venerdì 27 maggio 2016

PD. Pier Luigi Bersani denuncia il sistema Renzi: "Aggiusta le cose ai 10-15 che contano nel capitalismo, in cambio ottiene applausi".

Per Matteo Renzi l'Italia ha ripreso la marcia, per Pier Luigi Bersani "gran parte della gente con quel segno più non ci campa. Consiglio di mostrarne consapevolezza". In un'intervista al Fatto Quotidiano l'ex segretario del Partito Democratico affila la spada contro il premier: "È impressionante che l'ossessione sia sempre quella di vincere, mai di risolvere". La questione vera, secondo Bersani, è trovare una soluzione a quello che manca rispetto al 2008: 200 miliardi di Pil e 6 milioni di posti di lavoro. "Dubito che sia facile rimettere le cose a posto".


Bersani traccia un bilancio amaro del Jobs Act.
BERSANI"Non avremo lavoro vero se non affrontiamo la questione degli investimenti. Oggi abbiamo meno contratti a tempo indeterminato che nel 2014. In compenso va forte il voucher, un mini-job all'italiana che accentua la precarizzazione del lavoro. Purtroppo in Italia piacciono norme che consentono comportamenti opportunistici" [...] "Il Jobs act ci ha dato l'amara conferma che il problema non era l'articolo 18. L'Idea che ciò che fa bene all'impresa fa bene all'Italia è scivolosa. La Fiat non può dirci che cosa dobbiamo fare e pagare le tasse all'estero. Dia consigli dove paga le tasse. Vorrei vedere che cosa direbbe la cancelliera Merkel se Marchionne pagasse le tasse all'estero".
C'è anche una denuncia del "sistema Renzi", una rete di favori con i potenti e stampa compiacente.
"I 10 o 15 che contano nel capitalismo italiano si stanno aggiustando le cose loro, chiedono solo che il Governo sia amichevole, e se capita lo applaudono e si fanno applaudire. Poi hanno i giornali e c'è lo scambio, succedono cose che non sono potabili".
Italia-Europa, Bersani si sarebbe mosso diversamente.
"Flessibilità? Ce ne vorrebbe tanta, ma spesso sbagliamo la mira, per esempio nel cercare un rapporto diciamo così maschio con l'Europa. Il governatore della Bundesbank Jens Weidmann ha torto su tutto fuorché quando afferma che non possiamo dire all'Europa che i nostri bilanci ce li facciamo noi e poi chiedere mutualità sul debito pubblico. Fa bene il Governo a battere i pugni sul tavolo a Bruxelles, ma anziché sulla flessibilità da 2-3 miliardi di deficit dovevamo farlo sulle banche".
Il quadro che dipinge l'ex segretario Pd è piuttosto fosco.

"Abbiamo perso pezzi di industria. Da 10 anni siamo sotto la media europea del Pil pro capite. La produttività non cresce. Si allarga la forbice dei redditi fra ricchi e poveri, nord e sud, vecchi e giovani. Cresciamo la metà dell'Europa. Le banche sono indotte a non mettersi a disposizione dell'industria ma a servire loro stesse, e a drenare il risparmio di cittadini che, tra l'altro, si sentono indifesi dalle prepotenze. Pare che serva la laurea in economia per entrare in banca. Il nostro sistema industriale non vede chiara la prospettiva, si indebita solo a breve termine, quindi non investe sul futuro. I consumi balbettano, la spesa alimentare si contrae". [...] "Decidiamo il ruolo futuro dell'Italia. Il Made in Italy non può essere solo la moda o il cibo di qualità. È un saper fare in tutti i settori. Non possiamo certo rinunciare alla siderurgia o alla chimica o all'automotive. Bisogna pensare a cosa fare in 10 anni, non in 10 mesi. Il governo chiami i sindacati, le imprese, le banche e proponga un patto per il lavoro e la produttività".

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