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martedì 24 maggio 2016
austria Austria - 31.000 voti dal baratro
global project
Trentuno mila voti sono davvero una cifra microscopica, soprattutto se inserita all’interno di contesti elettorali non locali. E’ questo il dato definitivo che sancisce la sconfitta, al secondo turno delle presidenziali austriache, di Norbert Hofer, candidato del Partito della Libertà (Fpö). Ad uscire vincitore dalla competizione elettorale, a detta di molti la più importante e tormentata del Paese, è stato Alexander Van der Bellen, il settantunenne economista viennese sostenuto dal partito dei Verdi.
Quello che all’apparenza sembra un dato numerico, utile solo agli appassionati della statistica politica, contiene un significato importantissimo, perché segna la distanza che ha separato l’Austria, e con essa tutto il vecchio continente, da un enorme precipizio. Quel sospiro di sollievo comune che ha accompagnato la risicata vittoria di Van der Bellen, fino a pochi giorni fa sconosciuto ai più, fa emergere la sensazione di un vero e proprio scampato pericolo. Una sensazione che si mischia con il godimento nel vedere stampata sul volto la delusione di Hofer, che si è visto sfuggire di mano una vittoria che tutti i sondaggi davano pressoché per certa.
Al di là di questo sano sentimento di odio e rivalsa nei confronti di Hofer e di chiunque fondi il proprio agire politico sulla xenofobia, è difficile ipotizzare nuovi corsi politici a partire da un sospiro di sollievo. Al di là della figura di Van der Bellen, ecologista ed ambientalista convinto, che più volte si espresso pubblicamente contro il TTIP, sulla sua vittoria pesa politicamente il ruolo del grande sbarramento bi-partisan, già avvenuto in Francia durante le elezioni regionali dello scorso dicembre nei confronti del Front National.
E’ difficile altresì cantare vittoria nel momento in cui un partito di estrema destra, fondato nel dopoguerra da diversi ex sostenitori del Nazismo, si affermi come principale forza politica nel cuore dell’Europa. Il risultato del Fpö, che al primo turno ha ottenuto i 35,1% dei voti e ieri è uscito sconfitto con il 49,65%, è un pugno nello stomaco per chiunque abbia una visione del mondo minimamente aperta e tollerante. Le urne del 24 aprile scorso hanno sancito una sconfitta epocale per i due partiti che storicamente hanno segnato la vita politica austriaca, il Partito Socialdemocratico ed il Partito Popolare (che hanno preso rispettivamente l’11,3 e l’11,1 per cento), e che hanno visto sgretolarsi il Governo di Grosse Koalition proprio in seguito ai risultati elettorali. Dal canto suo il partito ultra-nazionalista ha ottenuto un successo addirittura impensabile anche ai tempi di Jörg Haider, che in una competizione nazionale aveva ottenuto come massima affermazione il 26,91%, nel corso delle elezioni legislative del 1999.
E’ innegabile che il successo dell’Fpö è stato in gran parte favorito dal clima politico instaurato in Austria dal governo di Grosse Koalition sul tema dell’immigrazione, con la reintroduzione, avvenuta ad inizio 2016, di una barriera fisica al confine con la Slovenia ed il successivo sbarramento del Burgerland, verso l’Ungheria, e del Brennero, verso l’Italia. Il Partito delle Libertà è riuscito a cavalcare bene questo clima, a trasformare la retorica contro l’invasione in odio etnico manifestatosi in consenso politico. La campagna elettorale di Hofer è stata interamente incentrata sulla chiusura totale delle frontiere, sullo slogan, ormai caro a tutta le destre populiste e xenofobe europee, di “Austria agli austriaci” e sull’anti-europeismo spinto. A rendere il tutto ancora più orrido ci sono alcune esternazioni fatte dal leader ultra-nazionalista di estremo compiacimento nei confronti del nazismo. L’ultima di queste è datata lo scorso 8 maggio, in piena campagna elettorale, quando Hofer ha dichiarato che la Giornata della Vittoria, in cui in tutta Europa si celebra il crollo del nazismo, non può essere considerata in giorno di festa. Al di là degli inquietanti elementi nostalgici, l’oltranzismo hoferiano ha pagato non solamente in termini di consenso elettorale, ma anche in termini di sostanza politica, innescando quella rincorsa a destra da parte delle forze governative austriache che è stata decisiva per mettere definitivamente in crisi Shengen ed accelerare il processo di fortificazione della Fortezza Europa.
Le elezioni austriache ed il quadro politico, sociale e culturale che queste hanno palesato sono la dimostrazione più evidente che le migrazioni verso l’Europa rappresentano una meta-questione, attorno alla quale nel continente si sta definendo un campo di forze sempre più polarizzato, tra barbarie ed umanità. Se il campo della barbarie affina le sue armi e si ricompatta attorno al vessillo nazionalista e ad un’idea mono-etnica di comunità, il campo dell’umanità ha necessità di costruire discorso e forza politica non provando a restaurare l’Europa di Shengen, ma sulla base di un nuovo modello di cittadinanza europea. Una cittadinanza, sociale e politica, con un impianto redistributivo, in termini di ricchezza economica e di decisionalità effettuale, e con una genesi interna allo spazio del conflitto e non a quello della mediazione al ribasso.
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