Marco Vittone *
La delegittimazione delle voci
critiche nei confronti della linea ferroviaria Torino-Lione è stata
ricorrenti in questi anni. Quando, nel giugno 2012, uscì il libro «Non
solo un treno… La democrazia alla prova della Valsusa» di Livio Pepino e
Marco Revelli, il senatore «Sì Tav» per eccellenza Stefano Esposito,
per un breve periodo anche assessore ai Trasporti a Roma, si spinse ad
affermare (senza fondamento alcuno) un presunto «arruolamento» del
figlio di Pepino tra i guerriglieri del Kurdistan, al fine di apprendere
tecniche di guerriglia da importare in Val Susa.
La dichiarazione fu
riportata da un articolo pubblicato dal sito di informazione online
«Spiffero.com». Nel silenzio del Pd e di buona parte degli intellettuali
torinesi (tranne poche eccezioni), l’ex magistrato ed esponente di
spicco dell’associazione Magistratura Democratica, citò Esposito davanti
al Tribunale civile di Torino chiedendo che si accertasse il carattere
diffamatorio delle sue affermazioni con conseguente condanna al
risarcimento dei danni.
Dopo oltre tre anni dai fatti, è arrivata in questi giorni la sentenza
del Tribunale di Torino che ha stabilito come Stefano Esposito abbia
consapevolmente diffamato Livio Pepino per «sminuire la credibilità e
l’autorevolezza delle opinioni contrarie da lui ripetutamente e
pubblicamente espresse sulla Tav». E lo ha fatto attraverso un
attacco al figlio «con una logica che, lungi dal costituire leale
confronto di posizioni diverse, evoca fantasmi di inquietante allusività
caratteristica di avvertimenti trasversali tipici di situazioni ai
limiti della legalità». Altrettanto netta la conclusione della sentenza:
«La nota dell’onorevole Stefano Esposito si rivela lesiva
dell’onore e della reputazione del dottor Livio Pepino, e quindi
illecita e produttiva di danno alla sua immagine, anche perché
contenente notizie che sono rimaste in questa sede del tutto prive di
fondamento. Nessun elemento di prova è stato fornito in questa sede del
fatto che Daniele Pepino si sia recato in Kurdistan “per migliorare alla
scuola del Pkk lo studio di tecniche di guerriglia e approfondire il
concetto di guerra civile totale”».
Il Tribunale ha sottolineato la totale
assenza di prova in ordine alla veridicità dei fatti e ha condannato
Stefano Esposito al pagamento, in favore dell’ex magistrato Pepino, a
titolo di risarcimento danni della somma di 17 mila e 500 euro.
Questa non è l’unica causa in corso tra
Pepino ed Esposito, l’ex magistrato torinese ha presentato, infatti,
querela per diffamazione in riferimento a un’altra avventata
affermazione del senatore, che disse che Pepino e Fiorella Mannoia (e
altri) erano stati i mandanti morali delle molotov rinvenute davanti a
casa.
E quella del 2 febbraio non è la prima
condanna nei confronti del senatore Pd, lo scorso 26 novembre il
Tribunale di Torino ha condannato Stefano Esposito con l’accusa di avere
diffamato quattro esponenti No Tav. L’8 dicembre 2011, aveva indicato
in alcuni attivisti (e di esponenti del centro sociale Askatasuna) «gli
autoproclamati leader di questo movimento che hanno pianificato e
diretto le azioni violente». Affermazioni giudicate non fondate. «La
critica, anche politica, deve pur sempre fondarsi sull’attribuzione di
fatti realmente accaduti, non essendo lecito criticare qualcuno
attribuendogli una condotta che in verità non ha tenuto», è sulla base
di questo principio che il giudice Paola Rigonat ha condannato, a
novembre, Esposito.
L’esponente Pd è stato condannato a 600 euro di multe e al risarcimento delle quattro parti civili con 5 mila euro a testa.
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