giovedì 21 giugno 2018

"Braccianti e rider con le loro paghe da fame sono la nuova classe operaia. E devono unirsi".

"Nella piana di Gioia Tauro chi è fortunato può guadagnare 100 euro al mese. Ma anche chi fa consegne in città spesso guadagna quanto un bracciante". Parla il sindacalista Aboubakar Soumahoro.

Braccianti e rider con le loro paghe da fame sono la nuova classe operaia. E devono unirsi Lavorano dall’alba al tramonto, “da sole a sole”. Senza schiavi africani - quelli che il ministro dell’Interno chiama “clandestini” - crollerebbe un intero comparto industriale.
È su di loro, il primo anello della filiera, che l’agroindustria scarica i costi della crisi e della tirannia della grande distribuzione organizzata.

Aboubakar Soumahoro, 38 anni, sindacalista dell’Usb, laureato in Sociologia a Napoli, ne è convinto. Aboubakar, del resto, prima di diventare avanguardia del movimento sindacale, è passato dal girone infernale dello schiavismo moderno. Umiliato sì, mai però prostrato ai piedi dei padroni italiani che lo ingaggiavano di volta in volta. Se chiedete a Soumahoro che cosa sogna, lui risponde con tono garbato ma deciso: «Giustizia sociale, dare voce 
ai lavoratori invisibili, agli ultimi, quelli schiavizzati dalla globalizzazione». Da sfruttato a sindacalista al fianco di altri sfruttati della piana di Gioia Tauro, in Calabria. Un’area ricca 
di agrumi, che arrivano sulle nostre tavole.
Gioia, Rosarno, 
San Ferdinando, Rizziconi. In un raggio di appena 18 chilometri troviamo l’epicentro della schiavitù moderna.
Non da oggi, ben prima che si accendessero i riflettori il 2 giugno scorso dopo l’omicidio del bracciante e sindacalista del Mali Soumayla Sacko. In quanti ricordano la rivolta del gennaio 2010? La scintilla fu l’ennesima vessazione subita da due africani di ritorno dai campi, bersaglio di giovani in cerca di fama criminale 
che li hanno colpiti con pistole ad aria compressa.


Aboubakar combatte in questa trincea, dove il profumo della zagara si confonde a quello della povertà delle tendopoli 
e delle baracche dei braccianti africani. La piana dalle mille contraddizioni. Teatro di aspre lotte contadine e di una ’ndrangheta vorace. 
A resistere un tempo c’erano i comunisti guidati da Peppino Lavorato e Giuseppe Valarioti, dirigenti del Pci locale. Valarioti verrà ucciso nel giugno del 1980. Peppino Lavorato molto tempo dopo diventerà sindaco di Rosarno.
Oggi c’è Aboubakar Soumahoro. «Nella piana abbiamo uno sportello dedicato ai lavoratori, italiani e stranieri», racconta all’Espresso, «li informiamo sui diritti sociali e sindacali. Il progetto va avanti da tempo e ha fatto emergere i loro bisogni reali. Questo è il territorio che ha eletto il ministro dell’Interno Matteo Salvini, leader di un partito, la Lega, che discriminava gli emigrati calabresi. Oggi il ministro può riscattarsi da quella vergogna, prendendo atto delle condizioni disumane di cui è ostaggio la manodopera, su cui si basa la più importante economia della regione».
Soumahoro passa le sue giornate tra gli operai agricoli: «Li sindacalizziamo attraverso la rivendicazione di uguale lavoro uguale salario. Nella piana di Gioia Tauro, in piena stagione agrumicola, tra italiani e stranieri si raggiungono 4-5 mila unità. Chi è fortunato arriva a una paga di 100 euro al mese, dall’alba al tramonto per 2 euro l’ora. C’è persino chi riceve al posto del salario olio o pacchi di pasta. Il contratto di categoria, invece, prevede sei ore mezzo di lavoro, con straordinario per ogni ora 
in più».
Così Aboubakar e i suoi compagni hanno iniziato a organizzare numerose assemblee, portando fuori dalle 
tendopoli-ghetto le persone. «Riunioni con 500 persone, in cui 
si parlano cinque lingue, italiano, francese, inglese, bambara, asanti. Abbiamo anche chiesto alla prefettura di istituire un tavolo permanente contro lo sfruttamento, al primo incontro - prima dell’uccisione del nostro compagno - c’eravamo solo 
noi. Assenti le aziende, i sindaci, gli assessori regionali. Una situazione drammatica, dalla quale si esce solo collettivamente. 
L’esempio di Giuseppe Di Vittorio è lì a ricordarcelo».


L’illegalità, secondo Soumahoro, è figlia di una legge dello Stato targata Lega-ex fascisti: la Bossi-Fini. «Va abrogata, per liberare dalla schiavitù e dal ricatto i lavoratori stranieri». Un tema caro alla sinistra, ma a quella pre-Pd: difficile oggi trovare differenze tra centrodestra e centrosinistra, dice il sindacalista.
«Le loro politiche poggiano sulla medesima filosofia di lavoro precarizzato. I rider delle consegne a domicilio guadagnano quanto un bracciante della piana di Gioia Tauro. E anche l’approccio al tema dei migranti è simile: gli accordi con la Libia ne sono la prova».
Soumahoro immagina un grande blocco sociale. Unito da un comune denominatore, lo sfruttamento, le paghe da fame. «Bracciante e rider sono accomunati da salari vergognosi. Per questo è necessario immaginare un percorso comune, di una nuova classe operaia, ricomponendo il quadro parcellizzato di chi lavora senza diritti».

Il 23 giugno a Reggio Calabria Soumahoro e il suo sindacato organizzeranno una manifestazione per ricordare Soumayla Sacko. Non ci saranno solo braccianti. Ma anche le categorie più lacerate dal precariato e dallo sfruttamento. In testa al corteo ci saranno i parenti di Socko, che hanno chiesto ad Aboubakar di proseguire la battaglia nel nome del compagno ucciso nel giorno della festa della Repubblica italiana.

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