La mafia è ancora viva. Sta bene e continua a comandare su interi territori. Spesso nel silenzio generale. Gli ultimi dodici mesi raccontati attraverso gli eventi che hanno fatto più discutere e quelli meno visibili.
L'Espresso Giovanni Tizian
Il 2016 è stato un anno di mafia. Come l'anno prima e quello prima ancora. La differenza è che il Paese, oggi, sembra praticamente assueffatto dallo scorrere delle notizie che riguardano le nostre quattro grandi aziende criminali: camorra, 'ndrangheta, cosa nostra e mafia pugliese. L'abitudine crea dipendenza: così la convivenza con il potere criminale è diventata la normalità.
Nell'accettazione di ciò che normale non è, abbiamo perso di vista i danni reali alle persone, alle cose, all'ambiente, che le cosche provocano con i loro business. Non sempre ci sono i morti ammazzati, anche se questi non mancano, a ricordarci che le mafie sono vive e vegete. Spesso si tratta di imprenditori strozzati dall'usura, dal pizzo, o cittadini disperati per le perdite alle slot machine. Spesso, insomma, i corpi dilaniati di questa eterna guerra contro le cosche non si vedono, ma esistono eccome.
Certo, il sangue sul marciapiede fa più effetto che il fallimento di imprenditori onesti che non hanno accettato di pagare tangenti e per questo sono rimasti fuori dai giochi dei grandi appalti. Un mondo dove troppe volte ritroviamo aziende partner delle organizzazioni mafiose. Oppure pensiamo ai giornalisti che quotidianamente vengono intimiditi durante il loro lavoro.