insistere. Per ritornare
alla cultura costituzionale ci voleva comunque un governo, che si
prendeva tra l’altro l’incombenza della nuova legge elettorale. Oppure
lei sarebbe andato subito al voto con l’incognita del giudizio della
Consulta sulla costituzionalità dell’Italicum?
La
priorità è una legge elettorale comune per Camera e Senato. Però
attenzione: la legge elettorale deve essere fatta dal Parlamento, non
dal nuovo governo. Qui è il vero nodo.
Teme quindi che il governo Gentiloni accentri molto più potere di quanto dovrebbe, mi sta dicendo questo?
Quando
parlo di cultura costituzionale mi riferisco al tema della
rappresentanza effettiva e del potere decisionale. Le persone si devono
sentire rappresentate. Si deve creare un rapporto tra legge elettorale e
cittadini in modo che questi ultimi abbiano la sensazione e la
consapevolezza di essere effettivamente rappresentati. Reintrodurrei
quindi elementi di proporzionalità nella nuova legge elettorale, tenendo
conto anche dell’esperienza tedesca.
Il Pd invece ha proposto il Mattarellum, quindi un sistema ultra maggioritario. Si va nella direzione opposta?
Alle
spalle abbiamo leggi elettorali ispirate dal cosiddetto concetto di
governabilità: la sera delle elezioni dobbiamo sapere chi sarà il
Presidente del Consiglio, questo è stato lo slogan che ci è stato
propinato per anni. Credo che i nefasti risultati siano sotto gli occhi
di tutti: lo slogan ha mostrato tutti i suoi limiti. La legge elettorale
deve dare un risultato corrispondente alla volontà politica dei
cittadini. E’ l’unico modo per contrastare l’enorme sfiducia nei
confronti delle istituzioni e la cosiddetta crisi della rappresentanza.
Quanto durerà il governo Gentiloni? Si voterà in Primavera?
Non
sono mai stato bravo a fare previsioni (ride). Innanzitutto si faccia
la legge elettorale, poi si esamineranno i vari fattori in campo, che
sono molti, dalla dimensione europea a quella sovranazionale.
Intanto
nel Paese è boom di voucher (+32%) e l’11 gennaio la Consulta dovrà
esprimersi sull’ammissibilità del referendum promosso dalla Cgil contro
il Jobs Act...
Sta cambiano la fase. L’alta affluenza al
referendum del 4 dicembre ci dimostra che i cittadini vogliono
riappropriarsi della vita pubblica. Le persone hanno mostrato una
maggiore sensibilità e volontà di essere protagonisti. Quindi ben venga
un nuovo referendum sul Jobs Act: è necessaria una redistribuzione dei
poteri e in tal senso il referendum appare uno strumento necessario di
partecipazione.
E cosa ne pensa della recente sortita di Poletti sui giovani all’estero, ha ragione chi chiede addirittura le sue dimissioni?
Frase
assolutamente inopportuna. Come inopportuna è stata la sua uscita sul
rinvio del referendum sul Jobs Act grazie ad elezioni anticipate, che
rivela la paura di perdere la consultazione popolare.
Torniamo al governo Gentiloni. Non è un assist al M5S che ora ha, di fatto, il monopolio dell’opposizione?
Questo
governo fotocopia difficilmente toglierà consensi al M5S. Ancora una
volta, Renzi sottovaluta il peso del grillismo nel Paese. Se presto si
torna al voto, il M5S è il soggetto politico che potrebbe uscire
maggioritario. La politica italiana non può non tenerne conto.
(20 dicembre 2016)te
politico, la strategia aggressiva di Renzi aveva già determinato effetti
sul piano sociale con riforme come il Jobs Act o la Buona Scuola. I
cittadini hanno bocciato e respinto l’intero disegno delle riforme
renziane.
Professore, mi faccia insistere. Per ritornare
alla cultura costituzionale ci voleva comunque un governo, che si
prendeva tra l’altro l’incombenza della nuova legge elettorale. Oppure
lei sarebbe andato subito al voto con l’incognita del giudizio della
Consulta sulla costituzionalità dell’Italicum?
La
priorità è una legge elettorale comune per Camera e Senato. Però
attenzione: la legge elettorale deve essere fatta dal Parlamento, non
dal nuovo governo. Qui è il vero nodo.
Teme quindi che il governo Gentiloni accentri molto più potere di quanto dovrebbe, mi sta dicendo questo?
Quando
parlo di cultura costituzionale mi riferisco al tema della
rappresentanza effettiva e del potere decisionale. Le persone si devono
sentire rappresentate. Si deve creare un rapporto tra legge elettorale e
cittadini in modo che questi ultimi abbiano la sensazione e la
consapevolezza di essere effettivamente rappresentati. Reintrodurrei
quindi elementi di proporzionalità nella nuova legge elettorale, tenendo
conto anche dell’esperienza tedesca.
Il Pd invece ha proposto il Mattarellum, quindi un sistema ultra maggioritario. Si va nella direzione opposta?
Alle
spalle abbiamo leggi elettorali ispirate dal cosiddetto concetto di
governabilità: la sera delle elezioni dobbiamo sapere chi sarà il
Presidente del Consiglio, questo è stato lo slogan che ci è stato
propinato per anni. Credo che i nefasti risultati siano sotto gli occhi
di tutti: lo slogan ha mostrato tutti i suoi limiti. La legge elettorale
deve dare un risultato corrispondente alla volontà politica dei
cittadini. E’ l’unico modo per contrastare l’enorme sfiducia nei
confronti delle istituzioni e la cosiddetta crisi della rappresentanza.
Quanto durerà il governo Gentiloni? Si voterà in Primavera?
Non
sono mai stato bravo a fare previsioni (ride). Innanzitutto si faccia
la legge elettorale, poi si esamineranno i vari fattori in campo, che
sono molti, dalla dimensione europea a quella sovranazionale.
Intanto
nel Paese è boom di voucher (+32%) e l’11 gennaio la Consulta dovrà
esprimersi sull’ammissibilità del referendum promosso dalla Cgil contro
il Jobs Act...
Sta cambiano la fase. L’alta affluenza al
referendum del 4 dicembre ci dimostra che i cittadini vogliono
riappropriarsi della vita pubblica. Le persone hanno mostrato una
maggiore sensibilità e volontà di essere protagonisti. Quindi ben venga
un nuovo referendum sul Jobs Act: è necessaria una redistribuzione dei
poteri e in tal senso il referendum appare uno strumento necessario di
partecipazione.
E cosa ne pensa della recente sortita di Poletti sui giovani all’estero, ha ragione chi chiede addirittura le sue dimissioni?
Frase
assolutamente inopportuna. Come inopportuna è stata la sua uscita sul
rinvio del referendum sul Jobs Act grazie ad elezioni anticipate, che
rivela la paura di perdere la consultazione popolare.
Torniamo al governo Gentiloni. Non è un assist al M5S che ora ha, di fatto, il monopolio dell’opposizione?
Questo
governo fotocopia difficilmente toglierà consensi al M5S. Ancora una
volta, Renzi sottovaluta il peso del grillismo nel Paese. Se presto si
torna al voto, il M5S è il soggetto politico che potrebbe uscire
maggioritario. La politica italiana non può non tenerne conto.
(20 dicembre 2016)
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mercoledì 21 dicembre 2016
Rodotà: “Bocciato il renzismo. Ora ripartiamo dalla Costituzione”.
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