sabato 14 novembre 2015

Prepariamoci, la notte sarà lunga. Non andiamo a dormire però.

Conosco quella zona, Canal Saint Martin e dintorni. Sono vite senza troppe pretese, dall'aspetto sereno. Lavorano, si spostano in bicicletta, leggono sui prati, i bambini giocano alle campane meticce del mondo, i giovani si innamorano a cavalcioni sui riflessi tremuli, qualche vetrina colorata, poco neon molto legno. L'ultima volta che ci sono stato, a ogni angolo di strada c'era una piccola corale di filarmonici dilettanti che offrivano un saggio con emozione e qualche bravura. Popolo, non molti turisti. Etnie diverse, un equilibrio riuscito. Un quartiere così.
Avete fatto caso che gli attentatori muoiono sempre tutti? Che a nessuno di loro si riesce a fare un processo, cioè che lo strumento per eccellenza dell'accertamento della verità da parte della Civiltà (di tutte le Civiltà d'ogni tempo e latitudine) con questi terroristi è inutile?
E però la verità dei media, quella, ci arriva sempre e rapida. Gridano “Allah è grande”, sempre, gli attentatori. E poi muoiono. Del prima e del dopo non sappiamo mai niente – processualmente, intendo: per via di indagine razionale e di verifica con gli istituti della legalità democratica. Ma per via emotiva sappiamo – ci viene detto – che dopo l'attentato abbiamo dei cadaveri in mezzo alle vittime, e che quei cadaveri sono terroristi. Abbiamo talvolta le loro foto, le loro storie, i proclami già preparati. Ma sono sempre i media che ci danno il quadro. Non è, al lavoro, la giustizia come requisito della Civiltà – è un po' diverso.
Hollande, stravolto, ha dichiarato in diretta lo stato d'emergenza in tutta Parigi e l'Ile de France, per i 120 morti di stanotte (conto incerto), e ha chiuso le frontiere della Francia intera. Non mi ricordo sia mai successo in passato. Vuol dire parecchie restrizioni alla vita della gente, e alla circolazione delle opinioni. Obama ha detto in diretta “siamo con voi”.
Che terrore devono aver provato, tutte quelle persone inermi. Che disperazione d'ora in poi, in tutti quelli che hanno perduto qualcuno. Gente semplice, che sconta già la fatica quotidiana del vivere comune. E adesso questo orrore infinito. Toglie il respiro.

L'Undici Settembre, 2.974 vittime più i 19 attentatori – tutti morti, e tutte le loro foto in prima pagina già il giorno dopo. Al Teatro Dubrovka di Mosca, ottobre 2002, 129 ostaggi morti e 39 sequestratori morti pure loro – nessun processo possibile. Madrid, 11 marzo 2004, 191 morti e 2.057 feriti negli attentati ai treni, e un tira e molla di ipotesi tra piste separatiste e fondamentaliste. Beslan, settembre stesso anno, morti a centinaia, 186 solo i bambini, 32 sequestratori, morti 31, uno catturato, ovviamente ceceno – ma i cadaveri, come alla Dubrovka, li ha fatti più che altro l'irruzione delle forze speciali. Londra, 7 luglio 2005, 56 morti tra metro e autobus colpiti nell'ora di punta, morti i dinamitardi, 700 feriti tra lavoratori e studenti. Le ore di Charlie Hébdo, gennaio scorso, con 20 morti in tutto, terroristi compresi. Tunisi, a marzo, Museo del Bardo, 24 morti tra cui gli attentatori, e 45 feriti. Due giorni dopo, a Sana'a, Yemen, 142 vittime, nessuno da portare in giudizio. Giugno, a Susa, ancora Tunisia, gente sulla spiaggia presa a mitragliate, 38 morti e 36 feriti, gli attentatori scomparsi nel nulla. L'altro ieri, doppio attacco kamikaze a Beirut, decine di vittime, centinaia i feriti. E troppi cadaveri e storpiati ancora ho dovuto scordare.
Sappiamo tutto, per via di notizia. Ma nulla per via di ragione. Non possiamo perciò neppure elaborarlo, il terrore. Noi così possiamo solo aver paura. E quindi possiamo soltanto invocare qualcuno, che ne abbia il potere (o conferirglielo apposta), affinché stenda tutto intorno alla nostra vita del filo spinato e ci spiani sopra dei fucili rivolti verso l'esterno, e anche all'interno, per confortarci in questa paura incoercibile.
Gli scampati al massacro del Teatro Bataclan hanno detto che sulle prime sembrava spettacolo, prima della mattanza reale. Altri intervistati per le stradine sul Saint Martin hanno descritto le scene di panico e le sparatorie come una specie di set. La sequenza del boato allo stadio viene ripetuta all'infinito. Baricco, il 12 o 13 settembre 2001 scrisse tra l'altro: “C'è qualcosa, in quello che vedo alla televisione, che non quadra, e non sono i morti, la ferocia, la paura, è ancora qualcosa d'altro, qualcosa di più sottile. C'è troppa maestria drammaturgica, c'è troppo Hollywood, c'è troppa fiction. La Storia non era mai stata così. Il mondo non ha tempo di essere così. La realtà non va a capo, non concorda i verbi, non scrive belle frasi. Noi lo facciamo, quando raccontiamo il mondo. Ma il mondo, di suo, è sgrammaticato, sporco, e la punteggiatura la mette che è uno schifo. Siamo terrorizzati perché è come se qualcuno, improvvisamente e in modo così spettacolare, ci avesse portato via la realtà: è come se ci informasse che non ci sono più due cose, la realtà e la finzione, ma una, la realtà, che ormai può accadere soltanto nei modi dell'altra, la finzione.”
Io, in modo certo meno brillante, oggi devo confermare quello che scrissi alla notizia di Charlie: “Hanno colpito la Parigi dell’Illuminismo e dell’Encyclopédie, la Parigi della messa in discussione del potere antico e immobile, la Parigi della Presa della Bastiglia, del radicalismo di Marat e Robespierre, della Congiura degli Eguali di Babeuf, il proto-comunista, la Parigi del ’48, della Primavera dei Popoli, la Parigi della Comune schiacciata nel sangue dalla borghesia rampante, non più imperiale e ormai imperialista, la Parigi di Jean Jaurès, ammazzato da un fanatico nazionalista perché nessuno potesse impedire ai lavoratori francesi di venire ingoiati dalla Grande Guerra, la Parigi dell’imposta di solidarietà nazionale del giugno 1945, la Parigi del Maggio ’68, della contestazione al sistema in sé, dell’unione tra studenti e operai, intellettuali e popolo. Questo il bersaglio, in realtà. Per motivi che con le religioni hanno a che fare zero. E i prossimi giorni, i prossimi mesi, non porteranno niente di buono – purtroppo.”
Purtroppo.
Ho appeso da qualche parte uno schema grafico riassuntivo della storia del mondo, una specie di scala universale in A2, dal Big Bang ai giorni nostri – nientemeno. Nella colonna “età dell'Umanità” riporta, dal basso verso l'alto, 'Paleolitico inferiore' a 1.800.000 anni fa (primi utensili, e poi controllo del fuoco), 'Paleolitico superiore' 40.000 anni fa (col balzo culturale dei Sapiens), 'Neolitico' 11.000 anni fa (con l'agricoltura), 'èra storica' 5.000 fa (con l'invenzione della scrittura), 'èra volgare' 2.000 anni fa e qualcosa, 'èra globale' 200 anni fa (con l'imperialismo capitalista), ed 'èra caotica' dopo l'Undici Settembre.
Siamo lì, cioè qui e ora – in pieno.
Da allora sta cambiando la nostra vita, a causa dell'interesse irrefrenabile di chi ritiene che essa – per come ce la siamo costruita negli ultimi secoli di progresso, critico, di emancipazione e liberazione ed umanizzazione – sia ora un costo più che un profitto, un rischio più che un affare.
Ma dico meglio: non sta cambiando la vita di tutti gli abitanti del mondo, o non per tutti nella stessa misura. E’ il nostro mondo che si trasforma, che diventa il nuovo mondo. O meglio: che va a somigliare agli altri che coabitano su questo pianeta. Ai mondi dove la paura e la violenza sono già pane quotidiano, a quelli indebitati col nostro fino al collo e attaccati a rasoi pescati nella spazzatura per non affogare. Per quei purgatori sfiniti, crimini infami come l'ennesimo – a Parigi, stanotte – cambiano poco.
Poco, o neanche troppo, cambierà anche per chi pur dalle nostre parti privilegiate ha sempre e comunque vissuto nell’indifferenza, o addirittura nella diffidenza, verso tutto ciò che non gli sta giusto nel cortile di casa.
Il razzista, l’accumulatore, l’ottuso – non s’incuriosivano prima per le infinite anime della Terra e certo non li offende dover guardarle con sempre più timore, o imbarazzo. Non conoscevano l’entusiasmo per il puro e semplice stare al mondo, al netto del possesso di alcunché, e quindi non sapranno nemmeno cos’è che stan perdendo sempre più.
Questa nuova puntata del dramma, intendo, porta questo di danno ulteriore: soffoca nell’avvilimento i liberi, e non allevia la servitù di tutti gli altri.
Povera Parigi, ti abbraccio con tutto il cuore.
Poveri noi umani. Se non riscattiamo da noi stessi tutta questa Storia.

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