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martedì 9 febbraio 2016
La lotta per il lavoro del XXI secolo. L’esperienza della lista disoccupati e precari del VII Municipio- collettivo militant-
Su di un metodo di lotta per il lavoro
Ormai è da più di un anno che stiamo supportando le attività della Lista dei Disoccupati e Precari del VII Municipio e del Coordinamento Disoccupati e Precari Organizzati nato tra le diverse liste esistenti sul territorio romano. Un breve – ma intenso – periodo di lotta, condiviso finora con compagni dei Carc, della Casa del Popolo Giuseppe Tanas, dell’Unione Sindacale di Base e di altre realtà e singoli provenienti da diverse esperienze politiche o di lotta. E, naturalmente, con precari e disoccupati di Roma e provincia.
L’idea alla base di un movimento di disoccupati e precari nasce principalmente dalla constatazione che in una regione dove il tasso di disoccupazione supera il 12% e quello dei giovani è quasi il triplo, il tentativo di ricomposizione di una classe di lavoratori (occupati e disoccupati) sempre più frammentata, oltre che di organizzazione di un movimento politico e sociale capace di agire da controparte e alternativa all’establishment centrale e locale, non possa che passare – anche – dall’organizzazione di un movimento di lotta per il lavoro. Tanto più in territori periferici come quello del VII Municipio (Cinecittà) dove il livello di disoccupazione e di marginalità sociale raggiunge livelli ben più alti di quelli registrati su scala provinciale e regionale. E questo soprattutto alla luce dello scollamento delle periferie rispetto al centro città fulcro del decision making economico e politico e del progressivo spostamento delle attività produttive e logistiche in luoghi sempre più oltre quelle che comunemente sono state per decenni considerate periferie e sempre più vicine alla fascia di territori al di fuori del GRA.
Fatta questa premessa, una riflessione su questo anno di lotta parte per noi dalla non scontata considerazione della capacità delle liste di creare e far affermare a livello cittadino un ambito che prima non c’era, riprendendo una tradizione di lotta per il lavoro che era ultimamente assente dal contesto romano, a differenza di altri centri metropolitani in cui è sempre stata viva, come nel caso di Napoli. In questo senso, nel giro di un anno la lotta per il lavoro si è andata ad aggiungere a pieno titolo tra le lotte attive nella metropoli, dalla lotta per la casa, a quelle della logistica, a quelle in difesa dei diritti/servizi basilari e dei territori, entrando in una delle maggiori contraddizioni delle periferie romane e strutturando una critica e una pratica reale contro l’attuale modello di mercato del lavoro.
Nello specifico, per la lista del VII municipio e per il coordinamento cittadino quest’anno ha significato manifestazioni, scioperi alla rovescia, incontri con i municipi e la Regione, raccolte firme, mozioni da presentare ai Municipi, iniziative pubbliche, “incursioni” nei Centri per l’Impiego, gruppi di studio, attività di finanziamento e tanto altro. Tra alti e bassi, tra le inevitabili frustrazioni di un lavoro di aggregazione e successi inaspettati, tra accelerazioni e momenti di stallo, ci siamo ritrovati adesso con in mano una sfida, fatta di potenzialità e responsabilità. Vorremmo quindi provare a condividere alcuni dei ragionamenti alla base di questo metodo di lotta.
Perché fare uno sciopero alla rovescia
La pratica degli scioperi alla rovescia ci porta indietro negli anni ’50, quando i disoccupati romani misero in campo una pratica di lotta – derivata da quella dei braccianti delle campagne modenesi, ferraresi e mantovane – che consisteva nell’effettuare lavori di pubblica utilità (strade, fognature, ecc.) per poi chiedere alle autorità il pagamento del lavoro svolto e la conclusione delle opere iniziate attraverso l’assunzione dei lavoratori che le avevano avviate. Riprendere oggi questo metodo di lotta assume alcuni significati precisi.
1) Effettuare lavori di pubblica utilità, come ad esempio la pulizia e manutenzione delle aree di verde – come fatto numerose volte dalla Lista del VII Municipio e dalla Lista dei disoccupati e precari di Roma Nord Ovest – , permette di far emergere le lacune di amministrazioni centrali e locali nella gestione ordinaria delle necessità delle zone periferiche della metropoli, mostrando al tempo stesso l’effettiva e visibile esistenza di lavoro da svolgere, contrastando così la retorica della disoccupazione causata dalla mancanza del lavoro.
2) Parallelamente, la presenza di disoccupati disposti ad effettuare lavori del genere smonta le paventate difficoltà di ‘matching’ tra la domanda e l’offerta di lavoro ultimamente spesso sostenute dai policy maker. In un recente incontro alla Regione Lazio con la segreteria dell’Assessore al Lavoro Valente ci è stato infatti ribadito – come scritto in tutte le recenti documentazioni relative alle politiche per l’occupazione – che il vero, primario, problema del lavoro oggi è che i disoccupati non riescono a incrociare le aziende e le opportunità professionali. Incommentabile.
3) In questo senso, l’evidente incontro tra lavoro necessario alla riqualificazione del territorio e i disoccupati disposti a farlo e la successiva richiesta del pagamento delle ore lavorate presso i municipi di riferimento (sia nella sua accezione ‘provocatoria’ sia nell’effettiva possibilità di monetizzare un lavoro svolto) riporta alla semplicità delle relazioni lavorative ‘servizi necessari->lavoro->salario’ che andrebbero riguadagnate attraverso le lotte. Andare a dire a chi di dovere ‘l’aiuola della tuscolana era una discarica->l’abbiamo ripulita->ora pagateci il lavoro e fatecela tenera pulita assumendoci’ rappresenta una di quelle rivendicazioni su cui un municipio o una qualsiasi altra istituzione ha poco da ribattere, a parte la millantata mancanza di fondi facilmente smontabile con un bilancio alla mano, permettendo di aprire una notevole contraddizione, oltre che spazi di contrattazione.
4) Altro dato di fatto è che gli scioperi alla rovescia sono capaci di smuovere sensibilmente l’opinione pubblica e creare aggregazione e solidarietà da parte di altri disoccupati e dalla cittadinanza (sebbene a volte più teorica/empatica che dalle ricadute pratiche). Vedere decine di disoccupati tagliare l’erba e ripulire l’aiuola di una strada dove si passa tutti i giorni crea un impatto visivo che riesce a bucare l’indifferenza del passante medio e fa avvicinare i disoccupati che sono coscienti della loro condizione ma vedono con distanza le lotte politiche. Inoltre, gli scioperi alla rovescia permettono di portare nelle strade contenuti politici e temi che esulano anche strettamente dal mondo del lavoro: in questa fase ha reso facile mostrare l’evidenza di cosa vuol dire oggi essere disoccupati o precari, smontando nei fatti gli entusiasmi di Renzi&Co. sui finti successi del Jobs Act ripresi ossessivamente dai mezzi di comunicazione; così come ci ha portato a parlare con la gente della salviniana questione dell’immigrazione come causa di tutti i mali, riempendo in parte quel gap comunicativo che talvolta esiste tra movimenti politici e popolazione.
5) Infine, tema a noi molto caro, gli scioperi alla rovescia permettono di smontare l’ossessiva retorica del degrado tanto di moda ultimamente. Il mantenimento di quello che viene definito ‘decoro urbano’ non può diventare oggetto di volontariato, o meglio di lavoro gratuito, ma deve tornare ad essere una parte dei servizi/diritti in capo al pubblico, al di là dell’emergenzialità o del giubileo di turno, e quindi essere una fonte di occupazione magari per gli stessi lavoratori che vivono sui territori da riqualificare. Niente di più efficace che spiegare questi passaggi insieme a dei disoccupati con rastrello alla mano.
Un movimento metropolitano di lotta per il lavoro
Parallelamente alle declinazioni territoriali, in quest’anno è venuto a costituirsi un ambito di coordinamento tra le liste di disoccupati e precari che ha assunto col tempo la forma di un vero e proprio percorso metropolitano unitario di lotta per il lavoro. Ancora una volta, abbiamo constatato sulla nostra pelle quanto sia vero ciò che ripetiamo da tempo, ossia che in questa fase politica nessuno basta a se stesso, e sulla più o meno tacita condivisione di questo principio strutture politiche anche sostanzialmente differenti hanno saputo prendersi la responsabilità di guardare agli obiettivi e ragionare insieme per costruire qualcosa al di là del proprio “recinto politico”. Per questo, se all’inizio questo ambito rappresentava poco più di un luogo di condivisione delle rispettive lotte territoriali, l’emergere di vertenze generalizzate da affrontare in maniera compatta ha portato per forza di cose a trasformarlo in un piano di lotta cittadino unitario, quello che è l’attuale Coordinamento Disoccupati e Precari Organizzati.
Quando parliamo di vertenze generalizzate ci riferiamo soprattutto alle lotte relative ai fondi europei e regionali per l’occupazione stanziati nell’ultimo periodo, portate avanti in termini di problematizzazione e contrasto ai modelli di politiche “attive” attuate attraverso Garanzia Giovani, Contratto di Ricollocazione e gli altri bandi europei tailor made per finanziare imprese ed enti privati a discapito di disoccupati e precari. E qui, un altro tema a noi molto caro. L’individuazione dell’Unione europea come principale nemico dei lavoratori occupati e non occupati e come vertice della piramide da cui scaturiscono le politiche del governo Renzi e le declinazioni regionali e territoriali ha rappresentato fin da subito un elemento di affinità tra le strutture coinvolte, portando a costruire un’analisi e una critica capace di ricollegare il fil rouge che passa tra le vertenze territoriali e le scelte politiche di Commissione europea e Banca centrale in tema di occupazione. Analisi che, affiancandosi con gli altri percorsi che si muovono in ambiti sociali e territoriali come la Carovana delle periferie o le altre mobilitazioni su Garanzia Giovani – oltre che con le altre lotte attive nella metropoli e più o meno strettamente connesse con la questione dell’opposizione all’Unione europea – si spera che potrà contribuire sempre più a definire un ambito metropolitano di lotta generalizzata.
Altro elemento significativo è che la costruzione di questo movimento metropolitano e l’obiettivo di un suo allargamento sul territorio cittadino e regionale ha rappresentato la causa-effetto della diffusione delle attività delle liste e della replicazione da parte di altre strutture politiche e territoriali dello stesso metodo di lotta. Questo ha significato, ad esempio, la diffusione di pratiche condivise come gli scioperi alla rovescia o la presentazione ai municipi di riferimento di mozioni per il riconoscimento delle liste di disoccupati come bacini di lavoratori disponibili al lavoro e per la presa di responsabilità delle amministrazioni locali rispetto alle problematiche del lavoro. Mozioni di fatto strumentali, finalizzate al radicamento sul territorio e alla definizione di un gruppo di pressione sul merito delle scelte politiche, che stanno aprendo luoghi di incontro/scontro con i responsabili territoriali sulla questione della disoccupazione e sul sostanziale immobilismo delle istituzioni. La speranza è quindi che questi processi continuino a moltiplicarsi e a radicarsi in un numero sempre maggiore di territori.
Una volta colte le opportunità si moltiplicano (Sun Tzu)
In conclusione, con le sue spinte in avanti e passi indietro, questo movimento di lotta per il lavoro sta diventando per noi un modello da migliorare, allargare e replicare. Un metodo basato su un approccio contemporaneo dal basso – il mondo del territorio e delle periferie, della vertenzialità, dell’aggregazione, della solidarietà – e dall’alto – l’universo delle politiche del lavoro e della formazione, il confronto con la piramide istituzionale Ue/governo/regione/municipio, l’analisi dei nuovi modelli di sfruttamento di impianto neo/post liberista a firma Ue. La scommessa principale, in questo senso, è quella di portare entrambi i livelli in ogni ambito di discussione e di azione, per sviluppare sia nei disoccupati e precari sia tra noi militanti che stiamo contribuendo al percorso, coscienza e pratica, teoria e prassi, nello stesso tempo. Negli incontri che sono stati fatti alla Regione Lazio nel merito di Garanzia Giovani e del Contratto di Ricollocazione non sono mai mancati riferimenti alle necessità del territorio (riqualificazione, formazione ad hoc, servizi pubblici per l’impiego, ecc.), così come durante gli scioperi alla rovescia abbiamo sempre chiarito i nessi con il modello di progressiva alienazione delle periferie rispetto al centro della città o l’evidente contraddizione di politiche europee per l’occupazione su cui si spendono milioni di euro da dare ai privati quando i municipi non riescono a stanziare i fondi necessari per pagare due giardinieri per un’aiuola sulla tuscolana.
Insomma, le potenzialità per definire questo metodo di lotta e sulla base di questo un’organizzazione sociale come parte di un più largo impianto politico, a nostro parere, ci sono. Come ogni lotta sociale anche questo percorso non è lineare e può risultare talvolta contraddittorio, e come tutti i tentativi vede difficoltà e incertezze, oltre che un notevole impegno, ma ormai ci siamo dentro e vedremo dove arriva. Per chi fosse interessato, la sfida è aperta.
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