Riflettere sui possibili impatti del TTIP (Trattato transatlantico per la liberalizzazione degli scambi e degli investimenti tra Europa e Stati uniti) sulla salute pubblica da un punto di vista epidemiologico, come fanno gli autori dell’articolo pubblicato in questo numero di E&P1 è utile non soltanto a livello scientifico, ma anche a livello politico. Gli autori, con il rigore e il metodo propri di uno studio scientifico, verificano il testo attualmente conosciuto dell’accordo, almeno per quanto riguarda la proposta europea, e ne valutano le implicazioni a livello più ampio rispetto a quello commerciale.
È questo un “lusso” che le politiche commerciali non consentono. Nel TTIP, come nei testi negoziali dell’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization, WTO), i diritti, la protezione ambientale e quella sociale sono considerati off topic, cioè assolutamente fuori tema rispetto al perimetro delle trattative. LA WTO consente di utilizzare le barriere commerciali e non tariffarie a scopo difensivo, ma solo quando si presentano eventi inattesi, dalle proporzioni catastrofiche. Al momento, nel TTIP queste clausole di salvaguardia non sono previste. Anzi: come messo in luce dagli autori dello studio, si introduce il criterio della consistenza scientifica come unico paletto per le eventuali correzioni che si volessero apportare ai flussi commerciali per interessi più generali, di tutela della salute pubblica, della sicurezza sociale, alimentare, ambientale.
E sappiamo che in molti casi – anche molto dolorosi, come quelli delle contaminazioni da amianto, dell’impatto di alcuni ormoni introdotti nell’alimentazione animale sul sistema endocrino dell’umano carnivoro, del potenziale cancerogeno di alcuni coloranti e conservanti anche ad uso alimentare, della sicurezza di alcuni farmaci – anche la comunità scientifica delle due sponde dell’Atlantico fa fatica a trovare un consenso o a imporlo agli organismi regolatori, pressati come siamo dagli interessi economici connessi a queste produzioni.
L’ultima pagina del negoziato in ordine cronologico, che ci induce a preoccuparci delle valutazioni espresse dagli autori dello studio, è legata al capitolo della cooperazione regolatoria che si dovrebbe stabilire tra le due sponde dell’oceano con l’approvazione del TTIP. Circa l’80% dei cosiddetti benefici attesi dal trattato (modesto, in realtà, perché al massimo dell’abbattimento di tutte le attuali protezioni porterebbe a un aumento dello 0,05% del PIL europeo all’anno spalmato sui dieci anni successivi all’approvazione del Trattato da parte del Parlamento europeo e del Congresso USA) deriverebbe dalla cosiddetta armonizzazione delle regole tra USA e UE.
Il 21 marzo scorso la Commissione europea, messa sotto pressione dall’opinione pubblica, ma anche dai molti esperti della tematica, ha presentato una nuova proposta sulla collaborazione transatlantica per la definizione delle regole di produzione e distribuzione di prodotti e servizi provenienti o scambiati da USA e UE. Le organizzazioni dei consumatori, della società civile, gli esperti dei meccanismi regolatori e i sindacati, in un documento congiunto, hanno sollevato ben cinque punti critici rispetto al documento, che conferma quanto problematico sia anteporre la convenienza commerciale, come fa il testo legale del TTIP nel suo complesso, a una cornice più generale di tutela dei diritti e della democrazia. Ne citerò solo alcuni.
Innanzitutto la proposta rende possibile per gli Stati uniti visionare anticipatamente ogni eventuale normativa o meccanismo di regolazione che possa influenzare il commercio internazionale e richiedere emendamenti ben prima del Consiglio o del Parlamento europeo, permettendo loro di esercitare un’influenza indebita in una fase iniziale del processo decisionale. È evidente come tale approccio possa avere un impatto negativo sulla regolamentazione nell’interesse pubblico e danneggi la democrazia. La proposta prevede, inoltre, la creazione di grandi gruppi di lavoro consultivi rispetto alle normative che comprendono le aziende, dotati di poteri capaci di influenzare il meccanismo legislativo e, di fatto, istituzionalizzando “all’americana” l’attività di lobbying. La nuova proposta identifica chiaramente la Commissione europea e le autorità regolatorie degli Stati uniti come driver e attori responsabili per la cooperazione normativa transatlantica. In questo modo si indebolisce di fatto, sul versante europeo, il ruolo normativo degli stati membri, si sancisce una presa di potere inaccettabile dalla Commissione che indebolisce anche il ruolo del Parlamento europeo, responsabile oggi delle direttive d’armonizzazione comunitaria. Si costituisce, così, una sede permanente transatlantica di “cucina” delle regole che si traduce in modo molto evidente in un indebolimento generale dei contenuti politici, in senso alto, dell’attività regolatoria e legislativa, che ne sottrae il contenuto democratico, partecipato dalla comunità scientifica come dai cittadini e dalle loro organizzazioni.
Per questo, come esperti, ma soprattutto come promotori della Campagna Stop TTIP Italia,2 salutiamo con grande apprezzamento il contributo offerto dall’articolo presente, per sollevare nel Paese un dibattito adeguato alla portata dei cambiamenti normativi, e non solo economici, che un trattato come il TTIP introdurrebbe.
Conflitti di interesse dichiarati: l’autrice è una dei portavoce della Campagna Stop TTIP Italia.
L’articolo è stato pubblicato dalla rivista epiprev.it
Bibliografia
De Vogli R, Renzetti N. Il potenziale impatto del partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) sulla salute pubblica. Epidemiol Prev 2016:40(2): 97-105.
www.stop-ttip-italia.net
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