sabato 28 maggio 2016

Haibatullah, l’uomo della fede

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Di lui dicono sia un uomo saggio (alem) e religioso che sfiora un rigore cenobitico. E’ stato insegnante di Ḥadīth e Corano con cui ha guadagnato il titolo di sheikh-ul Ḥadīth. E’ inoltre un profondo conoscitore dei vincoli giurisprudenziali da applicare alle leggi coraniche. Per volere del mullah Omar ha diretto i tribunali che il movimento talebano stabilisce non solo nelle aree controllate da anni, da Kandahar a Logar, ma anche nelle province dove i turbanti setacciano il territorio, si rapportano alla gente, tenendo continuamente sotto tiro l’esercito afghano. Di Haibatullah Akhundzada, così si chiama il nuovo capo attorno al quale si sono stretti tutti i clan Taliban, ci son poche immagini. La più nota – turbante bianco, barba folta, che qualcuno ha confuso con quella di Haqqani jr – pare anche essere una delle poche e di fonte ufficiale. La fornisce il social media dei cosiddetti Emirati Islamici, perché il chierico rifiuta di farsi ritrarre, un po’ per i costumi austeri, ma anche per garantirsi sicurezza, stesso motivo per il quale non usa telefoni cellulari. L’esempio del tiro a bersaglio accaduto al predecessore Mansour ne avvalora la scelta: le Intelligence riservano ai leader nemici trattamenti esplosivi letali, e quest’ultimi cercano ogni precauzione per allungarsi la vita. Finché gli è possibile.
La Shura di Quetta, consultata subito dopo il colpo con cui un drone statunitense aveva eliminato Mansour, ha scelto come leader il chierico che il mullah Omar aveva voluto a guida della Corte militare di Kabul durante il dominio talebano per controllare i costumi e le potenziali violazioni della Shari’a. A lui hanno detto sì anche Yaqub, figlio del mullah Omar, e Siraj Haqqani, gli intransigentissimi del casato talebano. Questo ha evitato l’impasse delle divisioni dell’estate precedente, quando s’è dovuta ufficializzare la guida del movimento che aveva avuto comunque in Mansour un protagonista in tutta la fase in cui Omar era deceduto, ma non si divulgava la notizia. La coppia dissidente mirava ad accaparrarsi una leadership che ha prima premiato uno spregiudicato tattico militare, e ora un intransigente religioso e dei costumi, due mosse che voltano totalmente le spalle alle avances colloquiali della presidenza Ghani. Eppure fra Mansour e Haibatullah le differenze sono sostanziali. Di Mansour si dice fosse un uomo forte, poco propenso ad accettare il dissenso (Haqqani e Yaqub lo sapevano e per questo l’osteggiavano) ma abile nell’organizzare e nell’amministrare ogni cosa. Talmente abile nel ritagliarsi, come qualsiasi signore della guerra, un campo d’affari personali col traffico della droga e altri arricchimenti.
Il successore sembra politicamente più debole, ma il carattere calmo e riflessivo e la propensione all’ascolto lo mettono in buona luce con tutti i membri della Shura. Per lui una garanzia di buona conduzione risiede nel rigore con cui affronta la vita che deve servire da monito e insegnamento ai seguaci. Differentemente da Mansour, attorniato dal clan tribale, Haibatullah è scevro da nepotismo e non è un caso che la sua tribù, i Nurzai, sia stata fra gli oppositori del dibattuto precedente leader e di quella che gli oppositori definivano la sua cricca. Eppure diversi esperti del movimento talebano non credono che il cambio della guida produrrà una diminuzione della linea iper offensiva mostrata negli ultimi mesi che ha esaltato il senso d’appartenenza dei turbanti e la convinzione di poter tornare al potere. Comunque di Haibatullah si conosce un passato senso morale severo contro quei comandanti talib che facevano di testa propria, percuotendo immotivatamente i prigionieri o provocando un alto numero di vittime fra i civili. A costoro la Corte di Kabul comminava pene. Il tema della morte diffusa fra la popolazione è tornato alla ribalta coi dati Unama del 2015 che evidenziano il più alto numero di vittime civili dai tempi dell’Enduring Freedom. Sono state 11.000, uno su quattro era un bambino.
Forse possono essere più temute le restrizioni in fatto di abbigliamento e costumi: lunghezza delle barbe, divieto di ascolto della musica, rispetto alla tolleranza (i duri e puri lo considerano lassismo) avvenuta negli ultimi anni. Però certi editti, su cui ci sarà stata l’approvazione di Haibatullah quale autorevole chierico, avevano consentito l’educazione scolastica femminile, seppure sotto il controllo degli studenti coranici. Sorprende conoscere - ne parla la rete dei ricercatori geopolitici afghani - che finora Haibatullah non rientrava nella lista dei terroristi stilata dalla Cia. Sappiamo come i Servizi statunitensi diano patenti di terrorismo assolutamente soggettive, forse era una dimenticanza o forse non trattandosi d’un soggetto impegnato sul versante militare adottavano una qualche tolleranza. Chissà se il barbuto resterà fuori dal mirino, perché magari i tessitori del disegno dei colloqui di pace lo testeranno, prima d’inserirlo nell’elenco dei target. Certo è che la nuova fase della diplomazia armata in quel Paese riprende immediatamente il suo corso. Perché lanciare e sostenere una strategia della pace e incrementare la guerra selettiva mirata, sebbene sia una tattica consolidata dell’imperialismo non porta normalmente buoni frutti. Anche quelli propagandistici verso le popolazioni che s’intende controllare. Interrogati tuttora molti afghani guardano all’Us Army come nemici e occupanti e ai talib come resistenti e questo è frutto della continuità della dottrina Bush, datata appunto 2001. 

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