mercoledì 25 maggio 2016

Classe Operaia. Braccianti Sikh trattati come schiavi. Ispezione dei carabinieri alla cooperativa "Centro Lazio".

La presidente della Commissione: "Siamo al limite della decenza umana". Riscontrati clima di paura e ritmi di lavoro massacranti per tre euro l'ora. Ma la coop nel 2014 ha fatturato oltre 13 milioni di euro.

L'Espresso di Floriana Bulfon e Francesca Sironi
Braccianti Sikh trattati come schiavi. Ispezione dei carabinieri alla cooperativa Centro Lazio "Centro Lazio cura la qualità della produzione, della distribuzione ed il rapporto con la propria clientela in modo minuzioso e capillare”, scrivono per presentarsi. Ma non cura allo stesso modo, forse, la dignità dei suoi lavoratori. I loro diritti fondamentali. Almeno questo è ciò che emerge dall'ispezione compiuta martedì 24 maggio dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sugli infortuni sul lavoro, insieme ai Carabinieri di Latina e agli agenti dei Nuclei Antisofisticazioni e Sanità, nelle serre fitte della cooperativa “Centro Lazio”, appunto, 150 ettari di coltivazioni nell'Agro Pontino, “una delle più grandi realtà del territorio”.


Pomodori, zucchine, melanzane, “alta qualità”. Raccolta da cento braccianti, soprattutto indiani, tutti regolari, all'apparenza. Ma all'apparenza. Perché dalla loro certificazione in busta paga risulterebbero solo 12, 15 ore di giorni lavorativi al mese. Contro i 20 realizzati mediamente, sabato e domeniche comprese. Lo stipendio, così, scivola velocemente: dai 9 euro del contratto nazionale ai 3,5 o meno all'ora che prendono veramente. E non solo: dalle loro storie, raccolte grazie a un interprete sul posto, è emerso un clima ancora più buio.

«Durante l'ispezione, è risultata evidente la presenza attiva dei caporali capaci di determinare un clima di paura per le possibili ritorsioni, compresa ovviamente la cessazione del lavoro, per quanti osano ribellarsi», chiarisce la nota: «Si sono presentate evidenti irregolarità, come ritmi di lavoro di circa 12 ore al giorno per sei giorni e mezzo alla settimana». Il tutto con il cartellino da timbrare, con tanto di caposquadra all'ingresso del campo pronto a registrare l'orario. Le macchinette, che si potrebbero rivelare preziose per documentare le irregolarità, sono state però tarate in modo da cancellare le date ogni due giorni.

«Ho provato vergogna. In questi mesi abbiamo studiato e lavorato sulle condizioni del caporalato, in particolare nel settore dell'agricoltura, ma quello che abbiamo ascoltato oggi mi ha fatto vergognare», racconta la presidente della Commissione, Camilla Fabbri: «Siamo al limite della decenza umana. Vi è assenza di diritti e non è riconosciuta la dignità». La maggior parte dei braccianti intervistati sono indiani, appartenenti alla comunità Sikh. La stessa che dal 9 aprile si sta ribellando, con scioperi e vertenze continue, dopo il secondo suicidio di un ragazzo di 24 anni sfociato in assemblee ogni domenica e una manifestazione a Latina il 18 aprile.

«Questa è la prima ispezione approfondita. È un passo importante: gli agenti sono rimasti 4 ore e mezzo, hanno bloccato i campi, è stato impossibile ai datori di lavoro far scappare i braccianti o prepararli a dare risposte concordate, come al solito. E loro si sono fidati, hanno detto la verità», spiegano dalla cooperativa inMigrazione, che ha aiutato a portare avanti la denuncia, insieme ai rappresentanti della comunità. «Acquisita la documentazione studieranno e verificheremo la veridicità e la corrispondenza tra le dichiarazioni dei lavoratori e quelle della coop», precisa Fabbri: «Laddove emergano delle anomalie il prossimo passo sarà quello di audire l'azienda in senato». Fra i raccoglitori, anche donne. Italiane e rumene. Come i loro vicini di raccolta Sikh, non hanno diritto a Tfr, contributi, anche i soldi pubblici che l'azienda ha raccolto per la formazione sono finiti altrove: non hanno abbigliamento protettivo, riconoscimento della malattia, ricostruisce la Commissione.

Da alcuni mesi, non ricevono nemmeno lo stipendio. Nonostante l'azienda sembri florida: nel 2014 ha chiuso il bilancio con 13 milioni e 874mila euro di fatturato. In un'intervista di marzo, le sorelle Fiorella e Stefania Campa, rappresentanti della coop, insieme ad altri soci, raccontavano i loro progetti per diventare un "vero e proprio colosso dell'ortofrutta", grazie a «un allargamento della base produttiva che spinge oggi la Centro Lazio verso le 15mila tonnellate di ortaggi a frutto, anche di altissimo livello, in grado di soddisfare sia la domanda convenzionale sia quella più originale». A quale prezzo? Forse andrebbe chiesto a loro, i lavoratori intervistati oggi. Che raccontano di essere in quella situazione anche da 5, 10 anni. Braccianti. A 3,5 euro l'ora.

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