A febbraio saranno trascorsi cinquant’anni da quando don Lorenzo Milani scrisse la risposta all’ordine del giorno dei cappellani militari della Toscana in congedo in cui si accusavano gli obiettori di viltà. L’obbedienza non è più una virtù include oltre alla risposta ai cappellani, anche la Lettera ai giudici, un’autodifesa che scrisse dopo la denuncia per apologia di reato presentata da ex combattenti.
Gianluca Ferrara Saggista e direttore editoriale di Dissensi Edizioni
Cinquant’anni dopo le sue parole sono ancora molto attuali: Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri miei stranieri.
Questo, come tutti i suoi scritti, è un libro profetico. Si pensi alla guerra dei poveri prodotta da questa globalizzazione non degli uomini ma delle merci e dei capitali virtuali, una guerra causata dalle politiche neoliberiste a vantaggio di un’élite internazionale. Una guerra fomentata da alcuni politici che nella loro ottusità non distinguono gli effetti dalle cause dell’immigrazione. Si nasconde la verità per una manciata di voti spacciando paura e inculcando la convinzione che il vero dramma sociale sia rappresentato da quella minoranza di extracomunitari che delinquono e non da quelle banche speculative la cui truffa dei subprime del 2008 ha generato globalmente 50 milioni di disoccupati e almeno 10.000 suicidi solo in Europa e Usa.
Oggi, don Milani, verosimilmente, domanderebbe perché non si ascolta il grido d’allarme lanciato dagli scienziati compresi quelli dell’Ipcc dell’Onu che ci dicono che se non blocchiamo subito le emissioni di Co2 le temperature in questo secolo saliranno in media fino a 5 gradi. Con la desertificazione e l’innalzamento del livello degli oceani, i profughi saranno centinaia di milioni. E si badi che il baratro ambientale non è stato aperto dalle politiche economiche di quei Paesi da dove proviene l’immigrazione (Paesi derubati dalle loro risorse) ma da quelle occidentali basate sull’accumulo e non sulla condivisione. Perché non anticipare i tempi e ragionare sulle cause invece di attendere passivamente un futuro disegnato dai colori tetri del razzismo e della paura?
Don Milani nell’incipit del libro scrive che: Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruenti: lo sciopero e il voto. In questi 50 anni queste due armi sono state spuntate e il campo di battaglia dove giacciono i diritti e le sovranità rubate ai cittadini ne sono una prova. Fare lo sciopero è contro il nostro interesse di italiani ha asserito alla Leopolda Davide Serra, il finanziere amico di Renzi, leader di un partito che si dice di sinistra, che però abolendo l’articolo 18 abbandona i lavoratori in una condizione di costante ricatto. Circa il voto si pensi che Renzi è il terzo presidente consecutivo non scelto dagli italiani per ricoprire tale carica.
A Barbiana don Milani insegnava ai suoi ragazzi ad essere cittadini sovrani, a prendersi a cuore il mondo (I care), insegnava loro che solo insieme si esce dai problemi: Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio, sortirne insieme è politica, sortirne da soli è avarizia.
50 anni dopo bisogna cogliere l’invito alla disobbedienza di don Milani. Occorre disobbedire a questa classe politica che rappresenta gli interessi di banche e multinazionali e non quelle dei cittadini lasciati soli e allo sbando in un momento storico così delicato. Una luce in questo bivio storico in cui sembra prevalgano le tenebre è Papa Francesco. A 50 anni dalla pubblicazione di questo libro sarebbe un riconoscimento importante se questo Papa desse un segnale pragmatico e destituisse l’istituto dei cappellani militari. Un ordine che stride con il messaggio del Vangelo e dei tanti che oggi, come 50 anni fa, credono che un futuro di Giustizia ed armonia si può costruire solo con la condivisione e non con la guerra. La guerra serve solo ad accentrare ricchezze e risorse nelle solite mani dei potenti di ieri e di oggi: E allora urgeva più che educaste i nostri soldati all’obiezione che alla obbedienza.
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