il manifesto
Il documento di apertura del congresso della sinistra a Roma. Un nuovo spazio, politico e alternativo, per rispondere a chi ha perso la fiducia ma non rinuncia
Riceviamo e pubblichiamo il documento di apertura di “ Cosmopolitica ”, l’assemblea nazionale della sinistra.
Il documento di apertura del congresso della sinistra a Roma. Un nuovo spazio, politico e alternativo, per rispondere a chi ha perso la fiducia ma non rinuncia
Riceviamo e pubblichiamo il documento di apertura di “ Cosmopolitica ”, l’assemblea nazionale della sinistra.
Viviamo in un tempo in cui comandano i
mercati, e se dentro i mercati comanda il grande capitale finanziario,
la democrazia si restringe. Nei tempi, così come nei contenuti, “i
mercati non aspettano” perché le scelte sono determinate non dai bisogni
e dai desideri dei cittadini ma dalla disponibilità del grande capitale
ad investire in un determinato territorio.
E come è noto i capitali
preferiscono collocarsi dove minori sono i salari e i diritti.
La competizione politica in questi anni
ha avuto come posta il dimostrarsi più efficiente e più pronta a
modellare il proprio paese secondo i dettami del pensiero unico
neoliberista. Ma è così che la politica perde la sua ragion d’essere e
la sua credibilità.
Se la politica agisce sulla base di
stati di necessità determinati altrove, le persone ritengono sempre più
inutile votare e partecipare alla vita dei partiti. Specialmente le
persone più povere, per reddito e per sapere. La politica che compete
nel campo ristretto disegnato dagli interessi del grande capitale
finanziario diventa sempre più rissosa e meno trasparente. La
degenerazione morale della politica origina dal venire meno di chiare
alternative strategiche, di interessi e di valori.
Se gli obiettivi da raggiungere sono per
tutti gli stessi, se si rifiuta in partenza l’idea che un altro mondo è
possibile, se cadono le distinzioni che hanno segnato le storie della
sinistra e della destra, la politica diventa sempre di più un affare
interno di chi nella politica investe per affermare se stesso. La casta
dei professionisti della politica, che si rottama per rigenerarne una
nuova.
È per questo che abbiamo deciso di
intraprendere la strada della costruzione di un partito della sinistra.
Perché siamo partigiani. Rispetto alla parte che ha voce, soldi, potere
noi scegliamo l’altra parte, quella che oggi non trova voce e ascolto
dentro la politica istituzionale. La parte di quelli che hanno visto
ridurre il proprio reddito e la possibilità di decidere della propria
vita, mentre ricchezze e potere si sono concentrati nelle mani dei
pochi. La parte di quelli che credono che il sapere sia un modo per
orientarsi nel modo e per orientarlo, che stia insieme alla libertà e
alla bellezza e non alla ricerca del profitto e dell’utile. La parte
delle intelligenze negate, di quelli a cui non è stata data la
possibilità di accedere al sapere e di quelli che vedono ogni giorno
svalorizzata la conoscenza che hanno acquisito con impegno e fatica. La
parte di quelli che non misurano l’uscita dalla crisi sulla base di
qualche decimale di PIL in più o in meno, magari trainati da quegli
stessi fattori (il petrolio a buon mercato, l’aumento della liquidità
monetaria) che hanno provocato la crisi economica e messo a rischio il
pianeta; bensì dal lavoro buono e dignitoso che si riuscirà a costruire,
dalla salubrità dell’ambiente in cui viviamo, dalla diffusione del
sapere e della cultura, dalla salvaguardia e dall’estensione dei beni
comuni, da una più equa redistribuzione dei profitti dalle rendite
finanziarie verso i salari, la ricerca libera e l’innovazione
tecnologica.
Rispetto ad un mondo che ha subordinato ogni cosa all’utile e al profitto siamo dalla parte dell’uguaglianza e della libertà.
Ma i partiti attuali non sembrano avere
nessuna voglia di affrontare le ragioni vere della loro crisi di
rappresentanza, che si manifesta nel crescente astensionismo e nel
venire meno della partecipazione alla loro vita.
Hanno anzi scelto quasi ovunque la
strada del decisionismo e del restringimento degli spazi nei quali si
esercita la democrazia. Si vota per decidere chi comanda. Dopo starà a
chi comanda esercitare un potere sempre meno trasparente e sempre più
subalterno alle logiche del grande capitale.
È questa la ragione di fondo che orienta
la riforma della Costituzione e quella delle legge elettorale che il
Parlamento ha votato e che saremo chiamati a confermare o a respingere
con un referendum.
Se si intende continuare a smantellare
lo stato sociale, a ridurre i diritti di chi lavora, a martoriare il
territorio con le grandi opere e le trivellazioni, occorre ridurre gli
spazi dove il popolo e che lo rappresenta prendono la parola. Il
Parlamento deve essere un luogo di maggioranze blindate e di truppe
fedeli, con tempi sempre più ristretti per discutere e deliberare.
Rischiamo di diventare la repubblica del
silenzio assenso rispetto alle decisioni di chi comanda. E si riducono
le risorse economiche e progettuali a disposizione delle autonomie
locali, quelle che comunque devono fare i conti in presa diretta con le
domande dei cittadini.
Il referendum per la Costituzione sarà il primo terreno su cui il nuovo soggetto politico in costruzione si cimenterà.
Per evitare che venga prosciugata l’acqua in cui la buona politica può esercitarsi.
Non sarà solo una battaglia a difesa
della Costituzione nata dalla Resistenza. Sarà una battaglia per dare
alla Costituzione piena attuazione. Dal diritto al lavoro, a quello alla
salute, alla casa, all’istruzione e alla cultura, promuovendo campagne e
se occorre referendum per affermare i diritti negati dalle misure del
governo su questi terreni. E per affrontare con lo spirito della nostra
Costituzione i nuovi grandi problemi che mettono a rischio la convivenza
e la vita stessa nel nostro Paese e nel Pianeta.
Il riscaldamento climatico, le
migrazione dei popoli, la risposta al terrorismo e alla guerra, il
diritto ad una vita felice delle donne e degli uomini indipendentemente
dal loro orientamento sessuale. E come aprire nei luoghi del lavoro e
della vita spazi di partecipazione nei quali le persone siano chiamate a
deliberare sulle scelte che riguardano il loro presente e il loro
futuro.
Il partito che vogliamo costruire si presenterà alle elezioni ma non sarà il partito delle elezioni.
Sarà presente nelle istituzioni ma non
sarà il partito degli eletti. Sarà il partito che intende promuovere la
democrazia di ogni giorno. E che assicurerà il suo pieno sostegno e
quello delle sue stesse presenze istituzionali, come già oggi fanno il
gruppo parlamentare della sinistra italiana e gli amministratori locali
impegnati sul progetto, a tutti i movimenti, i sindacati, le
associazioni che nel territorio e nei luoghi di lavoro promuovono
partecipazione e conflitto.
Perché sa che nessun vero cambiamento è
possibile senza rivitalizzazione della società e del tessuto democratico
diffuso del nostro Paese, senza ricostruzione della trama sociale
lacerata e divisa da anni di egemonia politica, culturale, economica e
sociale del neoliberismo.
Nella società degli individui
frammentati e massificati, tenuti insieme dalla cultura del consumismo,
vince la destra comunque si chiami. Il nostro partito non pretenderà di
esser il soggetto unico della politica. Se c’è ancora speranza di
salvare l’Italia e l’Europa è perché in questi anni migliaia di presone
hanno continuato a pensare e a ragionare insieme sulle scelte che
riguardano la loro vita e il loro rapporto coi grandi problemi del
mondo. Cominciando a praticare le cose che chiedevano e rivendicavano.
Dal diritto alla casa, all’istruzione,
alla salute, al rispetto dell’ambiente, alla solidarietà attiva nei
confronti dei migranti, alla difesa e alla valorizzazione del beni
comuni. La nostra aspirazione al governo e la nostra possibilità di
governare si fondano sulla piena autonomia e sulla creatività di questi
soggetti. Soggetti che dal canto loro ogni giorno verificano come,
proprio per salvaguardare la loro autonomia e la loro capacità di
incidere, sia necessaria anche una presenza che ne assuma contenuti e
obiettivi nelle sedi dove si possono spostare e finalizzare risorse,
dove di decide lo spessore delle frontiere,la pace e la guerra. Nel
governo delle amministrazioni locali, degli Stati, dell’Europa.
Questo intreccio fra movimenti sociali e
obiettivi di governo spiega l’avanzata in Europa di una nuova sinistra,
da Syriza a Podemos. E l’affermarsi in alcuni degli stessi partiti
storici di leaders esplicitamente alternativi al neoliberismo dominante e
al predominio della finanza.
Jeremy Corbyn in Inghilterra. Bernie
Sanders negli Stati Uniti. Si apre oggi in Italia, in Europa, nel mondo
un nuovo spazio politico a sinistra oltre la crisi delle
socialdemocrazie. Il nostro partito non pensa se stesso come il vertice
di una piramide ma come il nodo di una rete in cui si moltiplicano le
esperienze di autogestione, di mutualismo, di auto organizzazione.
Nemmeno il percorso che intendiamo
intraprendere per fondare il nuovo partito sarà verticale, tanto meno
verticista. Nessuno deve essere legittimato a dirigere sulla base delle
sue precedenti esperienze di direzione.
Perché anche il modo di fare politica di
chi ha messo a disposizione sé stesso per il nuovo progetto, nei
partiti come nei movimenti, non è stato esente dai molti dei vizi della
politica che vogliamo superare. E perché oggi l’intelligenza necessaria
ad affrontare i grandi problemi che il mondo attraversa è diffusa tra
quelle migliaia di persone che mentre la politica insisteva nei vecchi
rituali e nelle vecchie formule, hanno provato a tenere insieme e a
pensare insieme i loro problemi e i problemi del mondo. Sono loro che
devono essere protagoniste del percorso che si apre. Sono le loro idee,
le loro esperienze che devono nutrire il percorso a partire dai tre
giorni di febbraio. Loro come persone e non per la tessera che hanno in
tasca.
Il nuovo soggetto non può essere la
semplice unione tra quanti in questi anni hanno provato a resistere, coi
loro partiti o come minoranza nel partito di Renzi, alla deriva
neoliberista e decisionista.
Non ha come obiettivo di conquistare una
dignitosa percentuale all’interno di un corpo elettorale drasticamente
ridotto dalla sfiducia e dall’astensionismo. Deve avere l’ambizione di
conquistare alla partecipazione democratica gli sfiduciati e i delusi: e
i tanti che fanno politica, la politica che conta, nei luoghi del
lavoro e della vita.
È per questo che abbiamo detto no al nuovo soggetto come federazione delle esperienze organizzate esistenti.
È per questo che partirà una vera e
propria marcia per l’alternativa, un cammino di assemblee e di piccoli e
grandi incontri che attraverserà l’Italia per organizzare il confronto
pubblico sui temi, coinvolgendo reti sociali e di movimento,
associazioni, ricercatori, sindacati e singoli cittadini in una grande
discussione sul futuro del paese.
Chi farà nel nuovo partito la sua prima esperienza politica deve contare quanto chi viene da una lunga storia.
Certamente sarà necessario dare vita a
strutture di coordinamento e di servizio che organizzino la
partecipazione e la mobilitazione sugli obiettivi che insieme ci daremo.
Ma siamo chiamati tutti a vigilare perché questa delega provvisoria
fino al Congresso Costituente non sia una requisizione del dibattito
politico e delle decisioni.
Le strutture territoriali che
costruiremo non dovranno essere semplici terminali per mobilitare la
gente su decisioni assunte altrove, ma i momenti essenziali della stessa
elaborazione politica.
I grandi obiettivi generali che ci
daremo saranno tanto più forti e convincenti quanto più nasceranno dalle
pratiche sociali e dai pensieri che le alimentano.
I nuovi strumenti di comunicazione, come
la piattaforma digitale, così come il coordinamento intelligente delle
occasioni più tradizionali di confronto diretto, rappresenteranno i
luoghi nei quali si incontreranno le idee e le proposte nate nei
territori, per diventare patrimonio di tutte e di tutti.
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