Lucia Annunziata Editorial Director, L'Huffington Post
In quei quattro minuti di emozione si è celebrato, dietro e dentro il nome di un uomo, Sergio Mattarella, la caduta e rinascita di due storie politiche che ormai era quasi impossibile celebrare, quella cattolica Dc, e quella della Prima Repubblica; le due esperienze finite con l'essere sinonime l'una dell'altra e, insieme, sinonimo di sconfitta.
Ma non appena il nome di Mattarella è stato calato si è visto quanto vive ancora fossero quelle due storie e idee - l'attrazione esercitata dal grande vecchio ex Dc ha infatti agito immediatamente da calamita per tutto quello che di questo passato si era fatto da parte, magari mascherato, ma mai scomparso. Al di là delle decisioni dei vertici dei partiti, tanti voti hanno lasciato cosi' le simil-Dc nate nella Seconda Repubblica, e si sono diretti verso un naturale centro di gravitazione, lasciandosi dietro sfasciate sia la Forza Italia di Silvio Berlusconi, sia la moderna Dc che stava costruendo faticosamente Alfano.
Tuttavia, il numero di consensi raccolti, i quasi due terzi dei voti, è tale da non poter essere spiegato solo dall'orgoglio del passato, dall'eco del "per sempre Dc" che Mattarella ha risvegliato. La ex Balena Bianca non ha più quei voti.
Intorno al nome del nuovo Presidente si è messo in moto un processo di inevitabile sollievo, l'emersione di quella eterna anima solida e nascosta del grande moderatismo italiano, quel ceppo immarcescibile su cui tende a tornare sempre la storia del paese quando si affloscia, il luogo in cui si rifugia quando I toni sono troppo alti, e le istituzioni troppo deboli, il luogo in cui la fede (politica prima ancora che religiosa) trova un suo educato rispetto e la dialettica politica si fa più muta. Un moderatismo divenuto negli anni oggetto di feroce contesa e disprezzo - come se solo i toni di guerra potessero albergare in politica - e che in Mattarella da destra e da sinistra stavolta ha visto una stella polare intorno a cui riaggregarsi: il Partito della Nazione, appunto, in cui c'è ora posto per tutti, con identico cuor contento.
Nel Parlamento, le vibratili sensibilità politiche hanno subito prodotto nuove intese sentimentali e inimmaginabili, fino a ieri, scenari. Rosi Bindi che intreccia le sue mani a quelle di un sorridente Luca Lotti è forse la foto più emblematica di questo nuovo mood. Ma dovremmo inserire in un album di famiglia prossimo venturo anche il ritorno, con gentile tempismo, di uomini di altre epoche, come Salvatore Cardinale, ex ministro delle Telcomunicazioni da anni sparito per lasciare in eredità la sua carriera politica alla figlia, o Vito Riggio, o la ex Cisl in massa, perfettamente combinati con la cortese attesa di Delrio, e la implacabile opera di cucitura di consenso di Maria Elena Boschi fino all'ultimo possibile voto intorno al Presidente designato.
Per tutto questo è meglio parlare di Partito della Nazione, e non di ex Dc - questo nuovo partito ha radici cattoliche ma si nutre anche di una naturale gravitazione al centro, e di una finalità fisica tendente al monocolore: se dovessimo oggi consultare il famoso Cencelli troveremmo il massimo di leve di potere nelle mani di moderati di origine cattolica, con un neo-allineamento di radici culturali fra Palazzo Chigi e Quirinale.
Il formarsi di questa nuova coesione è oggi ragione di plauso per tutti. Una elezione così compatta del Presidente della Repubblica non era scontata. E ha già avuto, un effetto rasserenante del clima politico.
Per Matteo Renzi questa elezione è un po' la fine del suo praticantato come Premier. Arrivato a Palazzo Chigi con una forzatura istituzionale, e diventato Segretario del Pd con una audace conquista, in questo primo anno Renzi ha dovuto soprattutto inserirsi davvero nel suo ruolo, dare al potere la forma che vuole non solo dominarlo. I modi della scelta del Presidente e la formazione di questo grande centro intorno al voto, fornisce ora a Renzi finalmente uno spazio di consenso non precario, tutto suo, con un partito oggi più simile a quello che lui voleva di quello che ha ereditato.
Ma, come si diceva, questo Partito della Nazione, come lo stiamo chiamando, rimane molto divisivo. In effetti mette da parte Berlusconi, ma anche l'anima Pd dell'Ulivo. Frantuma la destra che voleva fare da raccolta dei nuovi moderati, ma di colpo mette da parte anche tutta la leadership e la dinamica della classe dirigente ex comunista o socialista o laica del Pd. Manda fuori scena, insomma, tutta la Seconda Repubblica - stabilendo un nuovo curioso asse fra quarantenni e settantenni, fra Prima e Terza Repubblica.
Il Pd oggi e' contento, e a ragione. La sua anima moderata e di governo si è consolidata insieme a Renzi. La Guerra tra i tanti ex leader che hanno guidato quel partito è certamente messa da parte - e questo può solo dare serenità al nuovo equilibrio politico. Ma qui non si tratta solo di ambizioni private e nemmeno solo di diverse anime politiche - si tratta di capire se quella complessa esperienza che è stata l'Ulivo, che dopotutto ha dato forma alla Seconda Repubblica, potrà continuare a trovare una sua rappresentazione in questo nuovo corso. Per dirla più semplicemente - la sinistra non cattolica, non moderata, gli ex ds o il sindacato, o le esperienze più radicali, come si aggiusteranno a questo nuovo clima?
Complicato quadro. Ma c'è da sperare che l'equilibrio del dodicesimo Presidente e una maggiore tranquillità conquistata del Premier possano evitare che il cambio di stagione avvenga in maniera non traumatica.
Nessun commento:
Posta un commento