Non si ferma la protesta dei lavoratori in provincia di Latina, dopo la prima manifestazione degli schiavi del raccolto, il 18 aprile. Avanza con piccole vertenze ogni giorno. Tra minacce, ritorsioni, e speranza.
Al primo ne sono seguiti altri. Inaspettati. Eppure attesi, da molti, e da tempo. Da trenta giorni la pianura pontina è in subbuglio. Per la prima volta, il 18 aprile 2016, duemila braccianti Sikh sfruttati nei campi, pagati 3,5 euro l'ora contro i 9 che vorrebbe il contratto nazionale, si erano uniti in una protesta di piazza. Avevano sospeso il lavoro, preso striscioni e bandiere, invaso il centro di Latina per un giorno. La stampa ne aveva parlato. Le Tv. Le promesse. E tutto sarebbe potuto tornare come prima. Ma così non è stato. «Perché gli scioperi stanno continuando, in sordina, ogni giorno. Dentro decine di aziende. Abbiamo vertenze quotidiane a cui rispondere», racconta Marco Omizzolo, il ricercatore - giornalista -sindacalista che da anni si occupa delle condizioni in cui i raccoglitori vengono impiegati dalle novemila aziende della piana - condizioni da schiavitù denunciate più volte senza risultato: paghe infime, ricatti, baracche, mafie, e tutta la liturgia dello sfruttamento agricolo che impone una certa filiera nel Lazio come in altre regioni.A Latina però si è raggiunto qualcosa che altrove non è ancora mai stato conosciuto: gli ultimi hanno smesso di accettare in silenzio d'essere ultimi. E hanno rivendicato diritti, seppur minimi: la paga a 5 euro l'ora anziché 3,5. Sotto standard, ma almeno fuori dalla fame.«La prima richiesta ci è arrivata il nove aprile da Sabaudia: 30 ragazzi Sikh si erano ribellati, avevano chiesto di arrivare ai 5 euro l'ora al “padrone”, perché qui lo chiamano ancora così», continua Omizzolo: «Lui li ha sbattuti fuori, ma loro anziché andarsene hanno formato un presidio. È arrivata la polizia, siamo stati chiamati anche noi. E alla fine l'imprenditore agricolo ha dovuto accettare, perché aveva urgenza di raccogliere dentro le serre e andare sul mercato, altrimenti avrebbe perso dei soldi. E ha accettato».
Non solo per quel giorno: «Stiamo monitorando, e li paga ancora così».Come erano arrivati fin lì, quei 30 ragazzi Sikh? Come si erano convinti a smettere di accettare le regole subite stagione su stagione da centinaia di migliaia di raccoglitori di frutta, verdura, zucchine e pomodori, angurie in Puglia e grappoli al Nord, senza ribellione? «È stato un lungo percorso», racconta Omizzolo, «fatto di incontri quotidiani, di assemblee, ma soprattutto di comunità. È nato infatti tutto da loro: io, con la cooperativa InMigrazione o gli articoli su l'Unità , e poi la Cgil, con la mano che sta dando per scioperi e vertenze, siamo arrivati solo dopo».
Percorso vecchio stampo. Primo: sentirsi uniti. Essere compatti nelle rivendicazioni. I Sikh, nella provincia di Latina, erano rimasti scioccati dal suicidio di un bracciante di Fondi. Aveva 24 anni, si era impiccato con il filo della corrente. Il secondo episodio in due anni: entrambi di indiani trovatisi qui senza futuro e senza soldi da inviare alle famiglie. Quando hanno iniziato a muoversi, l'hanno fatto insieme. «Da mesi facciamo assemblea ogni domenica. E ogni domenica i partecipanti aumentano», racconta Omizzolo: «Ora sono 200, 300 persone a riunione».
Secondo: i percorsi che si intrecciano, e le storie che diventano denunce. «Un ruolo fondamentale, nel sollecitare questo percorso, l'ha avuto un leader della comunità, Gurmukh Sigh», continua il sociologo: «È stato un bracciante per 15 anni, poi ha aperto un negozietto, dove passano tutti. Parla molto bene l'italiano. E si è fatto mediatore delle loro richieste». Nate dove non arrivavano le istituzioni: secondo l'Inps infatti i braccianti regolari della piana pontina sono 12, 15mila. Ma hanno buste paga da 4/5 ore al giorno soltanto, spiega. Le altre scivolano nel nero, così come i compensi degli altri 10mila braccianti Sikh che vivono nelle terre della bonifica fascista.Dopo lo sciopero comune, le vertenze adesso quotidiane («alcune vanno in porto, altre no, ma le richieste sono continue»), è iniziata la contro-risposta degli imprenditori agricoli. Partita con le minacce ai lavoratori e a Omizzolo, individuato quale megafono di un malessere che avrebbe dovuto rimanere passivo. A metà maggio, in tutta la provincia di Latina, è stato diffuso un volantino anonimo in cui è accusato di speculare con l'immigrazione clandestina e la tratta degli indiani, e dove la Cgil è tacciata di voler soltanto guadagnare dai tesseramenti dei braccianti. Il giornale locale riportava il messaggio con il titolo: “Sotto accusa il difensore dei Sikh”. «È stata un'operazione organizzata: i volantini erano proprio ovunque, nelle buste delle lettere», racconta lui, elencando le altre denunce che ha fatto alla polizia: la sua macchina presa a calci, le minacce di morte sui social, le telefonate minatorie. Di notte. Oltre le minacce, sono iniziate soprattutto le risposte sul posto di lavoro. Se la forza di aprile era stata l'unità con cui i Sikh si erano mossi, l'unità è stato il primo aspetto da colpire: «Stanno iniziando a licenziare i più ribelli. E a sostituire le squadre di soli indiani con squadre miste: italiani, marocchini, altri immigrati».
Nessun commento:
Posta un commento