domenica 22 maggio 2016

Strike Mansour, talebani nuovamente senza leader

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Il Pentagono afferma euforicamente che il colpo inferto da un proprio drone all’altezza della cittadina di Ahmal Wal, sudovest pakistano vicino al confine afghano, sia l’azione più importante messa a segno dai tempi di Abboddabad, dove fra il 1° e 2 maggio 2011 venne fatto fuori Osama bin Laden. Il missile andato a segno stanotte è stato lanciato contro il mullah Mansour, dall’estate scorsa eletto nuovo capo dei Taliban afghani. Una successione sofferta, con l’ingrato compito di rimpiazzare la mitica leadership del mullah Omar, il combattente monocolo che gravava come un totem sulla rissosa galassia dei turbanti afghani. La sua dipartita, avvenuta nel 2013 per malattia, era stata volutamente tenuta segreta perché la guerriglia evitasse una disgregante lotta per il potere. Che pure c’è stata fra i sostenitori appunto di Mansour e chi voleva come guida Yaqub, il figlio di Omar. Ma ai primi dell’agosto scorso, un’esplosione a Quetta si portò via Yaqub, così l’investitura di Mansour non ebbe ostacoli avvicinandogli anche Siraj Haqqani, l’epigono del terribile Jalaluddin, defunto patriarca dell’omonimo network. Clan di nuovo compatti? Solo in parte. Per farsi accettare da clan in ampio fermento, che avevano visto l’alzata di testa degli irriducibili Tehreek-e Taliban, attivi a suon di stragi di bambini (scuola militare di Peshawar e parco giochi di Lahore), e la presenza reclutativa dell’Isis nell’Area tribale federale, Mansour aveva compiuto un’operazione diplomatica. S’era recato nella provincia di Kandahar a parlare con tre figure guida della spiritualità locale. Fra questi il mullah Razzaq, che ne aveva osteggiato la candidatura, si presentava come l’ostacolo maggiore.

Durante quel viaggio c’era anche stato un attentato andato a vuoto. Alla fine, compromesso dopo compromesso, la situazione sembrava stabilizzata a suo favore. Ma indubbiamente l’ala oltranzista dei Talib gli aveva imposto la linea dura. Perché da settembre a Kunduz e per tutto l’inverso e nuovamente a primavera a Kabul, i turbanti neri non avevano minimamente fatto scemare l’offensiva contro l’esercito di Ghani e le truppe americane del Resolute Support. Le trattative a lungo cercate dal governo afghano, ora in sintonia col pakistano Sharif, verso le quali in passati scenari la stessa Shura di Quetta e il mullah Omar s’erano mostrati disponibili, hanno trovato una netta chiusura nell’attuale establishment talebano. Del resto i successi militari, l’espansione della presenza in moltissime province da loro direttamente controllate, dalla fortezza Kandahar all’oppiacea Helmand oppure soggette a continue scorribande, peraltro vincenti e umilianti su AFN e Us Army, portano l’ala intransigente a valutare tutta la debolezza dello stato fantoccio di Kabul sostenuto dall’amministrazione statunitense. L’attuale operazione che fa sorridere il Pentagono, ordinata proprio da un uscente Obama, sembra più un’azione di propaganda per le prossime presidenziali, che non lo riguardano ma coinvolgono i Democratici a sostegno di Hillary. Nella lotta coi Repubblicani di Trump a chi è più duro ed efficace dice all’elettore: sappiamo piegare il fondamentalismo, dopo bin Laden, Mansour. Ma tutto ritorna a quel passato di guerra, lanciato da George W. Bush che dal 2001 ha solo infiammato maggiormente il piccolo e grande Medio Oriente. E come i precedenti mostrano, dopo un capo ne arriva un altro. 

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