giovedì 19 maggio 2016

Marco Pannella morto a 86 anni in una clinica romana. Una vita da radicale, le battaglie per i diritti, i digiuni e le sigarette.

Tra i suoi infiniti scioperi della fame e della sete, una quarantina dicono gli esperti, il più lungo è quello del 2011, a 81 anni suonati, per chiedere un provvedimento di amnistia per svuotare le carceri sovraffollate: tre mesi in cui perse 30 chili, la bocca impastata, il “petto da uccellino come quando ero ragazzo”.

PANNELLA Lo dovettero ricoverare in una clinica (gestita da suore che subito si “innamorarono” di lui), si mobilitarono tutti i vertici istituzionali, da Napolitano in giù, per correre al capezzale di questo vecchio corpo da lottatore, quasi indistruttibile. E lui a usare bollettini medici e immagini dal letto d’ospedale, ancora una volta, come strumento di propaganda radicale.
Giacinto Pannella detto Marco, nato in Abruzzo nel 1930, ha passato quasi tutta la vita fregandosene degli avvertimenti dei medici, digiuno dopo digiuno, sigaretta dopo sigaretta, e in fondo è persino giusto che abbia potuto chiudere la sua partita terrena nella sua casa sotto al Quirinale, lontano dai camici bianchi, fumando fino a quando ha avuto un filo d’aria nei polmoni.
Gli 86 anni li ha compiuti il 2 maggio. Di questi, oltre una sessantina li ha dedicati alla politica, con tutta l’anima e anche con tutto il corpo, fin dagli anni Cinquanta, quando da una costola di sinistra dei liberali fondò il Partito radicale insieme a Sergio Stanzani e ad un gruppo di politici e intellettuali laici che girava intorno al Mondo di Mario Pannunzio.
Sulle note del Requiem di Mozart l'annuncio della morte di Marco Pannella

Carismatico, logorroico, eretico, gentilissimo e al tempo stesso fumantino, Pannella entra alla Camera nel 1976 e ci resta fino al 1992, ma tra i protagonisti della Prima repubblica è l’unico a transitare sereno nella Seconda e persino nella Terza.
Un “sopravvissuto” della politica, che ha saputo costruire la propria longevità a colpi di referendum, satyagraha, marce non violente, alleanze a geometria variabile, prima con Berlusconi e poi nel 2008 con il nascente Pd di Veltroni, quando una pattuglia di 9 radicali tornò in Parlamento dopo una lunga astinenza. Una capacità di dialogo bipartisan che talvolta è pura strategia, anche opportunistica, ma rivela l’attitudine di un uomo che non cerca quasi mai lo scontro, piuttosto il confronto: fu uno dei primi da sinistra a discutere in pubblico con Almirante; a un congresso del Pci propose di portare fiori sulle tombe delle vittime di via Rasella, causando uno shock nei vertici comunisti. Nelle ultime settimane al suo capezzale sono arrivati personaggi antropologicamente incompatibili come Berlusconi e Furio Colombo, accomunati solo dalla stima e dall’affetto per Pannella.
Gli anni Settanta rappresentano il fulcro dei suoi successi politici. Nell’Italia delle due Chiese, cattolica e comunista, i radicali sono vere e proprie mine vaganti: laici, genuinamente liberali in economia e paladini dei diritti civili, guardano alla politica d’oltreoceano, ne imitano alcuni tratti, che Pannella e Bonino riescono a fare propri terremotando la quieta noia delle tribune politiche: bavagli, cartelli, parole d’ordine che sconvolgono e modernizzano la comunicazione politica. Mitica rimane l’irruzione del 1981 nello studio del Tg2: Pannella con due compagni radicali entra durante la diretta vestito da uomo sandwich e comincia a gridare “ladri di notizie” e “furto di informazione”.
Da metà degli anni Sessanta i radicali si battono per il divorzio, una battaglia condotta con successo fino al 1974, anno del referendum. Pannella intreccia l’attività di leader politico a quella di giornalista, in quegli anni nascono fogli divorzisti che arrivano a vendere fino a 150mila copie. Nel 1975 l’arresto per uno spinello, e l’inizio della battaglia antiproibizionista che non è mai finita. Una battaglia non certo pro domo sua, visto che quello dell’arresto è stato il terzo e ultimo spinello nella vita di Pannella. “E me lo sono persino acceso dalla parte del filtro!”, ha raccontato a Filippo Ceccarelli in un’intervista del 2010. E del resto, queste battaglie di libertà per lui vanno oltre il merito della singola questione. L’obiettivo è quello di eliminare una ad una le leggi considerate “liberticide”, e questo arriva fino al diritto dell’eutanasia. Ed è qui la vera differenza, secondo lui, con i cugini liberali: “Loro difendono le libertà di tutti dall’alto di una condizione borghese”, spiegava ai suoi fedelissimi. “Noi radicali invece siamo stati i tossici, i froci, le prostitute. Siamo gente da marciapiede che sa sporcarsi le mani…”.
Negli stessi anni la lotta contro la legislazione d’emergenza sul terrorismo, il no ai governi del compromesso storico e alla linea della fermezza di Dc e Pci sul sequestro Moro, sostenendo l’autenticità delle lettere dello statista dal carcere delle Br. La legge sull’aborto, sempre nel 1978, viene considerata insieme al successivo referendum uno dei massimi successi della politica radicale: e tuttavia la pattuglia di parlamentari guidati da Pannella non si considerò soddisfatta del testo finale della legge 194, considerato troppo poco liberale.
Nel corso della sua lunga attività politica, porta in Parlamento personaggi delle più diverse estrazioni, da Toni Negri a Leonardo Sciascia, Enzo Tortora, Ilona Staller “Cicciolina” e Domenico Modugno. Nelle varie associazioni che gravitano attorno ai radicali spuntano ex terroristi rossi come Sergio D’Elia e i neri Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, colpevoli della strage alla stazione di Bologna del 1980.
Dagli anni Ottanta Pannella si concentra su alcuni temi che segneranno la sua carriera politica fino alla fine: le condizioni di vita nelle carceri, il no alla pena di morte, l’impegno internazionale dalla ex Jugoslavia all’Iraq, dalla Cecenia alla Siria a Israele fino ai più remoti angoli del mondo; la lotta contro la partitocrazia e il finanziamento pubblico dei partiti. Battaglie che si incrociano con la fine della Prima repubblica e i referendum Segni per il maggioritario, sostenuti dai radicali, da tempo ispiratori di un sistema politico all’americana e tuttavia un po’ naufraghi nel bipolarismo all’italiana post Tangentopoli. Negli anni dell’esordio politico di Berlusconi, Pannella stringe un patto con lui: chiede di essere ministro degli Esteri, poi ripiega sulla nomina di Emma Bonino a Commissario europeo. La rivoluzione liberale di Forza Italia si rivela ben presto un’illusione e così Pannella e Bonino decidono di correre in proprio, con il clamoroso successo alle europee del 1999 della Lista Bonino, che ottiene l’8,5% e in quel momento è la terza forza politica in Italia dopo Forza Italia e Ds. Nel 2006 i radicali spostano lo sguardo verso il centrosinistra, danno vita insieme ai socialisti alla Rosa nel pugno, si schierano con la coalizione guidata da Romano Prodi e la Bonino diventa ministro per le Politiche comunitarie. Pannella, candidato al Senato, non viene eletto perché la Rnp non raggiunge la soglia di sbarramento. Nel 2008, dopo una trattativa condotta con Goffredo Bettini, i radicali entrano come indipendenti nelle liste del neonato Pd di Veltroni: 6 i deputati eletti e 3 i senatori, tra cui la Bonino. In questo caso Pannella non entra neppure in lista. “Un veto su di me”, protesta lui. I democratici replicano imbarazzati: “Hai già fatto troppe legislature”. E del resto, già nel 2007 era stata respinta la sua candidatura alle primarie fondative del partito, quelle vinte da Veltroni contro Rosy Bindi ed Enrico Letta. Pannella resta comunque europarlamentare, carica che ricopre a più riprese dal 1979 al 2009.
Negli anni Duemila, accanto alla storica battaglia sulle carceri, che resta sempre in cima all’agenda di Pannella, i radicali lanciano una battaglia referendaria insieme all’Associazione Luca Coscioni contro la legge sulla fecondazione assistita. Nonostante l’appoggio di altri partiti come i Ds, alla fine il referendum del 2005 non raggiunge il quorum, grazie alla forte campagna astensionista condotta dalla Cei di Camillo Ruini: alle urne si presenta alle urne solo il 25% degli aventi diritto. Due anni dopo, storico successo quando l’Assemblea generale dell’Onu ratifica la moratoria universale sulla pena di morte, una storica battaglia condotta dall’associazione “Nessuno tocchi Caino” e dal partito radicale transnazionale. Ultima in ordine cronologico, la battaglia sempre all’Onu per il diritto alla conoscenza come “diritto umano”, una campagna in cui Pannella torna ai capisaldi del pensiero liberale di Einaudi.
L’impegno internazionale è di antica data. Pannella sviluppa un intenso dialogo con Aldo Capitini sul significato e le forme della nonviolenza, uno dei capisaldi della sua lotta politica. Nel 1968 era stato imprigionato a Sofia per aver protestato contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Nel 1972 contribuisce a ottenere, anche con uno sciopero della fame, la legalizzazione dell'obiezione di coscienza. Un impegno, quella pacifista, che si manifesta anche nel 2003 con la proposta di esilio per Saddam Hussein per scongiurare l’intervento americano in Iraq. Proposta approvata dal Parlamento e dal governo italiano, ma che poi non ebbe attuazione. L’amicizia col Dalai Lama viene suggellata da un incontro molto commovente a Roma nel 2014, tra lacrime, battute e abbracci. “C’è un detto popolare in Italia, ma anche in Tibet: l’erba cattiva non muore mai”, dice Marco. “Allora anche io sono un’erba cattiva” – risponde il Dalai Lama-. “Noi due abbiamo questa connessione speciale, perché siamo tutti e due erbe cattive”. Pannella invece si schiera in favore degli interventi militari in Kosovo (1999) e Afghanistan (2001): in quell’occasione alcuni gruppi pacifisti gli intimano di non usare più l’immagine del Mahatma Gandhi e lui replica: “Io sono non violento, non mi sono mai definito pacifista a oltranza”.
Gli ultimi anni, nonostante Bonino diventi ministro degli Esteri nel governo Letta nel 2013, sono segnati da un certo appannamento delle battaglie radicali: la raccolta firme per 12 nuovi referendum (dal reato di clandestinità all’Otto per mille, dal no al carcere le droghe leggere all’abolizione dei rimborsi elettorali ai partiti) non arriva alla soglia minima di 500mila. Nel 2014 i radicali non raccolgono le firme necessarie per presentarsi alle europee. Sono anni in cui tornano ad acuirsi i dissidi interni, e Marco nel 2015 entra in rotta di collisione con la sua amica e alleata di sempre, Emma Bonino. “Lei non è più radicale, lavora molto ma mai con noi”, dice l’anziano leader nella consueta intervista su Radio radicale con Massimo Bordin. “Il suo problema è continuare a far parte del jet-set internazionale”. Lei replica addolorata: “Mi fa male, io non sono di legno…”. Due vite parallele che a un certo punto si sono allontanate. Lei ministro, lui sempre al partito e alla radio nella storica sede di Torre Argentina, la coda di cavallo ingiallita dal fumo e dagli anni, la forza e la voglia di parlare ancora e sempre di politica. Ma anche negli ultimi giorni, “Emma”, pur da lontano, ha continuano a seguire e ad informarsi sulle condizioni di “Marco”. Con discrezione.
I segretari dei radicali si alternano, da Rita Bernardini a Marco Staderini. Un altro figlioccio prediletto come Daniele Capezzone nel frattempo se n’è andato sbattendo la porta per correre da Berlusconi, senza riuscire a uccidere il “padre”. E del resto, non è un caso che il partito radicale nei decenni sia stato ribattezzato “partito viscerale”, per via di quell’aria da famigliona litigiosa, dove ci si ama, ci si sposa e ci si separa. E al centro c’è sempre lui, Marco, capace di grandi slanci di generosità verso i tanti figli e fratelli ma anche di ruvidissime scomuniche. Pannella come “Crono”, il padre che divora i figli, l’hanno raccontato. Ma anche come figlio ribelle, fratello indisciplinato, puer aeternus della politica e della vita. Un ragazzone che negli ultimi anni ha deciso di ritornare a fare il capellone, nonostante i ripetuti inviti a lasciar perdere della compagna e della Bonino. Un capellone con la coda, come quando da giovane girava vestito da Amleto, con il dolcevita nero e un pendaglio con la scritta “Make love not war”. Un capellone con la barba però sempre tagliata alla perfezione, una sua “fissa”. “Bisogna curare la barba, è come il giardino per gli inglesi, è un modo per porti verso il mondo in modo rispettoso”, ripeteva ai suoi giovani collaboratori. In qualche intervista recente, si è divertito a raccontare le tante definizioni che questo look aveva provocato: Pirata, Capo Indiano, gentiluomo del Settecento. O più semplicemente “Zio Marco”, perché di fatto nonno non ci si è mai sentito.
Accanto a lui, anche nelle ultime settimane, nell’appartamento di via della Panetteria, i fedelissimi di sempre, a partire dalla compagna, la ginecologa Mirella Parachini, che gli sta accanto dalla metà degli anni Settanta, Rita Bernardini e una coppia di ragazzi, Matteo e Laura, lui è stato l’ultimo collaboratore a Bruxelles. A loro il compito di accudirlo, e filtrare l’agenda dei tanti che, a partire da Renzi e Berlusconi, negli ultimi giorni hanno chiesto di vederlo. “Ce la faremo, non dovete essere tristi”, ha sussurrato dal letto a loro, e ai tanti altri ragazzi che sono andati a trovarlo. “Ce la faremo anche per tutti quelli che rischiano di essere aggrediti dalla tristezza”. Mentre parlava, il dito indicava un cerchio, come spesso usava fare. Un cerchio che sta a indicare “tutti insieme”.
Così come in politica, anche nel privato Pannella non si è dato limiti né confini. Ha confessato di aver amato alcuni uomini, e di aver avuto un figlio molti anni fa da una donna sposata di cui non ha più avuto notizie. Dopo aver giocato con “sorella morte” durante i tanti digiuni, e in particolare quello, lunghissimo, da aprile a luglio 2011, nel 2014 viene colpito da un aneurisma dell’aorta addominale. Viene operato e salvato e poche ore dopo ricomincia a fumare nella stanza d’ospedale. Decide di riprendere lo sciopero della sete, ma si ferma dopo una telefonata di Papa Francesco. Da quel momento, lontano dai riflettori, i due tumori che lo perseguitano da tempo si fanno strada dentro il suo fisico da combattente. Lui reagisce “alla Pannella”, fino all’ultimo respiro, una Marlboro dopo l’altra.
E del resto, quel corpo slanciato e imponente, smagrito fino a mostrare solo l’azzurro intenso degli occhi nei lunghi digiuni, è il protagonista assoluto di questa lunghissima vita politica. Una vita politica in cui –forse non troppo paradossalmente- Pannella ha avuto un solo incarico di guida istituzionale, quando nel 1992 per 100 giorni guidò la circoscrizione di Roma-Ostia.
Della morte e della sua stessa longevità politica ha parlato in diverse occasioni, come se i due percorsi- la vita terrena e quella politica- non potessero far altro che correre sullo stesso binario. “La mia vita è la storia del partito”, ha spiegato. Una volta l’ha messa giù con una citazione cinematografica, cosa assai rara per lui che amava parlare solo di politica: “Avete presente il finale di Luci della ribalta, quando Calvero dice: ‘Non vi preoccupate sono morto tante volte’? Ecco, io mi limito a dire che tante volte sono stato proclamato morto…”. Da ragazzo tentò persino il suicidio. Poi, a ottant’anni, nella già citata intervista a Ceccarelli, spiegò la sua concezione buddista della “compresenza dei morti e dei viventi”. “Io spero di accogliere la morte con grande familiarità. Spero che arrivi di notte, e io possa darle il benvenuto, felice di trovarmi così, ehi vieni, vieni qui…”.

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